Doveri digitali

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Ho appena compiuto il mio dovere di cittadino. A garantirmelo, presidente di seggio, segretaria, scrutatori. Alle spalle di chi ha controllato il mio diritto all’esercizio di voto campeggiava una Lavagna Interattiva Multimediale. Spenta.

 

I dati assoluti di affluenza e le relative percentuali erano raccolti in una ordinata tabella, vergata però ancora con il gesso sul proverbiale supporto di ardesia, collocato sul muro in posizione defilata, a fianco dell’erede elettronica, a cui è invece trionfalmente riservata la posizione principale, quella dietro la cattedra. Come altri milioni di italiani hanno fatto e faranno tra oggi e domani, infatti, ho ricevuto le mie schede in un’aula della scuola secondaria di primo grado del paese dove risiedo. Il pomposo cambiamento di nome (tutti però la chiamano ancora media), insieme alla riduzione delle ore di lezione e alla installazione del dispositivo digitale oggetto di un piano di diffusione del superiore Ministero, che avevo già rilevato a dire la verità almeno un paio di occasioni elettorali or sono, è stato infatti una delle tre novità che hanno riguardato le sorti istituzionali del luogo dove mi reco ciclicamente da qualche lustro a questa parte.

Tornando in corridoio, mi è venuto in mente che, colpiti dal contrasto tra dotazione tecnologica potenziale e pratiche effettive dei componenti del seggio, i più sprovveduti tra gli altri elettori della mia sezione – in particolare quelli che tendono a generalizzare la propria esperienza personale – potrebbero anche concordare con la suggestiva (è un eufemismo – NdR) opinione espressa due giorni or sono da Giovanni Biondi, secondo il quale la scuola digitale è giunta al “punto di non ritorno” e gli insegnanti “saranno costretti” a seguire un processo di innovazione “ormai compiuto”. E quindi desiderare di aggiungere al proprio elenco personale altri soggetti e altre prassi da rottamare. L’ineffabile Capo del Dipartimento per la programmazione e la gestione delle risorse umane, finanziarie e strumentali sostiene la sua visione della scuola con alcuni risultati a suo dire straordinari: le aule dotate di LIM saranno al più presto 100.000, così come i “portatili” o i tablet in possesso degli studenti, mentre le classi 2.0 diventeranno 2.700. Dimenticando di raffrontare i numeri con le realtà di riferimento, i trend relativi alle classi e agli alunni. Approssimando ottimisticamente questi calcoli, le aule con le lavagne digitali sarebbero circa il 33% del necessario. E questo dato può forse essere giudicato positivo, soprattutto se non si considera il digital divide indotto nel 67% che continuerebbe a starne senza; carenza per fortuna non ulteriormente accentuata dalle classi 2.0 (0.8% del totale) e nemmeno dagli studenti dotati di dispositivi digitali personali (1,5% dell’insieme). Nell’uscire dall’edificio scolastico, perciò, ho dato uno sguardo particolarmente attento alle altre aule, che ho visto arredate per lo più in modo tradizionale. Ho ancora allargato virtualmente lo sguardo e la mente. E mi sono consolato, pensando che tra le varie prove di democrazia autenticate da una tornata elettorale come quella che stiamo vivendo vi è anche il fatto che i cittadini del nostro Paese visitano gli edifici scolastici e si rendono conto di quali sono le reali condizioni in cui i loro figli e nipoti compiono i propri percorsi formativi, al di là di ogni tentazione demagogica.

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Marco Guastavigna

Insegnante nella scuola secondaria di secondo grado e formatore. Tiene traccia della sua attività intellettuale in www.noiosito.it.

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