Così, a Yazd, parla ancora Zarathustra

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Reportage dall’Iran: seconda parte di un viaggio affascinante nello spazio e nella storia. Dopo Pasargarde e Persepoli, tappa a Yazd, per parlare di zoroastrismo ieri e oggi.
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Il profeta Zarathustra in un manoscritto settecentesco.

Riguardo allo zoroastrismo, prima del recente viaggio in Iran, conoscevo il minimo sindacale derivante dai miei studi classici, presto virati soprattutto sull’approfondimento matto e disperatissimo del mondo greco e romano.
Sapevo che il profeta Zoroastro (o Zarathustra), figura di difficile collocazione storica (e forse di dubbia storicità), è stato il “codificatore” della religione iranica antica; una religione basata sull’idea che la realtà è eternamente condizionata da una lotta tra bene e male e parimenti fondata sul culto di una suprema divinità solare (Ahura Mazda): un vero monoteismo, insomma, che si affermò per secoli nell’impero persiano achemenide e sassanide prima di essere soppiantato dall’Islam.
Sapevo inoltre che i princìpi della sua predicazione sono contenuti nel libro sacro dell’Avesta, onnipresente nei manuali di glottologia indoeuropea, perché la lingua in cui è scritto è una delle più importanti manifestazioni dell’antico iranico.
E, infine, ricordavo come sovente gli studiosi accostino la religione zoroastriana alle figure dei Magi menzionate nei Vangeli. Poco davvero, ma sufficiente a cavarmela in tanti anni di insegnamento: spero che gli iranisti che mi leggono perdoneranno la mia ingenua confessione!

Lo zoroastrismo nell’Iran di oggi

Anche ora sono ben lontano dall’essere un esperto in materia. Però, leggendo e – soprattutto – visitando di persona alcuni siti credo di avere una più ampia nozione di questo fenomeno. E, si badi, non mi riferisco tanto alle frequenti immagini allusive al mazdeismo presenti nei rilievi di Persepoli, che ero ben preparato a vedere; bensì ad alcuni monumenti che attestano come la religione zoroastriana abbia avuto pure in tempi recenti (e in parte abbia ancora) una significativa importanza nella storia persiana, poiché anche all’interno dell’odierna Repubblica Islamica dell’Iran esiste una minoranza ufficialmente riconosciuta (si parla di circa 30.000 persone, ma le stime sono tutt’altro che certe) che pratica questo culto, e che da poco ha ottenuto la garanzia di un proprio membro in parlamento. Certo, si tratta di numeri inferiori ai 100.000 fedeli indiani (parsi, cioè eredi di persiani fuggiti dopo l’islamizzazione della loro patria), ma comunque significativi.

Yazd, affascinante città vicino al deserto 

  • xYazd, città vecchia.
  • xYazd, città vecchia con bagdir
  • xAmir Chakhmaq, particolare

Una delle città dove la comunità zoroastriana è più numerosa (almeno 4000 fedeli) è Yazd, nell’Iran centrale; questo centro dal fascino particolare, descritto già da Marco Polo (che ne apprezzò le raffinate stoffe) e ubicato in prossimità della regione desertica, merita comunque – zoroastrismo a parte – qualche nota ulteriore; così come meritano un assaggio i dolci che qui si producono, uno dei vanti di questa città, che vi si scrive non si è lasciato sfuggire…

Senza dubbio quello che incanta di Yazd – dal 2017 inserita nel patrimonio UNESCO – è il contrasto tra la monumentalità dei suoi edifici islamici e le antiche case di mattoni di fango essiccato al sole, dalle quali emergono le cosiddette “torri del vento” (bagdir), torrioni finestrati che catturano e fanno circolare l’aria realizzando un ingegnoso sistema di raffreddamento.
Ma torniamo all’architettura islamica, che ci propone due realtà particolarmente interessanti. La prima è il complesso scenografico di Amir Chakhmaq (XV secolo), che dà origine a una delle più suggestive piazze che abbia mai visto: struttura composita che – oltre alla moschea – comprendeva edifici ad altra funzione (ad esempio un caravanserraglio, un bazar, uno stabilimento termale); l’altra è la Moschea Jameh (XIV secolo), il cui profilo slanciato e le cui decorazioni in maioliche azzurre lasciano letteralmente senza fiato.
Il lettore si starà però chiedendo: cosa c’entra tutto ciò con lo zoroastrismo dal quale sono partito? C’entra eccome, perché la Moschea Jameh venne fatta edificare sulle fondamenta di un distrutto “tempio del fuoco” zoroastriano: i cultori di questa religione non solo rispettano i quattro elementi fondamentali (acqua, terra, aria e fuoco), ma vedono nel fuoco una manifestazione della luminosità di Ahura Mazda, e pertanto gli conferiscono una speciale sacralità.

Testimonianze dello zoroastrismo a Yazd

  • xMoschea Jameh.
  • xMoschea Jameh, particolare.
  • xLe maioliche della Moschea Jameh

Venendo poi ai monumenti dove con maggiore evidenza – parafrasando Nietzsche – Zarathustra parla ancora, non posso non citare un elegante tempio del fuoco dove arde, secondo la tradizione, quella fiamma plurisecolare – epifania terrena di Ahura Mazda – di cui già si è detto. La struttura, pur se ubicata in un bel giardino con tanto di fontana, non ha però – e qui esprimo un parere personale – troppa suggestione, a causa della sua evidente “modernità”: è stata infatti costruita negli anni Trenta del Novecento.

  • xIl Tempio del Fuco
  • x Fuoco sacro degli zoroastriani

Assai più interessante la visita alle cosiddette “torri del silenzio” (Dakhmeh-ye Zartoshtiyun), a pochi chilometri dalla città. Si tratta di antiche torri, più volte ripristinate nei secoli, cui si accede tramite ripide scalinate, che gli zoroastriani usavano a scopi funerari: infatti sulla loro sommità erano esposti i cadaveri, in attesa che gli avvoltoi ne spolpassero le carni.
Tale rito – che necessitava alcune complesse fasi propedeutiche (oltre alle torri ci sono infatti alcuni edifici rituali) – era considerato necessariamente alternativo sia all’inumazione, sia all’incinerazione, pratiche che avrebbero contaminato la terra o il fuoco, elementi sacri alla loro religione.

Siamo in un’area desertica, sovente spazzata dal vento, ed è indubbio il coinvolgimento emotivo che ancora oggi la visita provoca. Tanto più quando si viene a conoscenza che tale prassi è stata in uso fino a una cinquantina di anni fa, e quando, dall’alto delle torri, si vede il moderno cimitero zoroastriano a testimonianza della pur sofferta vitalità di questo credo: una vitalità in parte nascosta, che probabilmente va oltre la reale pratica cultuale di una religione che – così si dice – affascina oggi molti giovani iraniani.

  • xLe due torri del silenzio
  • xUna torre del silenzio con edifici adiacenti
  • xLa ripida scalinata di una torre del silenzio
  • xPanorama urbano dalle torri del silenzio
  • xCaotico traffico di Yazd

Insomma, l’impressione è che se è vero che l’Islam in Iran è religione di Stato, nonché di gran lunga la più praticata, in fondo ogni iraniano – parafrasando stavolta Benedetto Croce – non può non dirsi, almeno un po’, zoroastriano, non foss’altro per l’orgogliosa continuità identitaria con l’illustre passato della Persia achemenide e sassanide del quale ho già parlato su queste colonne.
E questa non è solo una mia fuggevole impressione, ma una realtà profonda alla quale allude anche Kader Abdlolah, autore iraniano di lingua olandese, nel suo bellissimo romanzo La casa della moschea (Iperborea, 2008). Egli infatti scrive:

Il fuoco divenne simbolo di Ahura Mazda sulla terra. Il profeta [Zoroastro, N.d.A] offrì al suo popolo l’Avesta, dov’era scritta la parola sacra di Dio. Secolo dopo Maometto annunciò l’Islam e tutte le antiche credenze persiane furono cancellate e il Fuoco fu spento. Per millequattrocento anni nessuno ha più lodato il Fuoco o la Mucca, ma l’anima di quelle credenze ha continuato a vivere nello spirito dei persiani (p. 239).

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Mauro Reali

Docente di Liceo, Dottore di Ricerca in Storia Antica, è autore di testi Loescher di Letteratura Latina e di Storia. Le sue ricerche scientifiche, realizzate presso l’Università degli Studi di Milano, riguardano l’Epigrafia latina e la Storia romana. È giornalista pubblicista e Direttore responsabile de «La ricerca».

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