Concetti a “schiovere”

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Nel ragionare del taglio retorico che storicamente connota in Italia sia molta cultura umanistica sia parecchio giornalismo, caratterizzato da “scarsa propensione verso ciò che è analitico, ciò che è falsificabile” e da “scarsa attitudine alla verifica”, De Mauro rileva come sia più facile “scrivere un articolo o un saggio a schiovere” anziché ricorrere a “evidenze sperimentali, fattuali”.

 

Il sarcastico ricorso all’espressione dialettale napoletana – che utilizza la s che precede chiovere non per negare ma per accentuare, consegnandoci l’immagine di una furiosa pioggia di parole fuori controllo – è contenuto in una lunga intervista rilasciata a Francesco Erbani, pubblicata una prima volta nel 2004 e poi, rivista, ancora nel 2010 per i tipi di Laterza, con titolo “La cultura degli Italiani”, ma si adatta perfettamente a molti interventi in merito all’uso delle tecnologie digitali a scuola. Ve ne sono testimonianze anche molto recenti. L’ultima è il dibattito innescato da un articolo di Mariapia Veladiano su Repubblica del 2 gennaio, dedicato al registro elettronico prossimo venturo.
Tutto il testo è imperniato sulla tesi che, a fronte dell’utilità di un controllo da parte di genitori di voti e assenze dei figli in tempo reale, una presunta “smaterializzazione” dei rapporti tra insegnanti e famiglie ridurrebbe le occasioni di incontro e, di conseguenza, la reciproca fiducia. Il giorno successivo lo stesso quotidiano ha ospitato lo scrittore Edoardo Nesi e il sottosegretario Marco Rossi Doria. Il primo – forse per solidarietà anti-tecnocratica tra “umanisti” – rifiuta a sua volta a priori la soluzione digitale; il secondo tenta una mediazione tra spinte innovative e i timori che puntualmente l’intellighenzia dei patri salotti  – i cui figli frequentano regolarmente il liceo classico – esprime in occasioni come queste: “Un tempo negoziale è indispensabile nella scuola italiana: il registro elettronico non può annullare queste funzioni”.
Detto in soldoni: siccome si presume che scrivendo una sola volta i voti e le assenze sul supporto digitale grazie al processo di automatizzazione delle procedure gli insegnanti risparmieranno tempo, quel tempo stesso dovrà essere restituito attraverso “colloqui più ricchi e utili” con i genitori. Il computo è del tutto astratto e putativo; non un dato, non un numero; così come negli interventi dei detrattori delle soluzioni digitali, che si sentono autorizzati a denunciare scenari apocalittici senza fondarli su nulla che non siano le loro opinioni e sensibilità personali.

 

Veladiano, poi, arriva al punto da confondere la “dematerializzazione” prevista dalla progressiva digitalizzazione dei processi e dei prodotti della Pubblica Amministrazione con la “smaterializzazione” di cui si parla nella fantasy e nella fantascienza, quando corpi e oggetti esistenti perdono in modo temporaneo o definitivo la propria materialità. Il tutto impunemente, senza che nessuno – nella redazione di un grande quotidiano nazionale – si accorga dell’equivoco. O del fatto che anche i libretti di carta, con voti e assenze scritti a penna, sono un modo di far circolare informazioni superando distanze fisiche e senza rendere necessario il contatto diretto tra gli interlocutori.

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Marco Guastavigna

Insegnante nella scuola secondaria di secondo grado e formatore. Tiene traccia della sua attività intellettuale in www.noiosito.it.

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