Bronzetti e Giganti al Museo Archeologico di Cagliari

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La visita del Museo Archeologico Nazionale di Cagliari rappresenta una delle più importanti forme di immersione nella cosiddetta “Civiltà nuragica”, che ha caratterizzato la Sardegna soprattutto durante il II millennio a.C., prima che l’isola diventasse oggetto della colonizzazione punica e successivamente della conquista romana, comunque ben documentata in queste sale espositive.
Cagliari, Bastione St. Remy.

Non intendo accampare scuse: si tratta di un’epoca storica e di una facies culturale della quale non sono un grande esperto (ed è un eufemismo…), complice una formazione (e una successiva applicazione) di studioso della classicità greco-romana. Ciò non toglie che l’emozione del recente contatto diretto con alcuni reperti, accompagnata da qualche buona lettura e – soprattutto – corroborata dalla guida dell’amico Francesco Muscolino, che del Museo è Direttore, mi abbia spinto a condividere qualche riflessione con i lettori de La ricerca.

E vengo subito al “sugo”, come avrebbe detto il nostro Alessandro Manzoni, e cioè a parlare del duplice, impressionante, incontro che ho fatto nel mio weekend cagliaritano: quello con i “piccoli” bronzetti nuragici e – quasi per contrasto – con le statue di Mont’e Prama che per le loro enormi dimensioni sono soprannominate “Giganti”. Il tutto con una premessa, però: mentre i primi sono tra i fiori all’occhiello della collezione permanente del Museo, i 33 “Giganti”, che qui soggiornano dal 2014, sono invece destinati prima o poi a tornare a casa, insieme ai loro 11 “cugini” che già si trovano nel Museo di Cabras, attualmente in corso di ampliamento.

Una ricca esposizione archeologica

La porta dell’Arsenale, ingresso alla Cittadella dei Musei.

Lo so, un bravo recensore dovrebbe dire anzitutto che il Museo si trova dal 1993 all’interno della cosiddetta “Cittadella dei Musei Giovanni Lilliu”, cui si accede dalla Neoclassica Porta dell’Arsenale, edificata in forme neoclassiche nel 1825 su imitazione della Porta Flaminia di Roma.

Il Druso minore, statua marmorea da Sant’Antioco, e la stele di Nora.

Dovrebbe inoltre illustrare la ricchissima esposizione archeologica tappa per tappa, facendo presente che è allestita prima secondo criteri cronologici (piano terra) e poi topografico (primo e secondo piano), mentre al terzo piano alloggiano i già menzionati “Giganti”. Ma questo significherebbe scrivere una guida, e non è questa la sede per farlo: mi limiterò dunque a ricordare – prima di riflettere su bronzetti e “Giganti” – qualche pezzo davvero interessante qui esposto, come la celebre “stele di Nora” , in caratteri punici, con – forse – la più antica menzione della Sardegna; la ricostruzione del tofet di Tharros; alcuni ritratti della casa imperiale romana, tra i quali spicca uno di Druso in perfetto stato di conservazione; uno straordinario sarcofago paleocristiano con la raffigurazione di suonatori.

Un singolare “presepe laico” di bronzetti

Pezzi bellissimi davvero questi, ma di fronte alla collezione di bronzetti – appartenenti per lo più alla fase finale della civiltà nuragica (a cavallo del mille a.C., per intenderci, anche se le ipotesi sono assai discordanti) – si ha l’impressione di vedere qualcosa di unico al mondo. Troviamo infatti immagini di capi tribù, guerrieri con diversi armamenti, sacerdoti, donne e uomini del popolo, ma anche animali, barche (le cosiddette “navicelle”) e riproduzione di nuraghe, che visti tutti insieme danno l’idea di una sorta di presepe laico, con statuine alte poco più di una ventina di centimetri.

Sono state reperite in aree santuariali, per lo più, infisse su basi di pietra, forse – pensano gli studiosi – nel tentativo di riprodurre scene di tradizione mitica: è come se l’intero corpo sociale di una piccola comunità avesse affidato sé stesso, le proprie attività, le proprie tradizioni, la propria identità a una divinità protettrice.

Pietà nuragica, da Urzulei

In questo contesto non possono non attirare un’attenzione particolare due statuine che sembrano una sorta di Pietà pre-michelangiolesca, raffiguranti una donna (una madre?) che sorregge un guerriero ucciso. In quella, splendida, da Urzulei, le figure umane spiccano per un vistoso espressionismo, che si concretizza nella vacuità del loro sguardo (dovuto in un caso alla morte, nell’altro alla disperazione per il lutto subito) ma anche in (s)proporzioni che sembrano rispecchiare le loro diverse funzioni: più piccolo è il morto, con un pugnale sul petto, più grande e protettiva la presunta madre che lo accoglie in grembo. È come se l’anonimo bronzista avesse voluto ribadire con quella vistosa grandezza materna che è a loro – cioè alle madri, alle mogli, alle sorelle, alle figlie…, alle donne, insomma – che spetta il compito di perpetuare nei secoli quella pietas verso gli sconfitti e i dolenti che troppo spesso il bellicoso universo maschile sembra avere dimenticato.

I Giganti di Mont’e Prama, ospiti temporanei

Consapevole che si tratta – in questo ultimo caso – di considerazioni mie, quasi quasi di “parole in libertà”, credo sia ora il caso di passare da Davide a Golia, cioè dai bronzetti ai “Giganti”, che paiono datarsi anch’essi alla fine dell’età nuragica; anzi, probabilmente ne documentano sia la residua forza sia la successiva debolezza: ma ora mi spiego meglio.

Alcuni dei cosidetti Giganti di Monte Prana

Trovate in forma frammentaria a partire dal 1974 in una vasta necropoli – con oltre 150 tombe a pozzetto – ubicata nella Sardegna centro-occidentale, nella penisola del Sinis, non lontano da Cabras, queste statue colossali in pietra calcarea (alte oltre due metri), sono state accuratamente ricomposte prima di essere posizionate – lo ripeto, in forma temporanea – all’ultimo piano del Museo. Raffigurano soggetti maschili, in forme talora non troppo diverse da come appaiono in alcuni bronzetti: ci sono infatti i cosiddetti “pugilatori” con guantoni e scudo protettivo tenuto sopra la testa (in realtà guerrieri che debbono espugnare mura nemiche), arcieri con tanto di arco in spalla, guerrieri armati di uno scudo rotondo, ma anche riproduzioni di nuraghi.

Ma chi erano costoro? E che ci facevano – grandi così – in un cimitero? E chi li ha fatti a pezzi, già in epoca antica? Diverse le ipotesi sul campo, ma forse la più suggestiva è quella che pensa che i “Giganti” siano degli eroi che combatterono un’estrema (forse inutile?) battaglia contro le invasioni puniche che stavano minacciando la Sardegna. Vittoriosi, questi guerrieri ebbero un culto eroico in un’area cimiteriale (dove forse qualcuno di loro sarà pure stato sepolto), fino a che i Punici – stavolta vincitori – non ne vollero distruggere le immagini a mo’ di damnatio memoriae.  Per questo ho detto che incarnano sia la forza sia la debolezza di una civiltà ormai al tramonto: è come se – presaga della sua prossima fine – la cultura nuragica abbia voluto emettere il suo canto del cigno, con un upgrade da bronzetti a “Giganti”.

Un guerriero da Monte Prana con il suo scudo

Impossibile, dunque, non pensare a un simbolico capovolgimento celebre della frase attribuita al filosofo medievale Bernardo di Chartes («Siamo nani sulle spalle di giganti»): in questo caso, infatti, sono stati i “Giganti” a essere stati costruiti sulle spalle (culturali, ovviamente…) degli assai più piccoli bronzetti nuragici, la cui evidente, talora struggente (come si è visto) bellezza mi rende però difficile definire frettolosamente con il termine riduttivo di “nani”.

Il Museo e il suo territorio

Un’ultima considerazione, di natura più generale. Cagliari (l’antica Caralis punico-romana) vanta altre interessanti vestigia del proprio passato, come l’anfiteatro romano (che dal Museo non è troppo lontano) o l’area archeologica tardo-antica e proto-medievale sottostante alla Chiesa di Santa Eulalia. Ma è tutta la Sardegna ad essere costellata di località che hanno restituito vestigia del loro plurimillenario passato, alcune delle quali conservate proprio nel Museo cagliaritano. Ed è per questo che l’attuale Direttore Francesco Muscolino ha istituito delle giornate nelle quali alcuni di questi preziosi oggetti tornano temporaneamente nei loro luoghi di reperimento, accolte dalla popolazione locale con il giusto entusiasmo. E vorrei proprio concludere chiedendo al dottor Muscolino il senso di questa iniziativa, e come – più in generale – essa si inquadri nella “missione” di un importante Museo Nazionale come il suo. Egli così mi ha risposto:

L’area dell’anfiteatro di Cagliari.

«Il Museo di Cagliari, divenuto autonomo nel 2019, ha ritenuto necessario, sin dall’inizio della sua rinnovata attività, “ricucire” i rapporti con i territori di origine dei reperti custoditi. Fondato dal viceré Carlo Felice di Savoia nell’anno 1800, attuando le proposte di alcuni lungimiranti intellettuali, sin da allora è infatti concepito non come Museo di una sola città, ma di tutta l’isola. La recente riforma ministeriale ha inoltre provvidamente riunito, nello stesso istituto, diverse sedi espositive prima separate, offrendo, in tal modo, la possibilità di compiere un “viaggio” completo dal Neolitico all’arte contemporanea».

L’area archeologica sotto Santa Eulalia.

Sì, perché – aggiungo io – nella Cittadella museale c’è anche un’interessante pinacoteca (in corso di ampliamento e di ulteriore apertura alla contemporaneità) che, ubicata nella struttura preesistente del Regio Arsenale, conserva dipinti, sculture, e oggetti vari, con una decisa prevalenza di arte sacra. Ma di archeologia qui volevo parlare e – soprattutto – di bronzetti e statue colossali e dunque ora, doverosamente, mi fermo, non senza, però, suggerire caldamente a tutti la visita a questo Museo, che anch’io avevo finora colpevolmente mancato.

Ricostruzione dell’area del tofet di Tharros.

Infatti avevo, altrettanto colpevolmente, frequentato la Sardegna solo in periodo estivo, attratto soprattutto dalle celebri spiagge del Nord. Vi garantisco però che questo breve soggiorno cagliaritano fuori stagione mi ha consentito, con poco più di un’ora di aereo da Milano (a prezzi ragionevoli), non solo di sfuggire un paio di giorni allo smog della Pianura Padana, ma soprattutto di immergermi nel fascino composito di una città dalle atmosfere particolari, in bilico tra le suggestioni marinaresche che la avvicinano a Barcellona e Lisbona e i portici sabaudi che ci portano invece a Torino; un bel mix, davvero.


Note

(*) Le immagini derivano da fotografie scattate dall’Autore o sono state gentilmente concesse dalla Direzione del Museo.

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Mauro Reali

Docente di Liceo, Dottore di Ricerca in Storia Antica, è autore di testi Loescher di Letteratura Latina e di Storia. Le sue ricerche scientifiche, realizzate presso l’Università degli Studi di Milano, riguardano l’Epigrafia latina e la Storia romana. È giornalista pubblicista e Direttore responsabile de «La ricerca».

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