Marco Simonelli appartiene alla schiera dei “giovani” poeti italiani che anagraficamente non sono più tali, avendo alle spalle venti e più anni di scrittura in versi. Si tratta, dunque, di un nome ormai conosciuto e affermato, il cui nuovo libro, Le buone maniere (Livorno, Valigie Rosse, 2018), rappresenta insieme una conferma e un approdo: conferma della notevole coerenza del percorso creativo di Simonelli; approdo a una maturità di temi, ritmi e sonorità che fa di lui una delle voci più interessanti della poesia di oggi.
Due sono a mio avviso le doti non comuni che spiccano in questo libro: la prima è lo sguardo lucido ma non cinico che Simonelli rivolge ai fenomeni individuali e sociali del mondo e della classe sociale da cui proviene (l’agiata borghesia fiorentina), a partire da elementi biografici che il confronto con la storia letteraria permette di illuminare e comprendere più a fondo.
Il tema delle norme comportamentali cui attenersi in società, anche come costruzione rigida e costrittiva, è riletto alla luce di una tradizione che dalle origini della nostra cultura (il Bonvesin de la Riva maestro delle «cortesie de desco») incrocia il Rinascimento maturo (il Monsignor della Casa del Galateo) per giungere, tra il serio e il faceto, alle regole di bon ton impartite agli italiani del Dopoguerra da Donna Letizia.
Una certa idea di apparenza e decoro sociale, ripensata quasi con tenerezza per la sua desuetudine ma di cui non si ignora l’implicita violenza disciplinare, impositiva (si vedano le sezioni Savoir faire e L’arte di ricevere), si intreccia con un’urticante materia personale, con quello che gli anglosassoni chiamano il coming of age.
Il difficile (mai veramente concluso) apprendistato del mestiere di crescere è in effetti il nodo memoriale-caratteriale che stringe l’intero libro, a partire dalle sue radici temporali (gli anni Ottanta) e geografiche (la Toscana, e Firenze in particolare, con la sua topografia e le sue ricorrenze popolari, oggi scomparse: la Rificolona, la Festa del grillo…).
Sezione dopo sezione l’interminabile Bildung di un bambino benestante ammaestrato all’interazione drammaturgica con gli altri da un padre inconsapevolmente omofobo e da un corteggio di nonni e zie adoranti si confonde con l’oggi di un poeta che si interroga sulla natura cerimoniale, tra il teatrale e il liturgico, dei rapporti umani, in toni ora malinconici, ora arguti e divertiti, senza nascondere una certa quota di esibizionismo narcisistico.
CANTINA
e tu tasti a tentoni la parete
con dita timorose e pusillanimi
col terrore del tutto immotivato
di trovare nel buio un’altra mano
che cerca come te l’interruttore
Continuamente mescidando umorismo pirandelliano, scrittura sentimental-satirica, confessional poetry di matrice statunitense ed echi giocosi della produzione larmoyant di Otto-Novecento, Simonelli fa baluginare qua e là raffinate allusioni metaletterarie – In cucina è, da questo punto di vista, un componimento esemplare – e ricorrente è la scelta di adottare il punto di vista di creature marginali (un’anziana deceduta, un piccione) o addirittura di oggetti della civiltà dei consumi che rivelano sentimenti umani (l’elettrodomestico messo da parte, le pietanze in frigorifero), dove però, e qui va cercata l’originalità del libro – che proprio da questo punto di vista porta a compimento un percorso di lungo corso della scrittura di Simonelli – il perturbante domestico, o l’indomestico che dir si voglia, è portato in scena come una sorta di sit-com allucinata, avvolgente e dolcemente patetica (secondo il modello iconico di “Casa Vianello”, cui già aveva dedicato un testo in passato).
Si intende dire che nella riuscita alchimia di disperato sghignazzare e di sottile sorridente angoscia, l’umanità di persone e cose è amata, o rifiutata, prendendo in considerazione la complessità delle situazioni e dei rapporti e mai una loro variante semplificata o scorciata, sempre rispettando la complessità delle psicologie (non c’è un’interiorità “positiva” da difendere contro una cattiva esteriorità), per cui l’impulso a ridersi o piangersi addosso, spesso, coincidono. Esemplare in tal senso quell’esperimento col sé, ossia col tema nodale del diventare adulti affrontando la natura della propria sessualità, che è la sezione Educazione sessuale del fanciullo; i due testi-cornice Armadio 1 e Armadio 2 sono a mio avviso tra le cose più belle, ricche e intense lette in questi anni.
ARMADIO (1)
Avevo una borsetta, una pochette
sbucata dall’armadio della nonna
un pomeriggio vuoto in cui cercavo
riparo e nascondiglio.
La nonna è una sarta
cuce i vestiti
ci vanno le donne
accorciano e allargano sottane e giacchette.
Le loro borsette contengono mondi di storie e ricordi.
L’infanzia è un boccone. L’addenti. La mordi.
Volevo unicamente una bisaccia
che contenesse almeno una manciata di fagioli,
i soli che si piantano e poi ricrescono
per arrivare – arrampicandosi – alle nuvole.
E favole, favole:
dicono ai bambini che sono tutti uguali.
Si tratta di ruoli.
Di ruoli sessuali e paure.
Di errori.
Di mali minori.
Il babbo non vuole.
Lui dice: è inadatta.
Ti prendono in giro.
Ti chiamano femmina.
Lo dice che pare una cosa sbagliata.
Lo dice e poi tace.
Con la testa abbassata.
L’altra dote che credo debba essere riconosciuta a Le buone maniere è squisitamente letteraria: mi riferisco al felice orecchio con cui Simonelli scandisce il proprio verso, ne determina il ritmo (spesso di una cantabilità piena, ariosa, mai corriva), dispone l’ordine del discorso e sceglie i sintagmi, con esiti che oscillano tra il comico-realistico medievale e la lezione di un Gozzano (si veda Il salottino: «Nei vasi solamente fiori secchi / e gianduiotti sfatti nei cestini. / Giaguari maculati di maiolica, / uccelli damascati sui cuscini») e del Palazzeschi più smagato e birichino.
Quell’ineliminabile componente musicale del fare poesia che pochi poeti d’oggi possono vantare è in Simonelli una dote felicemente naturale, coniugata senza cadute o sbavature al tono generale del libro. In media la temperatura lirica è piuttosto alta, ma viene sapientemente raffreddata con scarti dalla norma affidati a scelte stranianti: penso alla lode francescana “attualizzata” («Sia lode a te» «Per l’acqua potabile e il riscaldamento centralizzato»), o a taluni profili psicologici che ricordano classici irridenti come la palazzeschiana Casina di cristallo (che era, in fondo, un altro testo sull’indomestico, e sull’ipocrisia coercitiva delle “buone maniere”).
Con Le buone maniere Simonelli ha saputo offrire al lettore, osserva acutamente Maccari nella nota critica che accompagna il volume, «contro la speciosa bontà di un’educazione omologata, uno straordinario album di ricordi e di ottime, cattive maniere».