Dialogo tra un venditore di registri e un professore

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Il registro elettronico non è né un bene né un male, a mio avviso. Non so se – alla lunga – sarà davvero un risparmio per la Pubblica Amministrazione, se consentirà un lavoro più agile alle Segreterie delle Scuole dove viene utilizzato o se garantirà una reale trasparenza degli atti: non spetta certo a me dirlo. Per me, come docente, in realtà non è cambiato molto, poiché se ora giro con un tablet in mano prima avevo sempre un registro cartaceo sottobraccio.

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O forse non è vero che non è cambiato nulla, perché tutte quelle “scartoffie” che prima giacevano come reliquie nel registro (copie di circolari, avvisi, versioni latine, fotocopie in esubero, “pizzini” scambiati con altri colleghi e – pro tempore – interi pacchi di temi.) si disperdono tra la mia borsa (che pesa un tonnellata), il mio cassettino personale (che ormai non si chiude più) e la cassettiera della cattedra (la quale – ogni insegnante lo sa – è un vero pozzo senza fondo). Certo, il mio vecchio registro aveva dopo pochi mesi di scuola le fattezze e le dimensioni mostruose di uno di quei faldoni che l’immaginario collettivo vede stiparsi sulle scrivanie dei Ministeri. Mi dava però una certezza assoluta: qualunque cosa cercassi era lì, più o meno nascosta. Devo confessare che qualche volta ci ho chiuso dentro pure la penna e addirittura i miei leggerissimi e invisibili occhiali al titanio, che come tutti i miopi/presbiti tolgo e metto di frequente, nonostante abbiano lenti cosiddette progressive.
Credo pertanto che il legame con il mio “Spaggiari” blu fosse più di tipo ombelicale, forse edipico, che non didattico; infatti anche se non mi trovo male con il tablet, mi manca un po’ il caro, vecchio e protettivo registro-contenitore, sempre pieno come la borsa di Eta Beta…
Inoltre, come tutti i signori di mezza età, comincio a diventare un po’ troppo conservatore e sospettoso; ansioso no, perché quello lo sono sempre stato anche da giovane. Ed è per questo che ho sempre con me anche una piccola cartelletta di plastica con pochi fogli stampati a tabella, dove trascrivo a mano i voti: se infatti – come qualche volta capita – il wi-fi è “deboluccio” questo mini-dossier mi aiuta ad avere sott’occhio il quadro della situazione. E poi non si sa mai: se gli extraterrestri, ovviamente sempre interessati al mondo della scuola, cancellassero le nostre banche dati informatiche, chi si ricorderebbe più a chi manca il voto in Latino? Sì, potrei spulciare tutti i “libretti dei voti” degli studenti, ma che noia…

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Ho finora fatto tutto ciò con una certa discrezione, vergognandomene un po’ e parlandone da “carbonaro” (in modo autoironico) con qualche collega. Ma la signora L., commessa di un negozio di articoli per ufficio vicino a casa mia, mi ha qualche giorno fa liberato da ogni vergogna. Sapendo il mestiere che faccio mi ha raccontato che per loro il registro elettronico è una pacchia, poiché sono molti i docenti che, privatamente, vengono a comprarsene uno cartaceo dopo essere stati sottoposti a “informatizzazione coatta”. E chi mai negli anni precedenti – ho subito pensato – si sarebbe mai sognato di comprarsi da solo i registri? Quelli li procurava la Scuola… la stessa Scuola che oggi paga con denari pubblici i sistemi elettronici, mentre i docenti passatisti (o ancora più ansiosi di me) si comprano con i propri soldini la loro “coperta di Linus” cartacea. Non so se questi colleghi compilino il cartaceo“abusivamente a casa loro, nel silenzio del loro studiolo, oppure lo esibiscano pubblicamente, come forma di virile (o muliebre) protesta contro il nuovo che avanza. Privato o pubblico che sia è comunque un atto di insubordinazione di un corpo docente che di solito – al pari dei Carabinieri – è uso ad obbedir tacendo.
Chissà perché ho pensato a Giacomo Leopardi, che sicuramente davanti a questo fenomeno avrebbe scritto un’immortale Operetta Morale dal titolo Dialogo tra un venditore di registri e un professore. Il testo avrebbe potuto – si parva licet – essere più o meno così:

Venditore Registri, registri nuovi; registri nuovi. Bisognano, professore, registri?
Professore Registri per l’anno scolastico nuovo?
Venditore Sì signore.
Professore Credete che sarà felice quest’anno scolastico nuovo?
Venditore Oh illustrissimo sì, certo.
Professore Come quest’anno passato? O come quando c’era la Moratti? O addirittura D’Onofrio? O finanche la Falcucci?
Venditore Più più assai, illustrissimo. E tanto più felice se oltre allo elettronico che la Natura Matrigna vi ha fornito acquisterete ancora il registro di carta.
Professore E con il registro di carta rifarei la vita che ho fatto a scuola, né più né meno, con tutti i piaceri e i dispiaceri che ho passato in cotesti vent’anni?
Venditore Nossignore, voi ne avreste i soli piaceri, ché i dispiaceri li lasciate a coloro i quali si infatuano per questa bizzarra novità e sovente ricercano, invano, nell’aere un segnale vago e indefinito per il suo funzionamento. Li avete visti agitare con affanno la tavoletta elettronica come i rabdomanti del Catai si dice agitino il bastone per scovare l’acqua?
Professore Sì, li vidi. E so di qualcuno che, alla ricerca del segnale, si è disperso giungendo fino all’interiore dell’Affrica, passando sotto la linea equinoziale; oppure andò a cozzare con gli ermi colossali che s’ergono nell’isola di Pasqua. Nossignore, non vo’ diventare anche io pasto per i mostri che abitano quelle terre inospitali. Dunque mostratemi il registro più bello che avete. Lo voglio blu, con una copertina che si gonfi all’infinito. Voglio difatti infilarci le sudate mie carte, che altrimenti disperderei.
Venditore Ecco, illustrissimo. Cotesto vale trenta soldi: ben spesi, ché la Natura Matrigna per lo elettronico ne ha spesi di più assai, anche se non se ne avvede, se non rarissime volte.
Professore Ecco trenta soldi.
Venditore Grazie, illustrissimo: a rivederla. Usatelo, tenetelo con cura, ma non mostratelo in giro, ché apparirà come troppo avverso alle magnifiche sorti e progressive della scuola di oggidì. Altro dirvi non vo’… Registri, registri nuovi; registri nuovi.

P.S. Mi scuseranno l’irriverenza i Dirigenti Scolastici, i Colleghi, il personale di Segreteria, gli operatori informatici che operano per programmare, perfezionare e diffondere il registro elettronico: non intendo offendere il lavoro di nessuno. Ma poiché si tratta ormai di un fenomeno diffuso, invece che schierarmi pro o contro (cosa che sinceramente non saprei fare…), ho voluto prendere spunto dal racconto – assolutamente vero – della signora L. per costruire questo divertissement, che ho ideato dopo avere letto il gustoso pezzo sui libri digitali dell’amico Sandro Invidia intitolato Forse avrei dovuto dirlo. Non so se io avrei dovuto scriverlo, ma credo che approcciarsi a queste tematiche con un po’ di autoironia e senza troppi pregiudizi sia comunque un fatto positivo. Ah, dimenticavo: le ultime scuse sono per Leopardi, le cui Operette (e non solo) ho vandalicamente saccheggiato…

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Mauro Reali

Docente di Liceo, Dottore di Ricerca in Storia Antica, è autore di testi Loescher di Letteratura Latina e di Storia. Le sue ricerche scientifiche, realizzate presso l’Università degli Studi di Milano, riguardano l’Epigrafia latina e la Storia romana. È giornalista pubblicista e Direttore responsabile de «La ricerca».

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