Carducci: sì, ma “a piccole dosi”

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Una riflessione sugli alterni destini della “fortuna didattica” di uno dei protagonisti della nostra letteratura.

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Pochi poeti hanno subito una “metamorfosi scolastica” come quella toccata al nostro beneamato Giosue Carducci. Non dimentichiamoci, infatti, che le classi di Liceo non riformate (cioè il IV e V anno in corso) hanno ancora come punto di riferimento programmatico le indicazioni della “Riforma Gentile”, laddove appare scritto – tra l’altro – che “la conoscenza diretta del Carducci dovrà essere la più ampia possibile per il carattere educativo della sua patriottica ed umana poesia”.

Basta, però, prendere una qualunque delle attuali antologie di Italiano del Triennio per trovare una scelta di Carducci abbastanza scarna (direi 4-5 poesie, come media…) e – soprattutto – dove è davvero difficile riscontrare quella vena educativa e patriottica della quale si è detto. Lo dice uno che – alle elementari, alla fine degli anni Sessanta – ha imparato a memoria Pascoli in terza (se non m’inganno…) e cui la maestra ha riservato Carducci per la classe quinta: manco a dirlo, ricordo ancora a memoria il celeberrimo Bove (che mi annoiò a morte… e poi, non capivo perché fosse pio) e – soprattutto – l’interminabile Il Parlamento, da La canzone di Legnano (quella del “Barbarossa in campo…”), che da ragazzino mi aveva invece esaltato non poco. Anche qui però, non mi capacitavo di una cosa: perché al v. 5 si parla del console Gherardo e al successivo il medesimo è detto consolo? Io pensavo a un refuso, ma la maestra – infallibile ed onnisciente – mi spiegò che si trattava di una “licenza poetica” e tanto mi bastò, anche perché ne seguì un’affermazione perentoria: “ed è per questo che lo facciamo in quinta: Carducci è proprio difficile…”.

 

Ma torniamo all’oggi. Quasi impossibile trovare nelle antologia “roba” simile. Sì, forse passim qualche Bove c’è (magari per un confronto con i tanti Bovi del grande macchiaiolo Giovanni Fattori), ma direi che la poesia cosiddetta civile o storica ha subito nell’editoria scolastica una radicale damnatio memoriae. Se ci va bene troviamo Pianto antico, Nevicata, e – soprattutto – l’immancabile (grazie al cielo…) Alla stazione in una mattina d’autunno: poco altro. I manuali più raffinati – come il “nostro”, nel senso di edito da Loescher, Bologna – Rocchi, Rosa fresca aulentissima – hanno pure la suggestiva Dinanzi alle terme di Caracalla, con la relativa turista britanna in ansiosa ricerca di rovine romane mentre il rozzo pastore ciociaro – che ci vive davanti – non se ne cura nemmeno.

Sono queste – a mio avviso – tutte poesie fatte apposta per minare la credibilità di noi docenti. Infatti la nostra tiritera iniziale su Carducci è sempre la stessa: è un poeta colto ma troppo retorico (nonostante il meritorio saggio di Luigi Russo, Carducci senza retorica, 1957), anzi, decisamente “trombone”; fu prima rivoluzionario e poi consenziente “cantore” dell’Italia umbertina, e soprattutto si vantò di essere un rigoroso “scudiero dei classici” etc… e da ciò deriva ai nostri studenti un entusiasmo davvero modesto per i testi carducciani che li aspettano.

 

Ma poi, all’atto pratico della lettura, Carducci si rivaluta da sé, in barba alla nostra precedente tiritera, poiché le liriche sopra citate sono tutt’altro che l’espressione di un vecchio e polveroso professore di eloquenza. Infatti la stravaganza della metrica “barbara” di Nevicata (distico elegiaco) e Alla stazione… (strofe alcaica) incuriosisce e appassiona gli allievi. E – in modi diversi – Pianto antico e Dinanzi alle terme… rappresentano un modo davvero “moderno” di recuperare l’antico. Il modello di un idillio del greco Mosco, nel primo caso, si fonde con l’autentica sofferenza individuale di un padre privato del figlio, mentre la Roma melanconica e quasi “piranesiana” della seconda lirica è preferibile a tanto stucchevole (anche se celebrato…) classicismo trionfante proposto in secoli precedenti e in anni futuri. E che dire, infine, del tedio che avvolge il nostro al termine di Alla stazione…? Non sarà forse lo spleen di Baudelaire, anche perché il Carducci maturo non ci stava di certo a fare il poeta “maledetto”, ma esprime comunque uno straordinario senso di vuoto, di assenza, di mancanza della donna amata rapita dal treno-mostro. Un senso che coinvolge parecchio anche i giovani lettori (esperienza ripetuta anche settimana scorsa), e che a me ricorda un po’ le forme di quella mancanza (sempre della donna amata, in quel caso la moglie morta) di cui parla Montale al termine della sua parodistica Piove: Piove, ma dove appari / non è acqua né atmosfera, / piove perché se non sei / è solo la mancanza / e può affogare. E se là è la partenza di Lidia a far sì che Carducci creda che solo, che eterno, / che per tutto nel mondo è novembre, qui Montale ribalta la prospettiva: piove davvero, ma se gli appare il ricordo di quella figura di cui sente la mancanza la pioggia potrebbe smettere, mentre in assenza di quel ricordo il poeta potrebbe perfino affogare.

 

In sintesi. Forse a sorpresa, quel Carducci che spesso i professori trascurano perché antiquato è invece amato (parola troppo forte?) e sentito come “moderno” dagli studenti; sicuramente molto più di altri poeti che oggi sono à la page. Certo gli giova la scelta antologica limitata e selettiva dei libri scolastici, i cui autori – come si diceva – hanno trascelto il meglio della sua vastissima produzione. E non sarà pertanto sbagliato dire che il mezzo migliore per valorizzarlo sia apportare una leggera (ma sostanziale) modifica alla frase gentiliana da cui siamo partiti. Pertanto la conoscenza diretta del Carducci dovrà essere la meno ampia possibile… per risparmiare ai nostri allievi il patriottico camoscio di Salve Piemonte, parente stretto del bove solenne come un monumento, oppure la sperticata lode della Regina Margherita, paragonata alla bianca stella di Venere, alla quale le Grazie – e chi se no? – corona cinsero. Sono dunque un appassionato fautore di un Carducci “a piccole dosi”, da preservare gelosamente come un panda dall’estinzione scolastica. Per quanto concerne, invece, una poesia patriottica e umana che abbia un profondo carattere educativo, temo dovremo cercare altrove: che ne dite di un poeta toscano del Trecento che si è fatto un giretto nell’Aldilà? Penso che sia davvero la scelta più adatta.

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Simone Giusti

ricercatore, insegna didattica della letteratura italiana all’Università di Siena, è autore di ricerche, studi e saggi sulla letteratura italiana, sulla traduzione, sulla lettura e sulla didattica della letteratura, tra cui Insegnare con la letteratura (Zanichelli, 2011), Per una didattica della letteratura (Pensa, 2014), Tradurre le opere, leggere le traduzioni (Loescher, 2018), Didattica della letteratura 2.0 (Carocci, 2015 e 2020), Didattica della letteratura italiana. La storia, la ricerca, le pratiche (Carocci, 2023). Ha fondato la rivista «Per leggere», semestrale di commenti, letture, edizioni e traduzioni. Con Federico Batini organizza il convegno biennale “Le storie siamo noi”, la prima iniziativa italiana dedicata all’orientamento narrativo. Insieme a Natascia Tonelli condirige la collana scientifica QdR / Didattica e letteratura e ha scritto Comunità di pratiche letterarie. Il valore d’uso della letteratura e il suo insegnamento (Loescher, 2021) e il manuale L’onesta brigata. Per una letteratura delle competenze, per il triennio delle secondarie di secondo grado.

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