Tra gli organizzatori spicca la più nota tra le associazioni nazionali dei dirigenti scolastici, che raccoglie – almeno nelle intenzioni e probabilmente per evitare di essere accusata di corporativismo – anche le “alte professionalità”, di cui notoriamente la scuola è molto ricca. La affianca, come in altre partnership, la più famosa tra le aziende produttrici di software, quella che solo recentemente ha dovuto cedere il primato del fatturato alla principale concorrente, quella che a sua volta invece afferma che tutti, nessuno escluso, dovrebbero “pensare differente”, ovvero acquistare i suoi dispositivi e usare i suoi sistemi operativi proprietari.
E così, al momento della presentazione della domanda di partecipazione alla selezione degli partecipanti effettivi, che avverrà a “giudizio insindacabile” del Comitato di Progetto, bisogna solennemente dichiarare di avere una “una conoscenza di base dell’ambiente Windows” e “una sufficiente capacità di utilizzo del software PowerPoint e della rete Internet per l’accesso alle risorse online”.
Del resto il nostro citato immaginario professionale nella sua versione 2.0 ha da tempo assegnato piena autosufficienza concettuale al nome commerciale dell’ambiente digitale venduto da Microsoft per realizzare diapositive digitali: non vi è nessuno che non consideri essenziale, per possedere e vedersi riconosciute competenze informatiche piene e autentiche, “Saper fare un PowerPoint”, confidenzialmente abbreviato dai più esoterici in “Saper fare un ppt”.
Lo schema del corso è uno tra i più frequenti tra quelli utilizzati: esposizione concettuale e istruzioni operative a cura dei formatori; realizzazione di esempi a cura dei formati; sperimentazione in classe dei materiali prodotti, fase nella quale interverrà niente meno che il Dipartimento di Comunicazione e Ricerca Sociale dell’Università “La Sapienza” di Roma.
Scopo generale dell’attività sono del resto “definizione e validazione di un protocollo formativo, che possa essere proposto e divulgato in modo ampio”. Il che giustifica che partecipino al progetto, oltre a una scuola informatica, che “può vantare oltre 1000 allievi diplomati – sic! – con Attestato di Qualifica Professionale nel campo dell’informatica”, anche l’ASL di Frosinone e la Banca Popolare del Frusinate.
Considerati i miei trascorsi, sarei davvero curioso di conoscere nei dettagli soprattutto il contenuto scientifico e le implicazioni didattiche e formative della lezione del 4 febbraio, che calendarizza: “Gestione dei software per la realizzazione delle mappe. L’apprendimento: un’abilità da esplorare. Presentazione delle cornici teoriche di riferimento alla base della didattica inclusiva”. Devo però ragionevolmente prendere atto che a essere ubiquitari sono i bit dell’informazione e non gli atomi di cui si ostina a essere composta la mia persona; e pertanto non posso che rinunciare, sia pure con estremo disappunto, a proporre la mia candidatura. Già, perché il corso, che potrei frequentare gratuitamente e che mi rilascerebbe un attestato di partecipazione, si svolgerà a 708 chilometri dalla mia sede di servizio, percorribili con la mia automobile e in condizioni di traffico congestionato in sei ore e 15 minuti, sola andata.