DSA: la voce dei ragazzi

Tempo di lettura stimato: 11 minuti
Come qualsiasi altro disturbo specifico dell’apprendimento, anche la dislessia si può manifestare in molti modi e con diversi livelli di gravità. Ogni ragazzo con DSA ha quindi una storia propria, diversa dalle altre. Ci raccontano la loro Vittoria e Filippo, due combattivi giovani dislessici.

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Siamo due ragazzi dislessici di 18 e 19 anni con due esperienze piuttosto differenti. Ci chiamiamo Vittoria e Filippo, veniamo entrambi da un liceo scientifico e, dopo molte difficoltà, siamo arrivati in fondo al nostro percorso scolastico. Abbiamo deciso di raccontare la nostra esperienza perché crediamo sia utile conoscere la diretta esperienza di chi, come noi, ha vissuto sulla propria pelle l’essere un alunno DSA nella scuola italiana d’oggi. Per farlo, abbiamo scelto di raccontare l’uno l’esperienza dell’altro.

L’esperienza di Filippo

Filippo seppe di essere dislessico quando frequentava la terza elementare. Se ne accorse la sua insegnate d’italiano, poiché vedeva che il bambino aveva difficoltà nel leggere e nello scrivere, facendo gli errori tipici di chi ha un DSA, come l’inversione di particolari lettere (p-b, f-v, m-n, b-d), omissioni o lettura di una parola per un’altra con la medesima iniziale. La famiglia, quindi, decise di portarlo da una logopedista, che lo ha seguito fino alla terza media, facendogli eseguire esercizi volti a migliorare la coordinazione motoria, dettati mirati a migliorare l’ortografia e specifici esercizi di lettura: da parole corte ad altre sempre più lunghe e complesse, fino a “stringhe” di lettere prive di significato che lo costringevano a leggere esattamente quello che c’era scritto, senza tirare ad indovinare.

Alla scuola primaria Filippo non aveva ancora ben capito cosa significasse essere dislessico, ma con il tempo, a mano a mano che il divario nei confronti dei suoi compagni aumentava, iniziò a porsi domande e a non capire perché lui era più lento in tutto e si affaticava di più rispetto agli altri.

In seguito ha imparato a capire che cosa significhi essere dislessico, e, improvvisamente, ha sentito che la differenza tra lui e i coetanei era diventata una voragine.

A quel punto, come molto spesso accade ai bambini dislessici, ha cominciato a sentirsi diverso cercando in ogni modo un segnale che confermasse il contrario. Il rapporto con i suoi compagni è sempre stato buono, poiché fino all’inizio della prima liceo ha cercato in ogni modo di nascondere, oltre che a se stesso, anche a loro questa sua caratteristica. L’argomento dislessia era tabù, e tutte le volte che saltava fuori, anche in famiglia, Filippo provava un senso di vergogna incredibile, che lo portava a chiudersi in se stesso, deviando la conversazione fino a rifiutare il rapporto con gli altri.

Una volta entrato al liceo le cose si sono complicate: il carico di studio era maggiore e sempre più spesso si ritrovava a studiare anche di sera oltre che durante il giorno. Il primo anno comunque, dopo tanta fatica, si concluse senza debiti, anche se a quel punto i suoi genitori lo sollecitarono a farsi certificare. E così, nonostante non ne avesse alcuna intenzione, a causa del suo orgoglio, dovette iniziare il percorso certificazione ufficiale: ASL, équipe, esami e prove. Questo è stato per Filippo un momento cruciale. Vedere scritto nero su bianco la propria condizione di dislessico gli ha fatto prendere coscienza delle sue caratteristiche, e ciò lo ha aiutato ad accettare meglio le sue difficoltà. Decise così di parlarne apertamente ai compagni di classe (come mai aveva fatto in precedenza) e a tutti gli insegnanti, ottenendo da tutti (fortunatamente per lui) immediata e totale comprensione, senza che tale confessione gli procurasse alcun genere di disagio.

Un aiuto fondamentale è arrivato dall’insegnate d’inglese, comune a me e a Filippo, che ci ha messo in contatto l’uno con l’altra, pur essendo in classi diverse, e ci ha sempre spronati ad andare avanti senza abbatterci mai, nemmeno di fronte a cattivi risultati.

Io e Filippo ci siamo così messi al lavoro per diffondere l’informazione sulla dislessia e, più in generale, per far conoscere il problema. Nei momenti più difficili ci siamo spalleggiati a vicenda e aiutati come potevamo. Una volta trovato il metodo di studio più adatto, Filippo ha concluso bene la quinta liceo scientifico e ha superato l’esame di maturità con un ottimo risultato (95/100), usando gli strumenti compensativi previsti dalla legge n. 170

Maggiori difficoltà ha avuto invece nell’impatto con l’università. Il suo desiderio di iscriversi a medicina si è scontrato con la barriera di quei test d’ammissione che Filippo non esita a definire «tremendi». Le domande a risposta multipla, che si presentavano con una forma testuale complessa, lo hanno messo in grave difficoltà nonostante avesse studiato buona parte dell’estate.

Così Filippo ha dovuto ripiegare sulla scelta di iscriversi a farmacia, dove ha incontrato – anche qui – difficoltà d’ordine didattico e burocratico. Infatti, la facoltà di Scienze farmaceutiche applicate di Firenze (frequentata da Filippo) non riconosce nel proprio statuto l’uso di strumenti compensativi per discenti con DSA e, quindi, gli è stato detto di prendere contatto con ogni singolo docente, per addivenire a un PDP, ossia un piano di studio personalizzato. Per il momento, Filippo non se l’è sentita di affrontare faccia a faccia, come matricola, docenti che neppure conosce per nome. Pertanto, mettendo a frutto la caparbietà che lo contraddistingue, si impegna con grande intensità nella preparazione degli esami della prima sessione. Intanto, conserva nel cassetto il sogno di diventare medico e di potere, anche con la propria esperienza personale, aiutare gli altri a superare ogni genere di difficoltà, fisica e psicologica. Un grande “in bocca al lupo”, Filippo: te lo meriti davvero.

La storia di Vittoria

Vittoria ha scoperto d’essere dislessica all’età di 15 anni, in piena adolescenza, mentre frequentava la seconda liceo scientifico.

I dubbi, in verità, erano sorti in lei e in famiglia molti anni prima. Alla scuola elementare, quando leggeva o scriveva, i genitori notavano una forte difficoltà, anche nel confronto con i coetanei. Dei suoi temi veniva spesso elogiato il contenuto, ma l’ortografia rimaneva molto carente. Per riuscire a imparare quando ci vuole e non ci vuole la h, nell’ha verbo o nell’a preposizione, ha dovuto costruirsi un suo personale ragionamento senza potersi affidare a un automatismo come accade agli altri bambini.

In quarta elementare, la madre di Vittoria si era decisa a parlare con le maestre dei suoi dubbi, ma queste la rispedirono a casa dicendole che la figlia non era affatto dislessica, solo pigra, piuttosto, distratta e un po’ svogliata, mentre lei era una madre eccessivamente ansiosa.

Questa è una reazione piuttosto frequente da parte degli insegnanti, tanto che tutti i ragazzi dislessici con cui siamo in contatto l’hanno sperimentata su di sé, prima o poi. Invece, in tutti i convegni a cui partecipiamo viene ripetuto con insistenza che il bambino con un disturbo dell’apprendimento non è né malato né diverso. Presenta un difetto neurobiologico che crea in lui questa particolare “caratteristica”, i cui limiti possono essere recuperati anche nei casi di disturbo grave, con gli ausili giusti, una diagnosi e una certificazione precoci, tali da aiutarlo fin da subito ad accettare il problema rendendosi conto di non essere affatto “scemo” come dicono i compagni. Un bambino con un disturbo anche lieve, invece, se non riconosciuto in tempo, può incappare in problemi psicologici anche gravi e sviluppare una forte insicurezza.

Tornando a Vittoria, quando si è avventurata alle medie i problemi si sono evidenziati in maniera più massiccia. Mentre prima riusciva comunque a ottenere giudizi tra il buono e il distinto, talvolta anche qualche ottimo, e non aveva mai preso in pagella neanche un sufficiente e un insufficiente, con l’arrivo alle medie la situazione era precipitata. La docente di lingua inglese pretendeva da lei tantissimo, soprattutto nello scritto, senza rendersi conto di quanto mettesse così in difficoltà Veronica, con se stessa e i suoi compagni. Spesso, nei compiti scritti, pur avendo studiato tantissimo, prendeva l’insufficienza perché invertiva sillabe o vocali.

Vittoria ha quindi imparato a memoria come si scrivevano le parole, con il risultato che ora ha il terrore ad aprire bocca in inglese perché è consapevole della sua pessima pronuncia. Le si è formato una sorta di blocco, che sta cercando di superare con molta fatica, grazie all’aiuto di alcuni amici madrelingua.

Mi ha raccontato che qualche volta era costretta a leggere qualche piccolo brano ad alta voce in classe e si ricorda dei compagni che ridevano e sghignazzavano per come lei leggeva.

Un giorno, durante un’interrogazione in italiano su Dante, per la quale si era preparata a fondo, senza però riuscire a leggere in modo fluido il testo, anche se aveva preso un voto sufficiente, tornata al banco si sentì male a causa dello stress. Gli insegnanti volevano rimandarla a casa convinti che fosse influenza, ma lei si rifiutò perché sapeva bene che l’influenza non c’entrava niente.

E così Vittoria passò interi pomeriggi in lacrime, perché non riusciva a memorizzare le poesie o perché vedeva gli altri molto più bravi e sognava che un giorno anche lei sarebbe diventata la prima della classe in qualcosa: quella a cui i compagni chiedono i compiti o che gli insegnanti mandano in giro per la scuola, tanto è brava.

Alla fine delle medie, Vittoria era indecisa nella scelta della scuola superiore fra tre possibilità: liceo classico, liceo scientifico, istituto alberghiero. Gli insegnati le dissero che non era in grado di frequentare un liceo. Quindi si stava arrendendo, ma i genitori e l’insegnante di storia e geografia delle elementari le dissero di non fidarsi e di scegliere quello che le sembrava più adatto. E poiché il suo sogno di sempre era quello di indossare il camice del medico, decise per lo scientifico.

All’inizio del primo anno, però, ebbe non poche difficoltà ritrovandosi a fine trimestre con ben cinque materie insufficienti, costretta talvolta anche a nascondere i brutti voti ai genitori. Ad aprile, finalmente, la professoressa d’inglese si accorse delle sue difficoltà e le comunicò i suoi sospetti. A questo punto, quando Vittoria riferì alla madre ciò che aveva detto l’insegnante, iniziò immediatamente l’iter consueto: fu prima precertificata da un neuropsichiatra della ASL e poi, a luglio, in prossimità del suo compleanno, ufficialmente certificata.

Da questo momento in poi, se le cose migliorarono dal punto di vista del profitto, peggiorarono, e non poco, nel rapporto con i compagni di classe. Fino ad allora Vittoria era stata considerata da loro una “sfigata”; ora invece, all’improvviso, la vedevano in condizione di “privilegiata”perché poteva usufruire degli aiuti compensativi previsti dalla legge n. 170.

Così, invece di sostenerla ed aiutarla nelle sue difficoltà, iniziarono a prenderla in giro con battute poco gradevoli, realizzando perfino cori “da stadio” sulla dislessia. In conseguenza di ciò e a seguito di una forte influenza, Vittoria ha iniziato a non riprendersi. Ci fu un periodo in cui veniva portata con una certa regolarità al pronto soccorso, in cui le veniva diagnosticata la difficoltà del suo corpo a riprendersi del tutto, quasi un auto-rifiuto.

Alla fine, grazie anche al sostegno di nuovi amici, Vittoria riuscì ad arrivare in fondo alla seconda liceo senza debiti. In terza, tuttavia, le difficoltà, seppur un po’ diminuite, non erano certo cessate.

Come strumento d’autodifesa Vittoria decise quindi di buttarsi nella politica scolastica attiva, perpotere relazionarsi con amici all’interno della scuola, più grandi di lei, in modo da sentirsi un po’ protetta. Iniziò così il suo impegno all’interno del Consiglio scolastico provinciale.
Poi, alla fine della terza, l’insegnante d’inglese le disse di venire a conoscermi, in quanto anche io ero dislessico. Ricordo che quel giorno un po’ timorosa, accompagnata da un’amica e un conoscente comune a far da tramite, si è affacciata alla porta della VC e abbiamo iniziato così il nostro percorso d’auto-aiuto. Nonostante l’antipatia iniziale, oggi siamo una “squadra” e abbiamo ottenuto tanti successi, tra cui l’organizzazione di un convegno cittadino sui DSA, al quale hanno partecipato più di un migliaio di alunni e insegnanti, e la fondazione di un’associazione di giovani dislessici chiamata Pillole di parole. Ora Vittoria è in V e si prepara ad affrontare il tanto temuto esame di Stato.

Si può fare anche così

A conclusione di questa testimonianza vorremmo dire che sicuramente non è un percorso facile quello del ragazzo DSA nella scuola italiana, ma è fattibile.
Si può fare; non bisogna buttarsi giù, ma darsi obbiettivi precisi e realizzabili, facendosi forza per raggiungerli. Non importa quanto ci vorrà, ma l’obbiettivo va raggiunto.
È molto importante che un ragazzo dislessico si appassioni alla lettura, ma non deve essere il risultato di un obbligo. Deve contare di più l’amore per il libro, il gusto per l’odore che questo ha, la soddisfazione del finirlo.
È importante l’uso delle mappe concettuali che però ognuno può usare in maniera differente. Sono importanti gli strumenti compensativi e dispensativi, quando sono accettati naturalmente e senza “sensi di colpa” sia dagli insegnanti sia dal ragazzo stesso.
È importante non essere mai mortificati, ma anzi spronati a dare il meglio di sé, entro i limiti massimi delle proprie possibilità. Ma soprattutto è importante il diritto allo studio, garantito anche dall’articolo 34 della Costituzione, di cui, come cittadini italiani, siamo fieri.

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Vittoria Hayun

Ha frequentato il Liceo scientifico Castelnuovo di Firenze. Sono stati attivi promotori della “Giornata sulla dislessia”, primo convegno sul tema organizzato da ragazzi, tenutosi a Firenze il 6 giugno 2012.

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