Comunicare con i posteri

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Le scorie radioattive rimarranno pericolose per i prossimi 10.000 anni. Come spiegarlo ai nostri lontani pronipoti così che non si avvicinino ai depositi? Quali segni usare per comunicare con loro? Non certo quelli linguistici, data la nostra difficoltà a capire le antiche lingue, che non hanno più di 5.000 anni. Il problema, ancora irrisolto, è stato affrontato da un celebre semiotico americano, Thomas Sebeok, con un’idea molto originale.

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Come espone lui stesso nel capitolo 13 del suo libro I Think I Am a Verb (pp. 203-229), poco dopo l’insediamento di Ronald Reagan quale quarantesimo presidente degli Stati Uniti, il Bechtel Group Inc. (Bechtel Corporation), la più grande compagnia americana nel campo dell’ingegneria, e più in particolare il suo dipartimento incaricato di studiare il problema della conservazione delle scorie nucleari, l’Office of Nuclear Waste Isolation (Battelle Memorial Institute) con sede a Columbus nell’Ohio, assunse Thomas Sebeok, uno dei maggiori semiotici del nostro tempo, come consulente della Human Interference Task Force (HITF), il gruppo di lavoro sulle scorie atomiche, assegnandogli la responsabilità di “ridurre la possibilità di future attività umane che potessero intaccare i depositi geologici di rifiuti ad alto livello di pericolosità”. 
Precisamente il suo compito, in quanto esperto di semiotica, e dunque competente di segni e di comunicazione, era quello di trovare un modo sicuro per segnalare, nell’arco di 10.000 anni, la presenza, e il pericolo, di depositi di scorie atomiche. La Human Interference Task Force doveva infatti preparare un rapporto su questo argomento per sottoporlo all’attenzione della U. S. Nuclear Regulatory Commission, tramite il Department of Energy degli U.S.A.

Questo rapporto fu preparato sotto gli auspici del Programma Nazionale per la Conservazione Terminale dei Rifiuti, relativo sia allo sviluppo sia all’utilizzo della tecnologia necessaria per il disegno, la costruzione, l’autorizzazione delle licenze e la messa in opera dei depositi. Nel settembre 1981, il rapporto della Task Force fu debitamente consegnato in attesa di essere approvato dal Department of Energy. Sebeok fa notare che la previsione di un limite di 10.000 anni – che attualmente equivale a circa 300 generazioni – è chiaramente un limite arbitrario; benché la proiezione fosse coerente con il Department of Energy’s Statement della Commissione di Regolamentazione Nucleare per l’Elaborazione di Regole Segrete sui Rifiuti (DOE/NE-0007, 15 aprile 1980) e con alcuni criteri preliminari dell’Environmental Protection Agency (40 CFR 191, Working Draft n. 19, 1981), bisogna tuttavia tener presente che il periodo di radioactive half-life, per esempio, del torio 232, è di diecimila miliardi di anni.

Sebeok fa anche riferimento all’“esauriente” studio di Fred C. Shapiro sui rifiuti radioattivi, apparso poco dopo la consegna del suo rapporto: Radwaste (New York, Random House, 1981), una fonte inestimabile di informazioni attendibili sull’intero campo dell’annosa questione dell’eliminazione dei rifiuti radioattivi, “montagne che continuano a crescere inesorabilmente mentre il nostro governo federale e gli Stati dell’Unione discutono su una soluzione definitiva per liberarci di questi materiali tossici”.

La proposta da parte del Department of Energy di vetrificare i rifiuti radioattivi (la stima del costo dell’opera era all’epoca intorno ai 500 milioni di dollari”) si scontra con il fatto che è difficile stabilire se l’uso del vetro borosilicato sia sicuro e con il problema di determinare i luoghi adatti a immagazzinare, sotterrare ed isolare rifiuti radioattivi, alcuni contenenti materiali che si prevede rimarranno letali per 240.000 anni. Sebeok cita a questo proposito Eliot Marshall (The Senate’s Plan for Nuclear Waste, “Science”, n. 216, 1982, pp. 709-710): “Anche se approvata quest’anno (1982, Nuclear Waste Policy Act), una legge come questa dovrà essere considerata soltanto come un incerto primo tentativo di soluzione del problema dei rifiuti nucleari. Non affronta nessuna questione di tipo tecnico e lascia il compito altamente difficile della scelta della località alla burocrazia”. Il Department of Energy stimava che la data più prossima per disporre di un luogo definitivo come deposito sarebbe stato l’anno 2000, il famoso avveniristico anno 2000! Ma alcuni scienziati consideravano già questo obiettivo come impossibile da raggiungere. E oggi, nel 2012, come stanno le cose? L’ottimismo quando è accompagnato dal profitto non demorde! La “responsabilità verso le future generazioni” passa in terz’ordine.

È interessante che Sebeok nell’elaborazione di un metodo per prevenire il contatto dell’uomo con i depositi di scorie per lo meno durante i primi 10.000 anni dopo la loro chiusura faccia affidamento e ricorso all’“irrazionale”, più che alla razionale o ragionevole trasmissione “di padre in figlio” delle informazioni circa la pericolosità delle scorie atomiche. La prima raccomandazione, egli dice,  dovrebbe essere che le informazioni siano trasmesse servendosi di una combinazione di rito e leggenda creati e fatti crescere artificialmente: “La leggenda-e-rito, come qui la immaginiamo, sarebbe l’equivalente del lasciare una falsa pista, intesa a tenere il non iniziato lontano dal luogo pericoloso,  per ragioni diverse dalla conoscenza scientifica della possibilità di radiazione e delle sue implicazioni: essenzialmente un sufficiente accumulo di superstizioni sarebbe il motivo per tenersi lontano da una certa zona permanentemente”. 

Si potrebbe pensare, aggiunge Sebeok, a un rito rinnovato annualmente, con la leggenda ripetuta anno dopo anno, mentre “la verità sarebbe affidata esclusivamente a una (per così dire) setta atomica, cioè a una commissione di fisici sapienti, di esperti in malattie da radiazione, di antropologi, di linguisti, di psicologi, di semiotici…”. Tuttavia Sebeok ricorda anche che le maledizioni associate ai luoghi di sepoltura dei faraoni egiziani, le piramidi, servirono ben poco a dissuadere gli avidi ladri di tombe dallo scavare in cerca di “tesori nascosti”. Ma certamente l’avidità dei tombaroli è poca cosa rispetto all’avidità di profitto che produce scorie atomiche. E certamente più pericolosa delle scorie atomiche è proprio quest’avidità di profitto.

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