Fantasmi dal passato

Tempo di lettura stimato: 5 minuti
In libreria in questi giorni il nuovo romanzo di Marco Vichi con protagonista il Commissario Bordelli: “Fantasmi del passato”, Guanda, Milano 2014. Un invito alla lettura.

Ho ricevuto il libro grazie all’amicizia di lunga data con Marco e alla collaborazione dello scrittore fiorentino con la Scuola di Narrazioni “Arturo Bandini” di Nausika, che ha contribuito a creare, e ho dunque potuto anticipare la lettura, che mi ha accompagnato durante il mio trasloco: nonostante la stanchezza, ho trovato la forza di tenere gli occhi aperti per perdermi tra le molte pagine del romanzo, che propongo come consiglio di lettura per l’estate.
Siamo a un anno dall’alluvione di Firenze (descritta in Morte a Firenze), precisamente nel dicembre del 1967. La riga nera dell’acqua nei palazzi e per le strade serve come promemoria del dolore, come memento di una tragedia difficile da dimenticare.
Bordelli si trova di fronte a un omicidio molto particolare. Un ricco imprenditore, Antonio Migliorini, apparentemente senza nemici, anzi ritenuto da tutti persona meravigliosa, privo di macchie e di segreti nascosti, viene ritrovato con un fioretto infilato nel petto. Nessuna traccia che possa ricondurre all’assassino, nessun segno di effrazione… solo una finestra aperta. Bordelli brancola nel buio, la prima parte dell’indagine pare non portare a nulla.
Nel frattempo il malinconico commissario riceve due visite molto particolari. La prima è quella del personaggio nato dalla penna dello scrittore Leonardo Gori: Bruno Arcieri, che più volte ha incrociato la strada del commissario. Questa volta diventa però un co-protagonista (in copertina, infatti, campeggia la dizione “con la partecipazione di Leonardo Gori”), perché le vicende narrate fanno sì che Arcieri, capitano dei Carabinieri, rimanga per alcuni giorni ospite di Bordelli. Sono proprio le confessioni reciproche di questi due uomini, così coraggiosi e sinceri, e al contempo restii alle confidenze, a costituire alcuni dei dialoghi migliori del romanzo, suscitando l’istintiva empatia del lettore.
L’altra visita (o meglio… visite) è quella dei “fantasmi” del passato di Bordelli. Chi sono questi fantasmi? La madre, proprio come la madre dello scrittore fiorentino, compare molte volte ad agitare i sogni di Bordelli o a rasserenarli, accompagnata dalle sue poesie (ritrovate da Bordelli quasi casualmente, nella finzione narrativa, pubblicate nella realtà: costituiscono un vero e proprio refrain del romanzo, con i semplici versi mandati a memoria dal commissario e recitati come un mantra, tra sé e sé); i rimorsi per azioni compiute che non lo lasciano tranquillo (ciascuno, pensa Bordelli, deve portarne il carico in modo responsabile) e lo spingono a riflettere con poca pietà nei propri confronti; e, come sempre, l’amore. Questa volta l’amore è Eleonora, l’indimenticabile e indimenticata ragazza conosciuta proprio durante l’alluvione da Bordelli che l’ha persa, in un certo senso, per propria responsabilità: durante la sua indagine meno ufficiale, infatti, è proprio lei a fare le spese della vendetta degli uomini cui il commissario dava la caccia. Donne, comunque, presenti dall’inizio alla fine del romanzo, e in un modo molto “maschile”: Bordelli è uomo molto sensibile al fascino femminile, e questa volta non fa eccezione, seppure il ruminare intorno al passato rischi, a volte, di coinvolgere anche il presente.
Un romanzo da leggere tutto d’un fiato, capace di coivolgere in modo particolare sia gli affezionati del commissario Bordelli, sia gli affezionati al capitano Arcieri.

Ecco, infine, come Marco Vichi presenta il vero libro di poesie di sua madre, la cui pubblicazione è stata decisa poco prima della scomparsa di Paola Cannas:

Già da qualche tempo ho pubblicato una segnalazione di questo libro di poesie, ma non ho mai detto quale importanza abbia per me. Vi racconto una storia: una signora di ottantaquattro anni, che già da molto tempo mi domandava senza troppa insistenza se volessi dare un’occhiata alle sue poesie, un giorno mi chiese con più convinzione di leggerne almeno una, così, solo per farle un favore, e se poi non mi fosse piaciuta non mi avrebbe mai più scocciato. Eravamo a pranzo in un bel ristorante, al mare, in estate. Lessi la prima poesia, e rimasi di sasso: era bellissima, semplice e profonda, e il ritmo delle parole dava forza ai significati e alle emozioni. Insomma una vera poesia. Lessi le altre. Avevano la stessa forza e la stessa delicatezza, erano sincere, senza virtuosismi. Era il tipo di poesia che avrei sempre voluto scrivere, anzi che avevo provato a scrivere, con risultati pessimi. E adesso scoprivo che mia mamma non era solo mia mamma, ma era una poetessa sconosciuta, e che dal dopoguerra in poi aveva scritto sì e no una poesia all’anno, su foglietti e quaderni, senza nessuna pretesa, tenendo le sue parole in un cassetto… Finché sulla via del tramonto aveva sentito il desiderio di farmi leggere i suoi versi, affrontando il rischio con la preoccupazione che il “figlio scrittore” sorridesse di tale puerilità, e che magari con imbarazzo facesse un gran giro di parole per non dirle la verità. Anche io ero pronto a questa eventualità, e certamente mi avrebbe fatto male ferirla, dirle che in realtà i suoi scritti non erano poesia (quante ne leggo che altro non sono se non raccontini con molti capoversi). Non sarei mai stato capace di fingere, di lusingarla solo per farla contenta… [prosegue qui]

Qui invece l’intervista a Marco Vichi sull’ultimo romanzo.

Buona lettura.

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Federico Batini

Insegna Metodologia della ricerca educativa, dell’osservazione e della valutazione, Pedagogia sperimentale e Consulenza pedagogica all’Università degli Studi di Perugia. Ha fondato e dirige le associazioni Pratika e Nausika, da cui è data la LaAV. È autore Loescher. federicobatini.wordpress.com

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