Di Expo in Expo. Da Torino 1902 a Milano 2015.

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«Vorremmo che questa nostra esposizione avesse un carattere completamente nuovo, vorremmo cioè fornire ai visitatori non lo spettacolo di un’accolta di oggetti varii di destinazione e stile, ma una serie di complessi decorativi, di ambienti completi, rispondenti ai veri bisogni delle nostre esistenze; e vorremmo che questa mostra organica di arredi non avesse soltanto di mira un aristocratico carattere di eleganza e di bellezza d’arte, ma anche e soprattutto un carattere pratico e industriale. Vorremmo, in una parola, che artisti e fabbricanti non tendessero tanto alla creazione di pregevoli oggetti di lusso, quanto allo studio di tipi di decorazione completa, adatti a tutte le case e a tutte le borse e massime alle più umili, in modo da promuovere un reale, efficace e completo rinnovamento dell’ambiente». L. Bistolfi, D. Calandra, G. Ceragioli et al., Editoriale in «Arte decorativa moderna», 1. Torino, 1902.

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Nel 1902 Torino, che tre anni prima era diventata il motore industriale d’Italia con la nascita della Fiat di Giovanni Agnelli, ospitò nel parco del Valentino e lungo il fiume Po i padiglioni dell’Esposizione Internazionale di Arte Decorativa Moderna. A promuoverla erano stati un gruppo di artisti e critici d’arte, tra cui gli scultori Leonardo Bistolfi e Davide Calandra, l’architetto Reycend, il critico Enrico Thovez. La complessa macchina dell’Expo puntava a farsi promotrice dell’esigenza di allargare al grande pubblico la conoscenza dei nuovi prodotti e delle nuove frontiere tecnologiche, e per conferire alla città e al Paese, cosa molto importante in un’epoca di forti nazionalismi, un ruolo economico e produttivo di livello internazionale. In questa esposizione, come nelle analoghe d’oltralpe che andavano organizzandosi in quegli anni così movimentati tra fine ‘800 e primi ‘900, si pensava alle arti decorative come un unicum che abbracciava tanto l’oggetto di uso quotidiano quanto l’arredamento urbano. La progettazione non riguardava più un solo ambito, ma investiva tutto l’oggetto del produrre: in una stanza da pranzo il progettista-artigiano-artista curava i tavoli e i soffitti come le tazze e i candelabri, in un palazzo l’architetto-progettista-artista curava il disegno dell’edificio e le ringhiere interne delle scale, fino alle maniglie delle porte. La novità principale, ancora attuale, è che viene ufficialmente invocato il superamento della distinzione tra ciò che è utile e ciò che è arte. Non è più vero che ciò che è utile e pratico non possa anche essere “bello”: anche l’oggetto di uso quotidiano deve essere argomento di interesse artistico, per educare al bello strati sempre più vasti di popolazione. E questo naturalmente poteva essere fatto solo sensibilizzando la nascente industria a produrre per tutti (sostanzialmente per la media e piccola borghesia) prodotti disegnati non solo per uno scopo pratico, ma anche per compiacere l’occhio. Un successo. Da ripetersi.

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E infatti solo quattro anni dopo, nel 1906, toccò a Milano ospitare l’Esposizione Internazionale a tema “I Trasporti”: di pochi mesi prima era l’inaugurazione del traforo del Sempione, grandiosa opera ingegneristica che rese possibile il primo collegamento ferroviario tra Milano e Parigi, e dunque tra l’Italia e l’Europa.
Nell’area verde alle spalle del Castello Sforzesco, ora parco Sempione, furono realizzati i diversi padiglioni tematici. Per il finanziamento fu attuato un piano originale: i mezzi sarebbero stati raccolti in parte mediante pubblica sottoscrizione di azioni rimborsabili a fine della manifestazione. La popolazione rispose, come sempre, generosamente, talché a pochi giorni dall’inaugurazione la somma sottoscritta toccava la cifra, enorme per quegli anni, di sei milioni (da: Ciro Fontana, “Historia” Anno II – Aprile 1958, N.5).
La folla accorse numerosa: al Parco Aerostatico, alla mostra aeronautica, al padiglione russo dove lo zar Nicola promuoveva le imperiali fabbriche di porcellane. Tutt’attorno era un fiorire di bazar, empori, chioschi, locande e ristoranti. L’indotto, diremmo noi. Molti padiglioni stranieri attiravano i visitatori offrendo assaggi e degustazioni dei loro prodotti tipici. Per la prima volta fu possibile gustare a Milano le raffinatezze della cucina cinese. Per la prima volta ci si potè immergere nel kitsch delle “ricostruzioni etniche”: fece scalpore per esempio la ricostruzione di un quartiere egiziano moderno, con annesso ristorante tipico davanti al quale era legato –fortemente evocatore di atmosfere esotiche- un vero cammello. Un successo.

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Rilette oggi, le storie, gli scopi e le ragioni che mossero gli eventi di inizio secolo valgono ancora, attuali e motivanti, pur in uno scenario capovolto. La fiducia nel progresso e nelle opportunità del futuro che guidarono gli sperimentatori del passato sono difficili da ritrovarsi oggi.
Potremmo così scriverne l’introduzione, per i posteri.
Nel 2015 l’Italia, da tempo stretta nella morsa di una crisi divenuta stagnazione divenuta recessione, affida alla città di Milano la via del rilancio nazionale.

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“Expo 2015 rappresenta il cuore delle possibilità di ripresa per l’Italia. Sarà uno snodo per agganciare una ripresa per il nostro Paese. Non termina nel 2015, ma deve avere un futuro” auspicava Enrico Letta, appena eletto primo ministro di un governo istituzionale cui venivano associate grandi aspettative in un clima di malcelato scetticismo. E dal governo della città si ribadiva: “ Milano dovrà diventare capitale d’Europa: l’Expo non è solo di Milano e della Lombardia né solo dell’Italia, è la vetrina del mondo e noi dobbiamo essere in grado di rappresentare tutta l’Europa”.
Grandi aspettative, come è lecito aspettarsi. Ma cosa succederà?
Facciamoci soccorrere dal comunicato stampa, che ritroviamo nel sito ufficiale della manifestazione:
Il tema di Expo Milano 2015 (1 maggio-31 ottobre) è “Nutrire il Pianeta, Energia per la Vita”; positivi i dati sul coinvolgimento dei Paesi stranieri (ad oggi sono 128 le adesioni ufficiali) e ricchi gli spazi tematici, in cui verranno sviluppati specifici itinerari legati all’alimentazione, argomento cardine della manifestazione. Sui 750 metri quadrati in cui si articola la mostra saranno valorizzati gli elementi più importanti legati al tema ispiratore: il cibo. Naturale, controllato, certificato. Ma soprattutto: per tutti.
Tra questi, il progetto Cluster: nove aree espositive riuniranno sotto la stessa struttura architettonica più Paesi accomunati dalla produzione di un particolare tipo di prodotto (Caffè, Cacao, Riso, Cereali e Tuberi, Spezie, Frutta e Legumi) o interessati ad affrontare un argomento condiviso (Bio-mediterraneo, Isole e Zone Aride).
Si parlerà dunque di biodiversità, di politiche ambientali, di soluzioni biosostenibili, di clima e dei problemi di un pianeta ipersfruttato, di salute e di corretta alimentazione.
Non sarà soltanto un’occasione commerciale, l’evento dovrà caricarsi necessariamente di una valenza etica sostanziale.
E speriamo che non sia l’ennesimo appello inascoltato, l’ennesima summa di buoni discorsi e di validi progetti inattuati.
Speriamo che sia un successo.

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Emanuela Mazzucchetti

Responsabile della redazione iconografica di Loescher Editore.

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