Cosa ci dicono le ossa di Sant’Ambrogio?

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Non è consueto che si tenga un convegno in una chiesa; se poi quella chiesa è la basilica milanese di Sant’Ambrogio, uno dei simboli religiosi (ma anche civili e storico-artistici) della città, il tutto si arricchisce di un fascino ulteriore.
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Ambrogio, Sacello di San Vittore in Ciel d’oro.

Dunque, da un lato la mia “milanesità”, dall’altro una lunga frequentazione della cultura e della letteratura classica (con un’attenzione particolare per il cristianesimo antico) non potevano non spingermi ad assistere all’incontro intitolato Apparuit Thesaurus Ambrosius. Le reliquie di Sant’Ambrogio e dei martiri Gervaso e Protaso tra storia, scienza e fede.

Tale importante evento si è tenuto lo scorso 30 novembre, data del battesimo di Ambrogio, che cade pochi giorni prima della festa del patrono milanese del 7 dicembre: quella che di solito si ricorda per la mondanissima prima della Scala!

Un convegno importante e… solenne

La solennità e l’importanza dell’evento sono state significate dalla presenza – oltre che di autorevoli relatori, moderati da Carlo Capponi (Beni Culturali, Diocesi di Milano) – dell’Abate di Sant’Ambrogio Mons. Carlo Faccendini e, soprattutto, dell’Arcivescovo di Milano Mons. Mario Delpini, a documentare il fatto che, in fondo, anche lì si celebrava una “prima” (pur senza pellicce e tacchi a spillo…): la “prima” dettagliata esposizione pubblica dei risultati della recente ricognizione delle ossa dei Santi Ambrogio, vescovo di Mediolanum dal 374 d.C., e Gervaso e Protaso, martiri milanesi (III sec. d.C.) tra loro fratelli, conservati con Ambrogio nella cripta della basilica. Già qualcosa, in realtà, era stato divulgato nelle ultime settimane: non però con questa completezza e ricchezza di particolari.

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Miniatura medievale, Il martirio di Gervaso e Protaso.

Il lavoro – come è documentato anche da un bel filmato di Stefano Teodori, girato con la supervisione di don Gianluca Bernardini (Ufficio Cinema e Teatro, Diocesi di Milano) – è stato svolto nei mesi scorsi con grande riservatezza da un’équipe di studiosi di diverse competenze disciplinari, dalla storia antica alla teologia, dall’archeologia alla chimica, dalla fisica alla medicina legale.
Sì, perché a coordinare il tutto è stata la professoressa Cristina Cattaneo, ordinario di Medicina legale alla “Statale” di Milano e direttrice del Laboratorio di Antropologia e Odontologia forense, cui è stata affidata una doppia grande responsabilità: quella di verificare lo “stato di salute” delle venerande reliquie, ma anche quella di confrontare – insieme con i suoi colleghi – i dati storici e devozionali con la realtà documentale delle ossa.

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La professoressa Cattaneo alle prese con le reliquie.

Ossa che – come ha detto la professoressa durante il convegno – sono dunque diventate veri e propri “beni culturali”, da sottoporre ad adeguate forme di restauro e conservazione, al pari degli altri materiali conservati con loro nella teca: a questo proposito è bene ricordare come le monache benedettine dell’Isola di San Giulio d’Orta abbiano restaurato i paramenti sacri, mentre a quelle del Monastero di Viboldone siano stati affidati i documenti cartacei.

Tra scienza e fede: le ossa di Ambrogio, Gervaso, Protaso

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Le reliquie dei tre santi.
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Il cranio di Sant’Ambrogio.

Ma andiamo con ordine, ricordando anzitutto che era dal 1871 che questi resti (ossei, ma – come si è anticipato – anche tessili: i santi vestono infatti preziosi paramenti dorati e purpurei) non venivano sottoposti a un check-up; check-up, quest’ultimo, con tanto di TAC e altre modernissime indagini scientifiche e di laboratorio, delle quali hanno parlato in molti (Nicola Ludwig, Silvia Bruni, Francesca Cappitelli, Davide Porta, Grazia Pozzi, Marco Caccianiga, tutti della “Statale” di Milano), e che hanno dato esiti rassicuranti: i tre infatti stanno tutti bene, potremmo dire, citando il titolo del film di Giuseppe Tornatore!

Inoltre la tradizione relativa alla realtà storica di Ambrogio e al martirio di Gervaso e Protaso (della quale ha parlato Marco Petoletti, docente dell’Università Cattolica di Milano) sembra essere confermata dalle conclusioni di Cristina Cattaneo. Ambrogio è dunque un uomo sui sessant’anni, alto circa m. 1.68, con una frattura alla clavicola destra e una decisa asimmetria del volto, forse legata a un trauma: non dimentichiamo che il Nostro, prima di diventare vescovo, era stato politico e militare di prim’ordine. E ha ragione chi afferma che anche il mosaico del sacello di San Vittore in Ciel d’Oro, conservato nella basilica, denota questa irregolarità fisiognomica.

Quanto agli scheletri di Gervaso e Protaso, paiono di due persone giovani (fra i 23 e i 27 anni), alte oltre m. 1.80 e di “sana e robusta costituzione”, come si sarebbe detto un tempo alla visita militare; sui loro corpi compaiono però segni di lesioni e – per uno dei due – assai probabili indizi di decapitazione. Ciò confermerebbe quanto la tradizione di un testo pseudo-ambrosiano ci ha raccontato sulle modalità del loro martirio: decapitato uno, massacrato con una frusta dotata di globi di piombo l’altro.

Monumenti preziosi: il sarcofago e l’altare d’oro

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L’altare d’oro della basilica di Sant’Ambrogio.

Non sono mancate, al convegno, importanti considerazioni sul sarcofago di prezioso porfido rosso egiziano che ha conservato per secoli le ossa dei tre; di questo ha parlato l’archeologo Fabrizio Slavazzi (Università “Statale” di Milano), ricordando che si tratta di un monumento di età tardo-romana, confrontabile solo con sarcofagi di membri della famiglia imperiale.

Miriam Rita Tessera (Archivio Capitolare di Sant’Ambrogio), inoltre, ha descritto il magnifico altare d’oro – cui lavorò l’atelier dell’orafo Vuolvinio – che l’arcivescovo milanese Angilberto II (in carica dall’868 all’881) volle donare alla basilica, e che ancora oggi ne è forse l’oggetto più ammirato: l’immagine – su di esso incisa – di Sant’Ambrogio che partecipa al funerale di San Martino di Tours rappresenta un atto di lealismo verso i Carolingi, ben comprensibile da parte di un vescovo franco di origine.

Cosa manca? Beh… chi ne sa un po’ di letteratura cristiana ricorderà che Ambrogio è stato autore di inni derivati dai salmi biblici, i quali col tempo sono diventati una cifra distintiva della liturgia ambrosiana. Riccardo Zoja – ordinario, come Cristina Cattaneo, di Medicina legale alla “Statale” ma anche raffinato esperto di musica – ha pertanto diretto in basilica il “suo” Concentus monodicus dando ai partecipanti al convegno un’idea di cosa significhi il “canto ambrosiano”: si è trattato di un preludio, breve ma di grande intensità emotiva.

L’emozione della storia

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Anthonis Van Dick, Sant’Ambrogio impedisce a Teodosio l’ingresso in chiesa.
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Cristina Cattaneo.

D’altronde era difficile, per i presenti, non emozionarsi; e non parlo solo di chi – in quanto credente – si è lasciato coinvolgere da un afflato religioso, poiché l’emozione è scaturita per tutti dalla sorprendente “loquacità” di resti così lontani e in apparenza così inerti. È troppo parlare di “emozione della storia”? Credo di no…

Dai reperti è emersa infatti, al di là delle vicende personali dei tre santi, la storia collettiva di una città che, nel bene e nel male, è stata caput imperii; una città – come ci ha ricordato Cristina Cattaneo – multietnica (lo dicono anche i resti ossei delle varie necropoli) e cosmopolita; una città (e qui il pensiero è di chi scrive…) dove un “tedesco” di Treviri (Sant’Ambrogio) poteva dialogare con un giovane e inquieto professore “algerino” di Tagaste (Sant’Agostino), prima di spingerlo alla conversione e battezzarlo. Non mi piacciono gli anacronismi, e so bene che i millenni passati hanno modificato assetti culturali e politici: però l’idea che la Milano d’antan fosse punto d’incontro tra la Mitteleuropa e l’Africa mi intriga, e mi rende orgoglioso di esserci nato.

Quando poi – pare assai presto – potrò ammirare la ricostruzione tridimensionale del volto del suo patrono, mi verrà voglia di interrogarlo, di parlare con lui della coraggiosa opposizione all’imperatore Teodosio, cui impedì nel 390 d.C. di entrare in chiesa in quanto reo di una strage nella città di Tessalonica, dove era scoppiata una rivolta. Non so se le cose siano davvero andate così (ci sono altre versioni dei fatti…), però l’idea di un vescovo che si oppone alla violenza del potere mi intriga anch’essa.

Ma forse è meglio finirla qui, perché temo che quella obiettività storica che i miei Maestri mi hanno insegnato stia venendo un po’ meno mentre scrivo questo articolo: d’altra parte non sono passate che poche ore dalla partecipazione a un evento che non dimenticherò facilmente, e i cui esiti – sono sicuro – sono destinati a produrre una grande discussione nella comunità scientifica.

P.S. Mi piace, in calce a questo articolo, ricordare anche l’impegno umanitario della professoressa Cristina Cattaneo, che è da tempo coinvolta in attività di identificazione dei migranti morti in mare. Alla sua ricca bibliografia scientifica, si è dunque aggiunto di recente il volume C. Cattaneo, Naufraghi senza volto. Dare un nome alle vittime del Mediterraneo, Raffaello Cortina editore, Milano 2018

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Mauro Reali

Docente di Liceo, Dottore di Ricerca in Storia Antica, è autore di testi Loescher di Letteratura Latina e di Storia. Le sue ricerche scientifiche, realizzate presso l’Università degli Studi di Milano, riguardano l’Epigrafia latina e la Storia romana. È giornalista pubblicista e Direttore responsabile de «La ricerca».

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