Terrorismo e beni culturali #3 – Vendere il patrimonio

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In un conflitto, la distruzione del patrimonio culturale punta a eliminare la memoria e l’identità del nemico e ad alimentare la propaganda, come abbiamo visto in due precedenti articoli (Terrorismo e beni culturali #1. Comunicare il terrore; Terrorismo e beni culturali #2 – Distruggere il patrimonio). Molto spesso, però, una distruzione serve anche a mascherare un furto.

Questo è successo in tutte le guerre. Nei manuali di storia dell’arte spesso leggiamo che la prima versione di San Matteo e l’angelo di Caravaggio, rifiutata dai committenti, è andata distrutta durante l’incendio della Torre contraerea di Berlino (Flakturm Friedrichshain) nel maggio 1945. Nella Torre, che rientrava nell’area di occupazione dell’Unione Sovietica, erano state ricoverate le opere dei musei tedeschi per proteggerle dagli attacchi aerei. Quasi sicuramente, le opere più preziose erano già state trasferite in Unione Sovietica dalle Brigate del Trofeo dell’Armata Rossa, prima che venisse appiccato l’incendio che ne avrebbe giustificato la scomparsa.

Ai giorni nostri, l’Isis sta dando la massima visibilità alle distruzioni dei beni culturali: pensiamo al monastero di Mar Elian o al sito di Palmira. In questo modo può sviare l’attenzione da altre attività, che non devono essere pubblicizzate, come la vendita del patrimonio culturale.Il commercio illegale delle antichità è la seconda fonte di finanziamento del terrorismo, dopo il traffico del petrolio. Si parla di blood antiquities, sulla traccia dei blood diamonds, i diamanti insanguinati che hanno alimentato conflitti armati e sanguinose guerre civili in Angola, nella Repubblica Democratica del Congo, in Sierra Leone. È un traffico in cui sono coinvolti mercanti, case d’asta, collezionisti in Medio Oriente, Usa ed Europa.

Il commercio illegale delle antichità è la seconda fonte di finanziamento del terrorismo, dopo il traffico del petrolio. Si parla di blood antiquities.In tutte le aree di crisi, dove il territorio non è controllato, proliferano gli scavi clandestini. Lo scavo condotto con metodo scientifico è lo scavo stratigrafico, che procede per strati, individuando nel terreno i livelli di stratificazione corrispondenti alle epoche della nostra storia. Prima di estrarre un reperto, l’archeologo studia lo strato corrispondente, dal più superficiale al più profondo, dal più recente al più antico.

Lo scavo clandestino, invece, è distruttivo: ha come unico obiettivo il prodotto della ricerca, il reperto archeologico da vendere. Distrugge il sito e ne rende impossibile lo studio. Gli oggetti asportati perdono irrimediabilmente tutte le informazioni relative alla loro storia, al loro contesto, alla loro epoca.

In Iraq e in Siria spesso l’economia del luogo era sostenuta da missioni archeologiche internazionali che impiegavano anche personale locale. Quando la situazione è diventata troppo pericolosa, le missioni internazionali sono state sospese, e il contributo economico è scomparso. Molti operai con competenze di scavo hanno iniziato a saccheggiare i siti e a vendere i reperti per nutrire la famiglia. Nel territorio controllato dall’Isis, agli abitanti locali può venir permesso di scavare in cambio di una percentuale sul profitto. Esistono anche bande organizzate appositamente per saccheggiare; le stesse squadre di trafficanti si spostano dall’Iraq alla Siria. Le foto satellitari documentano il saccheggio dei siti archeologici.

  • Iraq. Immagine satellitare di Nimrud, marzo 2014. Il sito è ancora integro (Foto CNES, 2014, Distribution Airbus DS - Pleiades Satellite Imagery Analysis by UNITAR-UNOSAT, “The Telegraph – Travel” - fonte Telegraph)Iraq. Immagine satellitare di Nimrud, marzo 2014. Il sito è ancora integro. Foto CNES, 2014, Distribution Airbus DS – Pleiades Satellite Imagery Analysis by UNITAR-UNOSAT, The Telegraph – Travel.
  • Iraq. Immagine satellitare di Nimrud, aprile 2015. Il sito è stato ampiamente distrutto e saccheggiato. Foto CNES, 2014, Distribution Airbus DS - Pleiades Satellite Imagery Analysis by UNITAR-UNOSAT, “The Telegraph – TravelIraq. Immagine satellitare di Nimrud, aprile 2015. Il sito è stato ampiamente distrutto e saccheggiato. Foto CNES, 2014, Distribution Airbus DS – Pleiades Satellite Imagery Analysis by UNITAR-UNOSAT, The Telegraph – Travel.
  • Siria. Foto satellitari del Tempio di Baalshamin a Palmira, prima e dopo la distruzione, maggio-agosto 2015 (Protect Syrian Archaeology)Siria. Foto satellitari del Tempio di Baalshamin a Palmira, prima e dopo la distruzione, maggio-agosto 2015 (Protect Syrian Archaeology).
  • Siria. Dura Europos, scavi clandestini (AAAS – Geospatial Technologies Project)Siria. Dura Europos, scavi clandestini (AAAS – Geospatial Technologies Project).
  • Khaled al-Asaad, già direttore degli scavi di Palmira (dal web)Khaled al-Asaad, già direttore degli scavi di Palmira (dal web).

Generalmente, dopo il saccheggio del sito (o di un museo) i reperti vengono convogliati verso paesi con un basso livello di controllo, come la Turchia o il Libano. L’Isis incoraggia l’esportazione clandestina dei beni culturali soprattutto in Turchia, al cui confine si decide cosa può essere acquistato: frammenti di ceramica, mosaici, gioielli d’oro. I reperti greci e romani sono più difficilmente individuabili come siriani e quindi più facilmente smerciabili, in quanto potrebbero provenire da tutte le aree del Mediterraneo.

In questo mondo contraddittorio, l’Occidente, con l’acquisto dei reperti e degli oggetti trafugati dal territorio controllato dall’Isis, finanzia il terrorismo che dice di combattere.Da queste zone, i reperti prendono la via di un porto franco, Dubai o Ginevra, dove avviene il riciclaggio dell’oggetto a cui vengono assegnati dei falsi documenti di provenienza. I reperti vengono quindi trasferiti nelle maggiori piazze del mercato nero dell’arte: Londra, New York, Tokyo, Monaco di Baviera. La città tedesca si è rivelata uno dei principali centri di smistamento in Europa. Ci sono state forti pressioni, anche interne, sul governo tedesco per prendere adeguati provvedimenti, ed è in programma una nuova legge contro l’importazione dei beni culturali rubati.

Con la sua nuova, falsa, identità, l’oggetto può essere esposto in fiere d’arte, venduto e acquistato anche da musei. È una legge di mercato: c’è offerta perché c’è domanda. L’interesse per questo genere di reperti si sta diffondendo anche nei Paesi del Golfo e in Cina. Negli Stati Uniti, negli ultimi anni è fortemente aumentata la domanda di reperti da Egitto, Iraq, Libano, Siria, Turchia. In questo mondo contraddittorio, l’Occidente, con l’acquisto dei reperti e degli oggetti trafugati dal territorio controllato dall’Isis, finanzia il terrorismo che dice di combattere.

Eppure c’è chi è disposto a sacrificare la propria vita per salvare il patrimonio culturale. È il caso di Khaled al-Asaad, archeologo in pensione già direttore degli scavi di Palmira, ucciso e barbaramente esposto perché si sarebbe rifiutato di rivelare il luogo in cui erano stati nascosti preziosi reperti della città. La comunità internazionale si è mobilitata per chiedere con una petizione la sua candidatura al Nobel per la pace alla memoria.

Candidatura che avrebbe meritato anche l’archeologo Fabio Maniscalco, uno dei massimi esperti mondiali in protezione del patrimonio culturale in area di crisi, in tempi in cui l’argomento non occupava così tanto le pagine dei giornali e del web. Maniscalco ha dato la vita per salvare i beni culturali dei paesi coinvolti nei conflitti, senza porsi problemi di confini, nella profonda consapevolezza che il patrimonio culturale è un bene di tutta l’umanità.

Anche la possibilità di stabilità e di riconciliazione nella fase del post-conflitto è minacciata dal traffico illecito del patrimonio culturale. In febbraio, il Consiglio di Sicurezza dell’Onu ha messo al bando il traffico di reperti dalla Siria, come era già stato fatto per l’Iraq nel 2003. Allo scoppio della guerra civile, nel 2011, L’Unesco ha creato un Osservatorio sul patrimonio culturale siriano (Observatory of Syrian Cultural Heritage) per monitorare la situazione, promuovendo iniziative e seminari, diffondendo liste di oggetti a rischio di esportazione dal territorio e mettendo in guardia case d’asta e musei dall’acquisto di reperti trafugati. Fra i video diffusi dall’Unesco c’è una brevissima clip a cartoni animati, nemmeno 40 secondi, ma particolarmente incisiva, per combattere la dispersione del patrimonio culturale siriano (Fight against illicit trafficking in Syrian cultural property). Grandi mani calano dall’alto sulla popolazione, portando via pezzi di patrimonio e facendo piovere manciate di soldi, fino a ricoprire tutta la terra. Soldi, un mondo di soldi, in cambio della memoria dei popoli.

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Elena Franchi

È storica dell’arte, giornalista e membro di commissioni dell’International Council of Museums (ICOM).
Candidata nel 2009 all’Emmy Award, sezione “Research”, per il documentario americano “The Rape of Europa” (2006), dal 2017 al 2019 ha partecipato al progetto europeo “Transfer of Cultural Objects in the Alpe Adria Region in the 20th Century”.
Fra le sue pubblicazioni: “I viaggi dell’Assunta. La protezione del patrimonio artistico veneziano durante i conflitti mondiali”, Pisa, 2010; “Arte in assetto di guerra. Protezione e distruzione del patrimonio artistico a Pisa durante la Seconda guerra mondiale”, Pisa, 2006; il manuale scolastico “Educazione civica per l’arte. Il patrimonio culturale come bene dell’umanità”, Loescher-D’Anna, Torino 2021.
Ambiti di ricerca principali: protezione del patrimonio culturale nei conflitti (dalle guerre mondiali alle aree di crisi contemporanee); tutela e educazione al patrimonio; storia della divulgazione e della didattica della storia dell’arte; musei della scuola.

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