L’eco-ansia: una nuova forma di malessere, soprattutto giovanile

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In tutto il mondo i giovani sono in prima linea nella lotta contro i cambiamenti climatici. Ma la paura di diventare adulti in un mondo malato provoca crescenti sentimenti di ansia, rabbia e depressione.

 

Diversi ricercatori, tra cui Berry et al. (2010), hanno proposto di distinguere fra tre diversi tipi di impatto dei cambiamenti climatici sulla salute mentale: diretti, indiretti e vicari. Assumendo tale schema, va notato che la maggior parte della ricerca scientifica si è concentrata sui primi, ossia quelli che si verificano dopo un evento meteorologico estremo, come un’alluvione, un terremoto o un uragano. Queste gravi interruzioni della vita quotidiana, infatti, possono favorire l’insorgenza di disturbi da stress post-traumatico (PTSD), o forme di depressione, ansia, abuso di droghe e pensieri suicidi. Anche gli impatti indiretti dei cambiamenti climatici possono influenzare la salute mentale, per via del loro effetto sull’economia, sulle migrazioni, sulle infrastrutture sociali, sulla carenza di cibo e acqua e sui conflitti; tutti fenomeni collegabili a stress, dolore, ansia e depressione (Akresh, 2016).

Tuttavia un numero crescente di individui sperimenta una sensazione di angoscia legata alla crisi ambientale globale anche senza subirne gli effetti diretti o indiretti (Pihkala, 2018). In altre parole, anche solo conoscere le conseguenze dei cambiamenti climatici attraverso i media e altre fonti di informazione, senza pure averne una esperienza in prima persona, può avere un impatto sulla salute mentale. Sul tema delle reazioni vicarie ai cambiamenti climatici vi è meno ricerca scientifica, ma gli studiosi riferiscono che sempre più persone si sentono sopraffatte, sperimentano attacchi di panico, insonnia o pensieri ossessivi (Clayton et al., 2017). La consapevolezza dei cambiamenti climatici e delle loro conseguenze può suscitare emozioni diverse, inclusi senso di colpa, tristezza e rabbia, e tutte concorrono a costituire quella che può essere definita “eco-ansia” (Pihkala, 2020). L’American Psychological Association (APA) la descrive come la “paura cronica di una catastrofe ambientale”.

Una definizione ampia

I ricercatori riconoscono che un livello basso di ansia e di coinvolgimento emotivo di fronte ai cambiamenti climatici è una risposta normale a una realtà stressante (Reser e Swim, 2011). Per questo non esiste una diagnosi vera e propria di eco-ansia, e tale condizione non è considerata ufficialmente una patologia a tutti gli effetti. Tuttavia, come già detto, è indubbio che un numero crescente di persone sperimenta forme depressive e sintomi ansiosi in connessione alle sorti della Terra (Jones et al., 2012). Alcuni ricercatori hanno quindi suggerito l’opportunità di articolare il concetto di eco-ansia lungo uno spettro: da un lato le forti emozioni possono portare all’azione e alla mobilitazione, consentendo di cambiare le proprie abitudini e di aiutare il pianeta; dall’altro, l’eco-ansia può portare a una paralisi di fronte all’immensità del problema ecologico (Wolf e Moser, 2011) e alla sua negazione (Albrecht et al., 2007). Le persone si muovono lungo questo spettro a seconda di diversi fattori, comprese le loro risorse emotive, la rete di supporto sociale che hanno a disposizione, e il contesto globale in cui agiscono (Berry et al., 2010). […]

L’eco-ansia fra i giovani

Una letteratura specialistica sta rapidamente emergendo sull’eco-ansia negli adulti, ma si sa molto poco su come i giovani e i bambini vivono la consapevolezza dei cambiamenti climatici; di certo stanno crescendo in un mondo incerto, dove messaggi apocalittici sul clima e sull’ambiente dominano il discorso pubblico e i media (Engelhaupt, 2017). In Australia un’indagine su 600 giovani tra i 10 ei 14 anni ha rivelato che il 44% è preoccupato e che un quarto ha paura che il mondo finisca prima di invecchiare (Tucci et al., 2007).

Avere consapevolezza dei cambiamenti climatici senza acquisire gli strumenti per far fronte alle emozioni che accompagnano questa conoscenza può portare alla disperazione (Ojala, 2012b). Non a caso, mentre l’informazione sui mutamenti climatici in atto sembra bassa tra i giovani, il loro livello di preoccupazione e ansia appare piuttosto alto (Erkal et al., 2012). Molti indicatori suggeriscono infatti che i ragazzi sperimentano l’eco-ansia. Diversi autori rilevano fra loro sentimenti diffusi di preoccupazione per le sorti dei giovani di altri Paesi che già stanno subendo l’impatto diretto del disastro climatico (Burke et al., 2018). Per alcuni, poi, questa preoccupazione riguarda il loro stesso futuro, in particolare riguardo alla diminuzione della biodiversità, l’aumento dell’inquinamento, e nei casi più estremi la fine del mondo e della vita sulla Terra (Huang e Yore, 2005). Una preoccupazione per il futuro del pianeta può portare a disperazione e pessimismo, a volte alla paura (Huang e Yore, 2005), alla rabbia (Huang e Yore, 2005), a uno stato generale di ansia (Ojala, 2012b), o addirittura a veri e propri attacchi di panico (Plautz, 2020).

Tre strategie per affrontare i cambiamenti climatici

La lettura a disposizione indica che, parallelamente a questi sentimenti, i giovani elaborano anche un senso di speranza rispetto ai cambiamenti climatici. Due studi hanno scoperto che preoccupazione e speranza sono positivamente correlati (Stevenson e Peterson, 2016), e che la fiducia nel futuro va di pari passo con l’azione (Ojala, 2012a). Un elemento chiave della letteratura è infatti il modo in cui i giovani affrontano il cambiamento climatico. Nei suoi articoli, Ojala (2013) esplora tre loro diverse strategie di coping (i meccanismi che le persone utilizzano per fronteggiare i problemi):

1) le strategie focalizzate sul problema: si cerca attivamente di fare qualcosa per cambiare le cose intraprendendo azioni concrete, come studiare più approfonditamente la questione, cercare informazioni e agire;

2) strategie focalizzate sulle emozioni: ci si sbarazza dei sentimenti negativi prodotti dal problema, de-enfatizzando il pericolo, negandolo, prendendone le distanze attraverso la distrazione e l’evitamento, cercando supporto sociale o iper-attivando le emozioni;

3) strategie legate al significato: si evocano emozioni positive pur riconoscendo il problema e si trova un significato anche se esso non può essere risolto immediatamente, ad esempio riformulandolo in modo positivo.

Sulla base di questo schema, Ojala (2012a) ha scoperto che la strategia più comune nei bambini, negli adolescenti e nei giovani adulti è il distanziamento emotivo (focalizzata sulle emozioni). Tuttavia, per incoraggiare la speranza, il meccanismo più efficiente è la strategia legata al significato, perché attiva emozioni positive senza ignorare quelle negative, una combinazione che ha effetti generali positivi e che genera comportamenti pro-ambiente (Ojala, 2012b). […]

In conclusione, i fattori che determinano l’aumento dell’eco-ansia includono: essere una ragazza (Stevenson e Peterson, 2016), non avere la possibilità di agire (Pinto e Grove-White, 2020), avere un forte legame con la natura o con la terra, come accade ad esempio nelle comunità indigene (Chalupka et al., 2020), ritenere che le risposte del governo siano del tutto insoddisfacenti (Hickman et al., 2021). Al contrario, i fattori che favoriscono la speranza nei giovani sono: avere un’adeguata capacità di agency (l’agire autonomamente in situazioni specifiche e prendere decisioni proprie, N.d.T.) (Sobel, 2007), avere fiducia nel progresso tecnologico (Strife, 2012), avere uno scopo esistenziale, essere coinvolti nell’attivismo (Burke et al., 2018) e affrontare i problemi climatici con strategie incentrate sul significato (Ojala, 2012a, b, 2013).

Il ruolo dei genitori

Anche se non sempre si sentono sufficientemente preparati sul tema, i genitori hanno un ruolo significativo nel plasmare il rapporto dei ragazzi con i cambiamenti climatici. Taylor e Murray (2020) danno questi suggerimenti su come discutere e affrontare l’argomento con i propri figli in modo da minimizzare il rischio che sviluppino forme di malessere psicologico:
1) dare loro l’opportunità di condividere apertamente le loro emozioni e preoccupazioni;
2) convalidarne le emozioni e i sentimenti senza minimizzarli;
3) bilanciare le informazioni negative con quelle positive; più nello specifico, per ogni informazione negativa proporne tre positive;
4) quando si coinvolgono i bambini più piccoli, focalizzarsi sulla dimensione locale e su gesti tangibili;
5) trovare obiettivi raggiungibili e completarli come famiglia.
Alcuni di questi comportamenti sono raccomandati da alcuni autori anche agli insegnanti e agli educatori. Ad esempio, Ojala (2012a) suggerisce che anche gli insegnanti si prendano il tempo necessario per convalidare le emozioni dei loro studenti riguardo ai cambiamenti climatici, e che forniscano loro uno spazio sicuro per condividere apertamente il loro sentimenti. […]

Il difficile compito di insegnanti ed educatori

Altri autori consigliano agli insegnanti di formulare alcune considerazioni prima di avviare discussioni in classe sui cambiamenti climatici. Ad esempio, Zummo et al. (2020) raccomandano di considerare il background dei loro studenti e l’attualità del contesto sociopolitico. Stevenson e Peterson (2016) sottolineano l’importanza dello status socioeconomico (SES) degli studenti, poiché è stata riscontrata un’associazione tra quest’ultimo e i comportamenti pro-ambiente.

Per quanto riguarda il materiale didattico bisognerebbe utilizzare una letteratura accuratamente selezionata; è poi importante usare diverse risorse per instaurare un dialogo con i pensieri e le idee degli studenti (Boggs et al., 2016). Inoltre, diversi autori raccomandano di agire, ossia di dare agli studenti l’opportunità di trovare modi concreti per fare qualcosa, anche di piccolo, per salvaguardare l’ambiente (Ojala, 2013). Come Sobel (2007) sottolinea, questo senso di agentività (agency) può rafforzare la responsabilità dei ragazzi. Li e Monroe (2019) ricordano l’importanza che i bambini e gli adolescenti sentano che nel loro piccolo stanno facendo la differenza, in quanto la preoccupazione, priva di qualsiasi forma di azione, può portare al disimpegno. Avere un senso di agency e di controllo sul problema è un fattore che tutela la salute mentale dei ragazzi (Ojala, 2013).

Inoltre può essere utile insegnare agli studenti a impegnarsi in comportamenti pro ambiente prima di introdurli alla conoscenza teorica del problema, dal momento che la sola conoscenza può diventare emotivamente schiacciante e non efficace nel promuovere l’azione (Sobel, 2007).

Diversi autori entrano nello specifico suggerendo addirittura quali azioni suggerire ai ragazzi, ad esempio andare in bicicletta a scuola, acquistare etichette ecologiche e prodotti biodegradabili. Tuttavia, secondo Pinto e Grove-White (2020), questi comportamenti virtuosi dovrebbero essere formulati dagli studenti stessi.

Si consiglia infine agli insegnanti di mettere l’accento sull’importanza dell’azione collettiva, piuttosto che individuale e di improntare le discussioni in aula alla ricerca di una soluzione. Allo stesso tempo, si sconsiglia di adottare un punto di vista tecno-centrico, ossia basato sull’idea che i problemi ambientali possono essere risolti esclusivamente attraverso l’uso di nuove tecnologie. Piuttosto, sarebbe opportuno esplorare anche gli aspetti etici, morali, politici e le dimensioni sociali dei cambiamenti climatici.

L’obiettivo è promuovere un equilibrio fra consapevolezza ambientale e speranza costruttiva, fra realismo e ottimismo, poiché questi approcci «aiutano i ragazzi a sviluppare fiducia non solo in sé stessi come attori ambientali, ma anche all’umanità in generale: forniscono una speranza» (Ratinen e Uusiautti, 2020).

Tratto da: T. Léger-Goodes, C. Malboeuf-Hurtubise, T. Mastine, M. Généreux, P.-O. Paradis, C. Camden, Eco-anxiety in children: A scoping review of the mental health impacts of the awareness of climate change, in «Frontiers in Psychology», 13, 2022.

Traduzione di Francesca Nicola.


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Catherine Malboeuf-Hurtu

insegna presso la Facoltà di Medicina e Scienze della Salute della Università di Sherbrooke, Canada.

Chantal Camden

insegna presso la Facoltà di Medicina e Scienze della Salute della Università di Sherbrooke, Canada.

Mélissa Généreux

insegna presso l’Institut universitaire de première ligne en santé et services sociaux del Centre intégré universitaire de santé et services sociaux de l’Estrie, Sherbrooke, Canada.

Pier-Olivier Paradis

insegna presso il Dipartimento di Psicologia della Università di Sherbrooke, Canada.

Terra Léger-Goodes

insegna presso il Dipartimento di Psicologia della Bishop’s University, Sherbrooke, Canada.

Trinity Mastine

insegna alla School of Communication Sciences and Disorders, McGill University, Montreal, Canada.

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