Era una notte buia e tempestosa.

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Una pagina di incipit, per cominciare l’anno leggendo. Venite qui quando volete: alcuni vi ricorderanno libri che avete letto, altri vi faranno venire voglia di farlo. Ne aggiungeremo di nuovi periodicamente. Buon inizio!

Il treno sbucò dalla lunga galleria nel paese delle nevi. La campagna si stendeva bianca sotto il cielo notturno. Il treno si arrestò a un segnale.

Kawabata Yasunari, Il paese delle nevi, traduzione di L. Lamberti dalla traduzione inglese di E. G. Seidensticker e controllata da Nakamura Sawa, Einaudi, Torino 1959

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Nella mia casa paterna, quand’ero ragazzina, a tavola, se io o i miei fratelli rovesciavamo il bicchiere sulla tovaglia, o lasciavamo cadere un coltello, la voce di mio padre tuonava:
– Non fate malagrazie!

Natalia Ginzburg, Lessico famigliare, Einaudi, Torino 1963

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Si nni stavano assittati nel balconcino di Boccadasse, mutangheri a godirsi la friscura della sirata.

Andrea Camilleri, L’altro capo del filo, Sellerio, Palermo 2016

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Uno dei miei primi vanti era stato il mio nome. Avevo presto imparato (fu lui, mi sembra, il primo a informarmene), che Arturo è una stella: la luce più rapida e radiosa della figura di Boote, nel cielo boreale!

Elsa Morante, L’isola di Arturo, Mondadori, Milano 1957

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Dio era morto: tanto per cominciare.
Ed era morto il romanticismo. Era morta la cavalleria. La poesia, il romanzo, la pittura: tutti morti. L’arte era morta. Il teatro e il cinema, morti entrambi. La letteratura era morta. Era morto il libro. Il modernismo, il postmodernismo, il realismo e il surrealismo erano morti.

Ali Smith, Inverno, traduzione di Federica Aceto, Edizioni SUR, Roma 2019,

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ADAM

… e noi nell’ultima guerra abbiamo perso un amante. Avevamo un amante, e da quando è cominciata la guerra non lo si trova più, è sparito. Lui e la vecchia «Morris» di sua nonna.

Abraham Yehoshua, L’amante, traduzione di Arno Baehr, Einaudi, Torino 1990

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Per molti anni Henry Kitteridge era stato farmacista nella città vicina, e ogni mattina guidava attraverso strade piene di neve, oppure fradice di pioggia, oppure dove d’estate i lamponi selvatici protendevano i loro germogli novelli dai cespugli lungo l’ultimo tratto della cittadina, prima di svoltare nella strada più larga che portava alla farmacia.

Elizabeth Strout, Olive Kitteridge, traduzione di Silvia Castoldi, Fazi, Roma 2009

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Quando seppe che sarebbe diventato padre, il professor *** si chiuse a lungo nel suo studio per riordinare le idee. Nell’incertezza del futuro uscì da quella stanza con una certezza: i giornalini, i cari giornalini della sua infanzia dovevano essere messi in salvo.

Michele Mari, Tu, sanguinosa infanzia, Einaudi, Torino 2009

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È da quando ho perso i miei in un incidente stradale all’età di otto anni che ho incominciato a interessarmi ai genitori degli altri.

Ian McEwan, Cani neri, traduzione di Susanna Basso, Einaudi, Torino 1992

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Sono nato due volte: bambina, la prima, un giorno di gennaio del 1960 in una Detroit straordinariamente priva di smog, e maschio adolescente, la seconda, nell’agosto 1974, al pronto soccorso di Petoskey, nel Michigan.

Jeffrey Eugenides, Middlesex, traduzione di Katia Bagnoli, Oscar Mondadori, Milano 2003

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Questo libro si è voluto una libertà ben più grande di quella che ebbe paura di dare. È molto al di sopra di me. Umilmente ho tentato di scriverlo. Io sono più forte di me. C.L.

Clarice Lispector, Un apprendistato o Il libro dei piaceri, traduzione e introduzione di Rita Desti, Editori La Rosa, Torino 1981

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Tanti anni fa lessi un libro ambientato ad Andorra e l’idea del paese che ne ricavai mi rimase talmente impressa che quando, costretto dalle circostanze, dovetti ricominciare in un posto nuovo, mi fu immediatamente chiaro dove andare. E arrivarci, visto il mondo di oggi, non era difficile; così partii, lasciandomi alle spalle quel che mi era necessario lasciare – cioè tutto. È incredibile la facilità con cui, volendo o avendone la necessità, si può cambiare vita.

Peter Cameron, Andorra, traduzione di Giuseppina Oneto, Adelphi, Milano 2014

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Ci sono degli esseri che sono sommersi dalla realtà degli altri, dal loro modo di parlare, accavallare le gambe, accendere una sigaretta. Invischiati nella presenza degli altri. Un giorno, o piuttosto una notte, sono trascinati nel desiderio o nella volontà di un unico Altro. Ciò che credevano di essere scompare. Si dissolvono, e guardano il proprio riflesso agire, obbedire, trascinati nel corso sconosciuto delle cose. Sono sempre in ritardo sull’Altro, sulla sua volontà costantemente avanti di una mossa. Una volontà che non raggiungono mai.

Annie Ernaux, Memoria di ragazza, traduzione di Lorenzo Flabbi, L’orma editore, Roma 2017

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Non era più una strada ma un mondo, un tempo e uno spazio di cenere in caduta e semioscurità.

Don De Lillo, L’uomo che cade, traduzione di Matteo Colombo, Einaudi, Torino 2007

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La voce femminile si diffonde dall’altoparlante, leggera e piena di promesse come un velo da sposa.
– Il signor Malaussène è desiderato all’Ufficio Reclami.

Daniel Pennac, Il paradiso degli orchi, traduzione di Yasmina Melaouah, Feltrinelli, Milano 1992

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Fu quando Peter si ammalò che Hortensia prese l’abitudine di camminare. Non all’inizio, ma dopo, quando le sue condizioni si agravarono e lui fu costretto a letto. Era un mercoledì. Se lo ricordava perché il mercoledì era il giorno libero di Bassey, il cuoco, e in frigorifero c’erano dei medaglioni di agnello in un contenitore ermetico, pronti per essere riscaldati nel forno ventilato e serviti con un contorno di tuberi arrosto spennellati con l’olio d’oliva. Ma non aveva fame. La casa le andava stretta, cosa che sembrava impensable visto che c’erano sei camere da letto. Eppure era così.

Yewande Omotoso, La signora della porta accanto, traduzione di Natalia Stabilini, 66and2nd, Roma 2019

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PARTENZA

Le bocche aperte al sole, dormono. Il maschio e la femmina, le fronti imperlate di sudore, le guance rosse, striate di bianco dalla saliva seccata. Occupano l’intero spazio del sedile posteriore dell’auto, stravaccati, le membra placide e abbandonate. Dal sedile del navigatore, ogni tanto mi giro per dar loro un’occhiata, poi torno a studiare la mappa. Avanziamo nella lenta lava del traffico verso i margini della città, lungo il ponte George Washington, e ci immettiamo nell’autostrada. Un aereo passa sopra di noi e lascia una lunga cicatrice rettilinea sul palato di un cielo senza nubi. Al volante, mio marito si aggiusta il cappello, si asciuga la fronte con il dorso della mano.

Valeria Luiselli, Archivio dei bambini perduti, traduzione di Tommaso Pincio, La Nuova Frontiera, Roma 2019

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Quelli delle Tenebre-di-mezzo

Il cimitero di San Quirico domina il paesino di Orta Novarese e gode di un’ampia vista sul lago Cusio. I turisti che ci capitano nel fine settimana lo definiscono un posto pittoresco anche se «faticoso» a causa delle ripide stradine a ciottoli. Noi che a Orta siamo vissuti, a tali scomodità non abbiamo mai badato né ci è mai passato per la testa di andare a vivere altrove per evitarle; e, se qualcuno ha dovuto per forza maggiore allontanarsi dal Cusio, l’ha fatto malvolentieri. Chi nasce sulla riva di questo lago non si sente a suo agio lontano da qui; e prima o poi fa in modo di tornare, anche da non-più-vivo: perché fuori da questa valle si sentirebbe perso e perché ha la certezza di essere aspettato se non dagli esseri umani, perlomeno da noi delle Tenebre-di-mezzo.

Laura Pariani con Nicola Fantini, Arrivederci, signor Čajkovskij, Sellerio, Palermo 2019

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Questa città mi s’addice come se ci fossi nato. E non la conosco forse bene e non soltanto nell’arida topografia della strada dopo la piazza e della farmacia dietro l’angolo? Capisco ormai i sottintesi dei discorsi casuali al bar e dal tabacco, so cosa osserverà la donna delle pulizie sui nuovi inquilini del terzo piano, prevedo infine cosa penseranno di me quelli che m’incontreranno per la prima volta.

Marina Jarre, Un leggero accento straniero, Einaudi, Torino 1972

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Fu un errore mentire. Se ne rese conto nel momento stesso in cui apriva bocca per rispondere a Fernand Le Bouc. E solo per timidezza, per mancanza di disinvoltura, non cambiò le parole che gli salivano alle labbra.
«È andata a Bourges» disse.

Georges Simenon, Il piccolo libraio di Archangelsk, traduzione di Massimo Romano, Adelphi, Milano 2016

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La forma del potere è sempre la stessa: è la forma di un albero. Dalle radici fino alla cima, un tronco centrale che si ramifica e ramifica all’infinito, aprendosi in dita sempre più sottili, protese in avanti. La forma del potere è il segno di una cosa viva che tende verso l’esterno, e manda i suoi sottili filamenti un po’ oltre, e ancora un po’ più oltre.

Naomi Alderman, Ragazze elettriche, traduzione di Silvia Bre, Nottetempo, Milano 2017

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Viveva un tempo nella città di Lopezia un artefice di grandissimo ingegno, donde la fama oltre le mura della città ed i confini medesimi del Principato volava tanto che nei più remoti angoli della Cristianità l’eco se ne coglieva.

Ezio Sinigaglia, L’imitazion del vero, Terrarossa, Bari 2020

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Da quanto tempo sarà che quando sono da sola dormo in questo modo?
Il sonno viene come l’avanzare della marea. Opporsi è impossibile. È un sonno così profondo che né lo squillo del telefono né il rumore delle auto che passano fuori mi arrivano all’orecchio. Nessun dolore, nessuna tristezza laggiù: solo il mondo del sonno dove precipito con un tonfo.

Banana Yoshimoto, Sonno profondo, traduzione di Giorgio Amitrano, Feltrinelli, Milano 1994

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“Fallimento totale”.
Non so mio padre cosa intendeva quando lo disse. Gli avevo chiesto, il giorno prima che si togliesse la vita, a cosa stesse pensando, e questa era stata la sua risposta. Due parole prive di speranza, sussurrate da un uomo che sentiva di aver fallito su tutti i fronti. Questo libro è il mio tentativo di dimostrare che mio padre aveva torto.

Miriam Toews, Swing Low, traduzione di Maurizia Balmelli, Marcos y Marcos, Milano 2020

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Sono così scontento delle enciclopedie, che mi sono fatto questa enticlopedia mia propria e per mio uso personale. Arturo Schopenhauer era così scontento delle storie della filosofia, che si fece una storia della filosofia sua propria e per suo uso personale.

A.S.

Alberto Savinio, Nuova enciclopedia, Adelphi, Milano 1977

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Mi accade spesso di sognare l’Albergo del Delfino.
Dal sogno si direbbe che ne faccio parte in modo stabile. La forma dell’albergo appare distorta. È molto lungo e stretto. Tanto lungo e stretto da sembrare, più che un albergo, un lungo ponte coperto da un tetto. Un ponte che si estende, in tutta la sua lunghezza, dall’antichità alla fine del mondo Io ne faccio parte. Lì dentro c’è anche qualcuno che piange. E io so che piange per me.
L’albergo mi comprende dentro di sé. Riesco a percepire le sue pulsazioni e il suo calore. Nel sogno, sono una parte dell’albergo.

Murakami Haruki, Dance dance dance, traduzione di Giorgio Amitrano, Einaudi, Torino 1998

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Doveva essere finito da un pezzo. Phoebe lo dedusse dal silenzio. Camminando lungo il parco avvolto nella nebbia, non sentiva alcun suono oltre al ticchettio delle gocce di condensa che cadevano dalle felci e dalle palme e quando giunse al campo non si meravigliò della solitudine che la circondava.

Jennifer Egan, La figlia dei fiori, traduzione di Vincenzo D’Antonio, Mondadori, Milano 2019

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Cina, 1967
L’Unione Rossa attaccava il quartier generale della Brigata 28 Aprile ormai da due giorni. Le loro bandiere garrivano incessantemente attorno all’edificio, come fiamme in cerca di legna da ardere.

Cixin Liu, Il problema dei tre corpi, Mondadori, Milano 2017

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Momenti significativi nella vita di mia madre

Quando mia madre era molto piccola, a Pasqua qualcuno le regalò un cestino di pulcini. Morirono tutti.

Margaret Atwood, L’uovo di Barbablù, traduzione di Gaja Cenciarelli, Racconti edizioni, Roma 2020.

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C’era una volta un ragazzetto chiamato Giovannin senza paura, perché non aveva paura di niente. Girava per il mondo e capitò a una locanda a chiedere alloggio.
– Qui posto non ce n’è, – disse il padrone, – ma se non hai paura ti mando in un palazzo.
– Perché dovrei avere paura?
– Perché ci si sente, e nessuno ne è potuto uscire altro che morto. La mattina ci va la Compagnia con la bara a prendere chi ha avuto il coraggio di passarci la notte.
Figuratevi Giovannino! Si portò un lume, una bottiglia e una salsiccia, e andò.

Italo Calvino, Fiabe italiane, Meridiani Mondadori, Milano 1993

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Quando alzava gli occhi dalle carte, e meglio quando appoggiava la testa sull’orlo dell’alto e duro schienale, la vedeva nitida, in ogni particolare, in ogni segno, quasi il suo sguardo acquistasse un che di sottile e puntuto e il disegno rinascesse con la stessa precisione e meticolosità con cui, nell’anno 1513, Albrecht Dürer lo aveva inciso.

Leonardo Sciascia, Il cavaliere e la morte, Adelphi, Milano 1988

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