Toccare le arti visive #1 − Per un’estetica della tattilità

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Se i musei non esponessero i cartelli “vietato toccare”, molto probabilmente toccheremmo tutto. È quanto sostiene, nel suo libro “Per un’estetica della tattilità. Ma esistono davvero arti visive?” (Roma, Armando Editore, 2015), Aldo Grassini, il creatore del Museo Tattile Statale Omero di Ancona, cieco dall’età di 6 anni.
Mona Lisa tattile di Claire Follea, Touch Art Fair

Possiamo dargli torto? Certo che no. Anche nei negozi troviamo spesso la scritta “Si prega di non toccare”. È più forte di noi: se ci piace qualcosa, lo dobbiamo toccare. Non ci basta ammirare da lontano, abbiamo bisogno della vicinanza, del contatto, della sensazione (e dell’emozione) che genera l’annullamento della distanza. Anch’io, lo confesso, sono stata ripresa, in un museo di storia naturale: nell’unica sezione in cui non erano esposti divieti, ho pensato che fosse concesso toccare gli oggetti e l’ho fatto. D’altra parte, la pelliccia di quell’animale sembrava così morbida, quella pietra così liscia…
La cultura occidentale è una cultura del “non contatto”.Abbiamo un esempio sempre a portata di mano: i bambini toccano tutto. Il tatto si rivela come strumento fondamentale della percezione, una componente istintiva della conoscenza. Con il passare degli anni, e l’intervento dell’educazione, i bambini imparano che non è possibile toccare ogni cosa e ridimensionano questo impulso primario. Come ci ricorda lo studioso di prossemica Edward T. Hall in La dimensione nascosta (Milano, Bompiani, 1968), la cultura occidentale è una cultura del “non contatto”. Toccarsi fra sconosciuti può essere offensivo, ci scusiamo se ci sfioriamo inavvertitamente, e se siamo accalcati in un autobus mettiamo in atto meccanismi di difesa, guardando nel vuoto.

Impariamo a riconoscere una persona a distanza, dal suo volto, e spesso ci dimentichiamo il suo nome non appena pronunciato. Un non vedente non ha questa possibilità, dunque il nome diventa un importante fattore di riconoscimento. Impariamo a leggere le espressioni del volto e cogliere umori e stati d’animo. Un bambino cieco deve mettere in atto altri meccanismi e altre strategie: il contatto con opere di scultura può rivelarsi di grande aiuto.
È in grado, il tatto, di percepire la bellezza? Come si può avvicinare un non vedente all’arte, o meglio, a quelle che vengono definite arti visive?Spesso pensiamo che i ciechi siano dotati di una particolare acutezza negli altri sensi. Il libro di Grassini ci aiuta a sfatare questo luogo comune: i loro sensi non sono naturalmente più affinati, sono semplicemente più allenati. Anche il tatto va educato.
Ma è in grado, il tatto, di percepire la bellezza? Come si può avvicinare un non vedente all’arte, o meglio, a quelle che vengono definite arti visive? Esistono davvero le arti visive? Sono queste le domande fondamentali che percorrono il libro di Grassini.

La definizione “arti visive” presuppone che la vista sia il senso fondamentale per avvicinarsi e apprezzare un determinato tipo di manifestazione creativa. L’autore prende in esame varie arti; io, invece, penso subito alla pittura, alla grafica, alla fotografia. Non si legge un’immagine se non si ha la possibilità di vederla. Ma non si legge nemmeno un testo in una lingua diversa dalla nostra se non la conosciamo. Il testo si può tradurre nella nostra lingua, e così possiamo tradurre un’immagine in un linguaggio diverso, accessibile anche a un cieco.
Una pittura può essere tradotta in un bassorilievo, e un buon bassorilievo “può dare al fruitore tattile forti emozioni non solo per il contenuto, ma anche per la capacità comunicativa” (p. 21). Cosa si intende per “buon” bassorilievo? Oggi, accanto alle tecniche più tradizionali di artigianato artistico, anche la stampa 3D sta lavorando nel campo della traduzione di dipinti in bassorilievi. L’importante è che il lavoro non perda mai di vista l’obiettivo, il tipo di pubblico a cui è destinato, e che nella fase di progettazione e realizzazione siano sempre coinvolte quelle figure professionali che, dialogando fra loro, possono permettere di raggiungere i migliori risultati.

Vista e tatto procedono in modo diverso nell’esplorazione di un’opera d’arte. La lettura visiva è sintetica, abbraccia l’insieme, è immediata, riconosce da lontano, è veloce; la vista è un senso ricco, coglie le sfumature, i giochi di luce, i particolari minuti. Il tatto, al contrario, procede analiticamente, per fasi successive, esplorando piccole superfici per poi passare a quelle limitrofe; può esplorare solo gli oggetti a portata di mano, coglie meno dettagli, prevede un’operazione temporale più lunga. L’immagine mentale che si origina da un’immagine tattile, inoltre, si radica nella memoria con più difficoltà e può richiedere una serie di ripetizioni.
Vista e tatto procedono in modo diverso nell’esplorazione di un’opera d’arte. La lettura visiva è sintetica, il tatto procede analiticamente.Nella traduzione, qualche elemento, anche importante, si perderà – come il colore, che non è riconducibile a sensazioni alternative. Rudolf Arnheim sosteneva che un approccio psicologico adeguato non dovrebbe concentrarsi su ciò che i non vedenti perdono, ma dovrebbe concepire il mondo del tatto come un’alternativa al mondo della visione.

La percezione tattile di un’opera d’arte, inoltre, non è un’esperienza riservata solo ai ciechi, ma può costituire un arricchimento anche nell’esplorazione di un vedente, a occhi chiusi. “Vedere con le mani” può rafforzare la comprensione dell’opera d’arte, come abbiamo già scoperto in un precedente articolo.
L’esigenza di toccare le opere d’arte, però, in un museo, come in una chiesa, entra sempre in conflitto con la necessità di tutelare il patrimonio. Si possono comunque trovare validi compromessi, per rispettare quel diritto all’accessibilità delle collezioni − che non riguarda solo le barriere architettoniche, ma anche quelle sensoriali − ribadito nella recente Dichiarazione sulla protezione e promozione dei musei, emanata dall’Unesco il 20 novembre 2015.
Il Museo Egizio di Torino, ad esempio, fin dagli anni Ottanta consente ai non vedenti di toccare originali di opere realizzate in basalto, granito, porfido, tutti materiali duri e forti. La scultura, però, crea meno problemi; è già tridimensionale, si presta al tatto. La pittura pone una sfida più avvincente. Ho voluto provare che effetto fa toccare quella che per eccellenza viene definita un’arte visiva. È stata una sorpresa. Ve lo racconterò nella prossima puntata.

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Elena Franchi

È storica dell’arte, giornalista e membro di commissioni dell’International Council of Museums (ICOM).
Candidata nel 2009 all’Emmy Award, sezione “Research”, per il documentario americano “The Rape of Europa” (2006), dal 2017 al 2019 ha partecipato al progetto europeo “Transfer of Cultural Objects in the Alpe Adria Region in the 20th Century”.
Fra le sue pubblicazioni: “I viaggi dell’Assunta. La protezione del patrimonio artistico veneziano durante i conflitti mondiali”, Pisa, 2010; “Arte in assetto di guerra. Protezione e distruzione del patrimonio artistico a Pisa durante la Seconda guerra mondiale”, Pisa, 2006; il manuale scolastico “Educazione civica per l’arte. Il patrimonio culturale come bene dell’umanità”, Loescher-D’Anna, Torino 2021.
Ambiti di ricerca principali: protezione del patrimonio culturale nei conflitti (dalle guerre mondiali alle aree di crisi contemporanee); tutela e educazione al patrimonio; storia della divulgazione e della didattica della storia dell’arte; musei della scuola.

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