Nella primavera del 2016 il Ministero dell’Istruzione ha varato le Indicazioni strategiche per l’utilizzo delle attività teatrali in cui, tra l’altro, si illustra il «valore pedagogico e didattico del teatro». Confesso di aver manifestato un certo scetticismo sulla possibilità di dare corpo a quelle idee, traducendole, a scuola, in pratiche didattiche davvero efficaci:
L’istituzione scolastica ha la responsabilità di formare persone responsabili, ricche sul piano culturale e umano, capaci di rinnovare e sviluppare nuove alleanze tra l’uomo e l’ambiente, nella prospettiva di un cambiamento sostenibile.
Il profilo formativo delle giovani generazioni è una variabile dalla quale dipende la qualità del futuro. L’arte, è una delle forme più complesse e autentiche con cui l’uomo, in ogni epoca, fin dai primordi, si è espresso e ha cercato risposte.
Un programma a dir poco ambizioso, che assegna all’arte – e in particolare all’arte teatrale – una funzione educativa decisiva per lo sviluppo di quelle competenze sociali e di cittadinanza che sono necessarie, addirittura, alla sopravvivenza degli individui e della specie:
I ragazzi, oggi più che mai, hanno bisogno di scoprire e condividere valori e di interagire con i coetanei e con gli adulti, e hanno altresì bisogno di sentire gli altri, anche se diversi, come una risorsa. Un sentire, questo, possibile se essi accolgono e riconoscono le differenze e le specificità dell’altro, in termini di cultura, censo, religione…
Poi, esattamente il 27 marzo del 2017, in occasione della Giornata Mondiale del Teatro, ho assistito alla prima dello spettacolo Ma c’è un emoticon per il terremoto?, scritto e rappresentato da un gruppo di alunni e alunne di una scuola di Norcia, i quali hanno messo in scena i messaggi che si sono scambiati su un gruppo WhatsApp dopo la seconda potente scossa di terremoto che ha colpito il loro paese nell’autunno del 2016. A dicembre era uscito il bando del concorso Scrivere il teatro, e una classe dell’Istituto “De Gasperi Battaglia” aveva deciso di costruire un testo drammatico proprio a partire da quei messaggi, rendendo pubbliche emozioni intime, riservate, e proprio per questo capaci di coinvolgere il pubblico al di là delle loro stesse aspettative. Dopo aver vinto il primo premio, studenti e docenti hanno avuto occasione di partecipare a una residenza artistica a Cinigiano, in Toscana, alle pendici del Monte Amiata, e di preparare la messinscena con la guida di artisti professionisti.
Da quel giorno in avanti, non ho mai perso occasione per seguire i lavori del concorso ministeriale, che nel 2018 è stato vinto dal testo Bastava un abbraccio, ispirato al lavoro di Franco Basaglia, realizzato da un laboratorio di scrittura creativa degli studenti di due classi del Liceo Artistico “Max Fabiani” di Gorizia, e nel 2019 da Ti ho trovato! dell’Istituto tecnico “Majorana” di Rossano (Cosenza), storia vera di una vittima di bullismo che aveva frequentato quella scuola.
E siamo al 2020, annus horribilis della scuola italiana, colpita come il resto del paese dall’emergenza sanitaria e costretta a chiudere i battenti poco prima del 27 marzo, Giornata Mondiale del Teatro, durante la quale avrebbe dovuto essere messo in scena il testo vincitore dell’ultima edizione: DiscriminatiAnonimi.it – Disagio per chi?, realizzato da una classe III del Liceo Linguistico Secusio di Caltagirone.
Pazientemente, i rappresentanti della Direzione generale per lo studente del Ministero dell’Istruzione e del Centro italiano dell’International Theatre Institute dell’UNESCO hanno aspettato tempi migliori, approfittando delle settimane a cavallo tra la fine dell’estate e l’inizio dell’autunno per inviare a Caltagirone una squadra di professionisti coordinati dal regista Giorgio Zorcù e dall’attrice Sara Donzelli, che per quindici giorni – nel rispetto delle norme sulla sicurezza – hanno lavorato con studenti e insegnanti per poter finalmente celebrare la Giornata Mondiale e mettere in scena – in un formato inedito, quasi televisivo – il loro testo, di cui si riproduce di seguito la sinossi.
Cinque studenti si riuniscono casualmente in un’aula abbandonata della scuola, perché discriminati da alcuni compagni bulli. Felipe è un ragazzo omosessuale, Selma è una straniera poliglotta, Ana è un’aspirante modella sovrappeso, Juan è un nerd con la passione per la tecnologia e Sol è una giovane forte e determinata, che vorrebbe diventare meccanico.
Una volta scoperti dal nuovo bidello dell’Istituto, gli alunni cercheranno di raccontarsi seduti in cerchio, improvvisando così una stramba terapia di gruppo, in cui ogni paziente pensa di avere il problema più importante da risolvere. Davanti alla reazione degli alunni, il bidello cercherà di far capire loro che tutti possono soffrire un disagio: “Ogni persona che vedi sta lottando una battaglia che non conosci”.
Colpiti dalle parole del bidello, i ragazzi decidono di creare un sito internet attraverso il quale risponderanno, in maniera anonima, a tutte le richieste di aiuto da parte dei compagni di scuola. A collaborare con la banda dei Discriminati Anonimi, arriveranno anche Leopolda e Leonarda, due sorelle gemelle affette da un disturbo dipendente di personalità.
E se fossero proprio i bulli a chiedere aiuto attraverso la pagina web? Può un soggetto discriminante soffrire tanto quanto colui che viene discriminato? E se il bidello nascondesse un segreto che solo la Preside conosce? Dopo diversi colpi di scena gli alunni arriveranno alla consapevolezza di essere tanto diversi quanto uguali, poiché un disagio può dividere, ma anche, e soprattutto, unire.
Non ho avuto modo di assistere allo spettacolo, andato in scena a Caltagirone il 9 ottobre, ma a fine settembre sono andato a trovare gli studenti della IV B del Liceo Linguistico dell’Istituto Superiore “Bonaventura Secusio” di Caltagirone (Catania) e le loro insegnanti Valentina Torrisi e María Matilde Pérez.
«Avevamo già vinto l’anno prima un concorso teatrale, un premio promosso dalla casa editrice Zanichelli per un testo teatrale in lingua spagnola, – racconta María Matilde Pérez, lettrice di lingua spagnola appassionata di teatro – e così abbiamo pensato di riprovarci, stimolate anche dall’invito a insistere venuto dalla stessa dirigente scolastica». Fondamentale è l’incontro tra la vocazione teatrale della professoressa Pérez e la straordinaria capacità didattica della professoressa Torrisi la quale, dopo aver iniziato una carriera accademica all’Università della Calabria come docente a contratto di lingua e letteratura spagnola, ha scelto di dedicarsi all’insegnamento nella scuola secondaria. Dal lavoro di squadra delle due insegnanti con la loro classe è nato un testo in lingua spagnola, che hanno poi dovuto tradurre in italiano.
«Prima abbiamo lavorato tutti insieme sull’ideazione e abbiamo individuato il fulcro della storia, che in un primo momento avrebbe dovuto riguardare le discriminazioni subite da un ragazzo omosessuale ma poi ha allargato gli orizzonti ad altre forme di discriminazione», mi spiega la professoressa Torrisi. «È stato organizzato un lavoro di gruppo molto rigoroso: cinque gruppi avrebbero dovuto scrivere altrettanti canovacci, ognuno basato su una delle idee emerse durante la prima fase: il bidello-psicologo, la stanza n° 8 [è una specie di stanza segreta], l’anonimato dei “discriminati”, il sito internet Disagio per chi?, nel senso che il disagio è un problema degli altri, non di chi è vittima di discriminazioni». Durante il prosieguo dei lavori i gruppi si sono ridotti a tre, uno per ogni atto, tutti scritti rigorosamente in spagnolo. «Ogni gruppo era guidato da un capogruppo che aveva il compito di dialogare con i rappresentati degli altri gruppi, in modo da coordinare il tutto».
Sollecitata a rivelare le condizioni che hanno reso possibile la realizzazione di questo lavoro, la professoressa Torrisi mi ha raccontato di aver sempre privilegiato il lavoro di gruppo, in modo da abituare i ragazzi e le ragazze all’interazione, dando loro la possibilità di svolgere diversi ruoli. Da questo approccio è nato anche il sito di critica letteraria Nuestra Literatura: blog letterario e dizionario di retorica, con una sezione dedicata ai meme, tutto in lingua spagnola. «Ho dedicato la mia vita alla letteratura spagnola, – dichiara la professoressa Torrisi – e voglio che piaccia agli studenti».
Anche il periodo del lockdown, nonostante il malessere evidente di tutti, è stato affrontato con serenità dal punto di vista didattico. La Dad «la facciamo quotidianamente», dicono alcuni degli studenti, «siamo abituati a lavorare in gruppo con i dispositivi digitali». E quando cerco di farmi spiegare da loro, riuniti tutti insieme nell’aula magna, seduti in un grande cerchio e armati di mascherine, come abbiano potuto realizzare un testo del genere, ottengo risposte puntuali e circostanziate, che mi fanno capire che il metodo didattico delle due professoresse ha potuto avvalersi del supporto del gruppo dirigente e di un contesto lavorativo favorevole.
«Nel 2020 è impossibile discriminare chi è omosessuale, è intollerabile», dice uno, e poi, aggiunge un’altra, «qui ci sentiamo al sicuro, i professori sono tutti aperti, ci insegnano a rispettare gli altri». E ancora: «e poi sono cose che capitano a tutti, è normale parlarne».
Andando avanti nella conversazione scopro che la scuola si è dotata di un servizio interno di supporto e di sostegno reciproco per la gestione dei problemi relazionali, in modo da prevenire e contrastare il bullismo e altri fenomeni discriminatori. In ogni classe ci sono degli “ambasciatori” che hanno il compito di ascoltare i compagni e di intervenire per gestire eventuali problemi. Gli ambasciatori e le ambasciatrici delle classi si riuniscono periodicamente per fare formazione e condividere le criticità, in modo da essere sempre più efficaci e – dice qualcuno – rendere “più lieve l’impatto” con gli ostacoli, con le difficoltà.
E così, oggi, quando rileggo la fine dell’articolo 4 delle Indicazioni strategiche per l’utilizzo delle attività teatrali, capisco meglio le intenzioni di chi ha voluto mettere in piedi questa iniziativa, dando a studenti e docenti la possibilità di esprimersi attraverso il teatro:
Le arti dello spettacolo, dunque, data la loro rilevanza pedagogica, se utilizzate in funzione didattico-educativa, sono tanto più efficaci quanto più le scuole saranno consapevoli delle ragioni di questa scelta rispetto all’evoluzione storica e ai nuovi bisogni educativi.
Nel caso di Scrivere il teatro – che mi piace leggere anche come uno straordinario progetto di didattica della letteratura – direi che l’obiettivo è pienamente raggiunto, a dimostrazione che quando una scuola consapevole riesce a dare voce agli studenti, il successo è assicurato.