Dante, le Rime 
in breve

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A compimento del suo ultratrentennale lavoro sull’edizione e poi sul commento delle “Rime” di Dante, negli ultimi anni di vita De Robertis aveva messo mano a una riscrittura di quelle poesie, il cui testo è stato stampato e distribuito dagli eredi in occasione delle giornate in memoria di Domenico De Robertis organizzate da Giuliano Tanturli all’Università di Firenze (9-10 febbraio 2012). Nella nota introduttiva al volumetto, intitolato “Dante, le rime in breve” e di recente ripubblicato dalla rivista «Per leggere», De Robertis dichiarava di non voler tradurre in prosa corrente le “Rime”, bensì di voler rendere, di ogni poesia, «riassumendolo, il senso e l’intenzione, diciam pure la sua individualità». Ciascun testo è anticipato, tra parentesi quadre, da «un compendio che ne aiuti, come facevano le antiche rubriche, la riconoscibilità». «Quello che non si conserverà», concludeva, «sarà, inevitabilmente, la lingua di Dante, che domanda un più diretto, vitale approccio».

De Robertis Dante Rime

 

 

Così nel mio parlar vogli’essere aspro

[Replicare alla durezza di lei, accettando lo scontro, in un rapporto agonistico che si conclude in un perduto abbraccio.]

Che il mio dire fronteggi la petrigna asprezza di costei, vinca la corazza d’orgoglio opposta alle saette d’Amore: lei colpitrice infallibile, dalla quale non v’è difesa né scampo.
In cima dei miei pensieri, si fa beffe del mio inenarrabile tormento: di cui sento il morso, e che vorrei restasse segreto.
Ché il solo pensiero che altri s’accorga del mio stato mi fa tremare più della morte che s’accanisce su di me. Sono a terra, una delle tante vittime di Amore, interamente alla mercé di lui; lui che raddoppia i colpi, ed io le grida: fatto esangue, e a cui il solo cenno di ferirmi è certezza di morte.
Facess’egli altrettanto di lei! Accetterei la mia sorte. Perché non anche lei preda d’Amore? e io correre in suo soccorso, e prenderla per le chiome, lei consenziente infine!
Avvinti così in un abbraccio insaziabile, io spietato a mia volta e feroce, consumerei la mia vendetta, occhi negli occhi, fino alla pace che segue al combattimento.
Canzone, va’ da lei che di sé m’ha privato e di me stesso; e conficcale in cuore una saetta, per mia degna vendetta.

***

Amor che ne la mente mi ragiona

[È il trionfo della nuova donna – nelle parole di Dante risonanti l’entusiasmo già del riconoscimento dell’antica – raffigurata come la Sapienza dell’Antico Testamento, e destinata a identificare la Filosofia nell’interpretazione del Convivio. Gli iniziali disdegni significherebbero le difficoltà dell’iniziazione.]

Amor che nella mente mi ragiona dice della mia donna cose da farmene smarrire. Così dolce è il suo parlare che non sono in grado di ridirle: colpa in parte della pochezza del mio intelletto, in parte dell’inadeguatezza delle mie parole.
Il sole nel suo vasto giro non vede nulla di paragonabile a lei. Gli angeli stessi ne sono ammirati, e innamorarsi, sulla terra, è lo stesso che pensare di lei. Di lei si compiace il Creatore, che la colma dei suoi doni, che si manifestano nelle sue bellezze, sorgenti di desideri e di sospiri.
La virtù divina piove in lei come nell’angelo che la contempla: basta specchiarsi in lei per accorgersene. La sua parola è uno spirito mandato dal cielo, che oltrepassa ogni nostro merito; i suoi atti sono tutt’una provocazione d’amore, da lei apprendiamo che cosa è gentilezza, che cosa è bellezza, che cosa è miracolo, i fondamenti stessi della nostra fede: al che appunto ‘ab aeterno ordinata est’.
Il suo aspetto, i suoi occhi, il suo sorriso sono una visione di paradiso. Il nostro intelletto ne è abbagliato, e si resta senza parola. La sua bellezza è un’irradiazione di fiamma, suscitatrice dei più virtuosi pensieri. Prenda dunque ogni donna esempio da lei: nemica d’ogni male, fu pensata dall’autore stesso dell’universo.
Canzone, il tuo dire è il contrario di quello di una ballata tua sorella, che colei che tu canti definisce disdegnosa. Ma succede come del cielo, regno della luce, che per difetto della nostra vista ci sembra che s’oscuri. È l’anima che è atterrita di tanta altezza. Scusati perciò con lei, e prometti di divulgare le sue lodi.

***

Perché ti vedi giovinetta e bella

[Ballata di sfida a una giovane che vuol saggiare il proprio potere di seduzione.]

È perché ti vedi giovane e bella da innamorare che hai messo su superbia.
Vuoi provare se è vero che l’amore uccide; e perché mi vedi preso più di tutti, non ti curi della mia pena. Possa tu farne esperienza.

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A ciascun’alma presa e gentil core

[Il sogno di Dante diciottenne e le interpretazioni degli amici poeti.]

A tutti i fedeli d’Amore, perché diano il loro responso. Sull’ora terza mi è apparso in sogno Amore, terribile al solo ricordarlo. Sembrava allegro, con in mano il mio cuore e madonna tra le braccia. Poi la svegliava, e la costringeva a mangiare del mio cuore ardente. Dopodiché si allontanava piangendo.

***

Lo meo servente core

[Composizione di lontananza, perché madonna si ricordi di lui, fino al ritorno.]

A voi, madonna, raccomando il mio cuore fedele: è Amore che l’ha fatto vostro. E Mercé, d’altra parte, vi rechi qualche ricordo di me. Già, nell’allontanarmi, mi sostiene la speranza di rivedervi. Il distacco sarà breve: non fo che pensare di tornare a guardarvi. Dunque, assistetemi nel viaggio e durante l’assenza.

***

Guido i’ vorrei che tu e Lippo ed io

[Invito a Guido Cavalcanti e ad altro amico di immaginare una vacanza assieme alle loro donne.]

Guido, e se io, te e l’amico Lippo ci s’imbarcasse su un battello fatato, in salvo dalle tempeste, e ci si spassasse in compagnia; e con noi le nostre donne, Vanna, Lagia eccetera? E non si facesse altro che ragionar d’amore: contente loro, contenti noi?

***

Com più vi fere Amor co’ suo’ vincastri

[Conforti ad un innamorato, poeta lui stesso, di cui sappiamo solo che è esistito, e che Dante lo ha conosciuto.]

Più Amore ti castiga, più va ubbidito: non c’è altro da fare. Verrà tempo che risanerà le ferite, perché queste son nulla rispetto al bene che verrà. Dunque coraggio, se siete quello che dicono i vostri versi. Da lui viene ogni bene ed ogni allegrezza.

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Domenico De Robertis

(1921-2011) è stato uno dei maggiori filologi italiani del Novecento, editore e commentatore di testi della tradizione antica e moderna.

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