Cinquanta sfumature di nero

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Quando un romanzo diventa un successo commerciale planetario forse non può essere ignorato. Se poi, come nel caso della trilogia Cinquanta sfumature, vende complessivamente 125 milioni di copie in 52 paesi, siamo di fronte a un fenomeno editoriale su cui vale la pena di fermarsi a riflettere, almeno da un punto di vista sociale. Il primo film, «Cinquanta sfumature di grigio», ha raggranellato un box office world wide di mezzo miliardo di dollari e in Italia di oltre venti milioni di euro. Esce in questi giorni il secondo capitolo della trilogia: «Cinquanta sfumature di nero». Anche se non rientra esattamente nelle mie corde, sono andato con curiosità all’anteprima, per capire che aria tira e se tanta attesa è giustificata.

Il sesso è da sempre il più forte catalizzatore delle naturali e istintive passioni dell’uomo, e il cinema ne ha sempre approfittato. La produzione di genere hard coincide con gli esordi della settima arte e anche il cinema cosiddetto alto, ha attinto spesso all’argomento. L’erotismo e il sesso hanno un’intrinseca carica liberatoria e trasgressiva, che trascende la sfera di una semplice relazione fisica. L’attrazione e la passione erotica sono in grado di rompere schemi, abitudini di pensiero e sovrastrutture sociali, sono forze creative, destabilizzanti e rigeneranti, capaci di cambiare le persone, di mischiare le carte, di rimettere in gioco le vite. In fondo questi sono gli aspetti più affascinanti e interessanti: capire come l’erotismo possa portare alla luce la parte più intima, vera e primordiale di un individuo – il suo cuore selvaggio, per citare David Lynch.

Senza voler andare troppo indietro nel tempo, pensiamo alla forza dirompente di Ultimo tango a Parigi (1972) di Bernardo Bertolucci, interpretato da Marlon Brando e Maria Schneider. Due sconosciuti che si amano in un appartamento vuoto senza sapere nulla l’uno dell’altro, neppure il nome. Uno scandalo che ha portato prima al sequestro del film e poi alla sua condanna al rogo nel 1976. Sempre negli anni ’70, Liliana Cavani mette in scena il torbido e ambiguo rapporto vittima-carnefice nel film Il portiere di notte (1974) e Nagisa Oshima firma Ecco l’impero dei sensi (1976), ambientato nel mondo dell’erotismo e della ritualità sadomaso giapponese. Se vogliamo avvicinarci ai nostri giorni, il pensiero corre subito al film testamento del grande Stanley Kubrick: Eyes Wide Shut (1999); il misterioso viaggio di una coppia in crisi tra verità, menzogne, tradimenti, incubi, sogni e desideri. Tra le ultime opere degne di nota, dobbiamo sicuramente citare il doloroso e angosciante Shame (2011), girato magistralmente da Steve McQueen e i due capitoli di Lars Von Trier Nymphomaniac – Volume 1 e 2 (2013), una riflessione scandalosa e cruda sulla vita, non solo sessuale, di una giovane donna.

Purtroppo la storiella di Anastasia Steele e Christian Grey è lontana da questo cinema, ma anche dall’erotismo manierista, flou e patinato, di Just Jaeckin, regista di Emmanuelle (1974) con Sylvia Kristel e di Histoire d’O (1975), interpretato da Corinne Cléry. Così come nulla ha da spartire con le derive dissacranti e politicamente scorrette dell’universo erotico popolato da super-maggiorate e ninfomani del grande Russ Mayer o con la sessualità gioiosa e gaudente di Tinto Brass.

Con Cinquanta Sfumature ci muoviamo nell’algida scia di uno stile superficiale, un po’ alla Nove settimane e mezzo (1986) di Adrian Lyne. Non a caso Kim Basinger, protagonista della celebre pellicola degli anni ’80, è presente anche nel cast del film di Foley: da questo punto di vista una scelta onesta, che denuncia subito da che parte della barricata sta il film. Più che un’opera cinematografica, sembra un’abnorme espansione di una serie televisiva di serie B: attori più belli che bravi, regia volutamente piatta, messa in scena e illuminazione anonima, sceneggiatura banale e dialoghi così scadenti da sfiorare spesso il ridicolo. Allora come mai tutto questo interesse e successo?

Siamo caduti dall’immaginazione al potere alla mediocrità al potere?
Forse sì. Se Nove settimane e mezzo rappresentava alla perfezione un mondo invaso dalla retorica e dall’estetica della new wave pubblicitaria degli anni ’80, la saga di Cinquanta sfumature sembra incarnare gli aspetti peggiori dello spirito dei nostri tempi. Un universo erotico congelato, privo di desiderio e passioni, senza trasgressione creativa o gioia, dove tutto si compra e si vende come in un grande sexy shop, dove le élite sono sempre più lontane, non solo dalla vita reale, ma anche dalla realtà, intesa come verità.
Christian Grey è il classico ricco rampollo infantile e fragile, senza arte né parte, per di più perverso e sadico, che sta in piedi solo grazie ai soldi di papà. Anastasia Steele è una smarrita piccoloborghese senza identità e amor proprio, pronta a vendersi al capitale. Il secondo capitolo della loro storia dà vita a uno squallido ménage che non scalda i cuori, e in cui tutto è cosi stancamente prevedibile, scontato, inutile da risultare farsesco.
Purtroppo il film non ha neppure il pregio d’essere breve.

Cinquanta sfumature di nero
Regia: James Foley
Con: Dakota Johnson, Jamie Dornan, Bella Heathcote, Kim Basinger, Luke Grimes, Tyler Hoechlin, Rita Ora, Marcia Gay Harden, Eric Johnson, Max Martini, Eloise Mumford, Fay Masterson, Victor Rasuk, Robinne Lee
Durata: 115 min.
Produzione: USA 2017

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Alessio Turazza

Consulente nel settore cinema e home entertainment, collabora con diverse aziende del settore. Ha lavorato come marketing manager editoriale per Arnoldo Mondadori Editore, Medusa Film e Warner Bros.

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