Antonio Sartori, maestro di humanitas

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Se non è mai facile scrivere una commemorazione, stavolta la cosa è per me particolarmente difficile, poiché lo studioso scomparso è Antonio Sartori (1940-2023), il mio Maestro. Con lui, infatti, dopo la mia laurea che lo vide relatore nel lontano 1987, non solo ho condiviso un lungo, lunghissimo, periodo di collaborazione scientifica, ma anche una profonda vicinanza umana che non può che rendere parziale il mio punto di vista.
Antonio Sartori esamina un frammento di epigrafe, Milano, Biblioteca Ambrosiana.

Per me, infatti, come per molti altri, il professor Sartori è stato sì una guida nell’approccio alle antiche iscrizioni latine, ma soprattutto un vero, genuino, interprete di quella humanitas di cui parlavano gli antichi: dalla sua generosità, dalla sua disponibilità, dal suo entusiasmo tutti noi che lo abbiamo avuto come docente abbiamo così appreso che non è vero sapere quello che si tiene per sé, nella solitudine della propria torre più o meno eburnea. Il vero sapere, il più naturale esito dei propri studi è la messa in comune dei risultati, la loro condivisione con gli altri, a principiare dai membri della comunità scientifica per arrivare agli studenti e – perché no? – al grande pubblico.
Proverò dunque a dimostrare quanto affermato lasciando da parte – se ci riesco – quella parzialità cui ho sopra accennato, ricordando almeno una piccola parte del suo contributo alla “scienza epigrafica”.

La lunga docenza alla Statale di Milano

Antonio Sartori, laureatosi nel 1964 con Mario Attilio Levi, dopo un periodo come assistente volontario e poi di ruolo alla cattedra di Storia Romana, ha tenuto alla “Statale” di Milano la cattedra di Epigrafia Latina dal 1983 al 2011. Con lui l’Epigrafia tornava ad essere, dopo decenni, una disciplina autonoma e non un’appendice (una Cenerentola?) dell’insegnamento di Storia Romana. Per giustificare tale autonomia, però, occorreva un robusto cambio di prospettiva che sottraesse la materia a una dimensione troppo strettamente antiquaria, erudita o compilativa, e Sartori lo trovò nell’adesione alle innovative idee che provenivano dalla “Scuola bolognese” di Giancarlo Susini e Angela Donati, dei quali ho già scritto su queste colonne.

Nelle lezioni e nell’attività di ricerca del Nostro, dunque, al rigore filologico nella interpretazione dei testi si accompagnava il tentativo di leggerli come strumento di comunicazione, come forme di un’alfabetizzazione che aveva manifestazioni specifiche nelle diverse realtà locali. Sarebbe semplicistico dire che Sartori trattasse i testi epigrafici alla stregua di moderni media comunicativi: egli faceva anche questo. Certo è che sentire citare nelle sue lezioni – accanto a nomina e cognomina latini, a Ludovico Antonio Muratori e Theodor Mommsen – gli studi di Marshall McLuhan e Umberto Eco a noi giovani studenti faceva una certa impressione. Per di più la scelta di epigrafi da illustrare era volta soprattutto a dimostrare come l’alfabetizzazione in età romana non fosse solo appannaggio dei ceti superiori, e che la pratica della lettura – magari stentata, parziale, oppure guidata – non fosse ignota anche ai membri delle classi sociali meno elevate, schiavi compresi.

Le iscrizioni di Milano e Como, oggetto dei suoi studi

Da subito il professore aveva sentito anche l’obbligo morale di censire e valorizzare il patrimonio epigrafico dell’area della Lombardia centrale, in particolare quello delle antiche città di Mediolanum (Milano) e Comum (Como), rispondendo così alla pacifica “chiamata alle armi” (scusate l’ossimoro) con la quale Silvio Panciera rilanciava in quegli anni l’iniziativa dei Supplementa Italica.

Ne è sorta una serie infinita di lavori a stampa, suoi e dei suoi allievi, ma ne è conseguito anche un attivismo finalizzato al fatto che entrambe queste città avessero un Museo lapidario degno di questo nome. E se il Museo “Giovio” di Como conserva ancora la sezione lapidaria da lui ideata negli anni Novanta, il grandioso lapidario milanese nei sotterranei del Castello Sforzesco è durato – scusate l’abbassamento di tono – il tempo di un sorso di whisky della “Milano da bere”. Quanto gli sia pesato quello smantellamento, e con quanta sofferenza abbia visto la vanificazione del suo progetto e la “diaspora” delle epigrafi bene lo sa chi scrive, con il quale, su questo argomento, era spesso solito confidarsi.

Antonio Sartori e alcuni colleghi in un Convegno all’Ambrosiana.

Ma Sartori non era tipo da abbattersi. Così, negli anni, con l’aiuto di Serena Zoia ha comunque dato alle stampe un poderoso catalogo di tutte le iscrizioni del Museo archeologico milanese (A. Sartori – S. Zoia, Pietre che vivono. Catalogo delle epigrafi di età romana del Civico Museo Archeologico di Milano, Faenza 2020, da me recensito su La ricerca). Non solo. Insieme con me è divenuto supervisore del progetto di schedatura e digitalizzazione delle iscrizioni latine di Milano e Como EDR che – con la collaborazione di Serena Zoia, Francesca D’Andrea, Silvia Gazzoli – è stato di recente concluso. Più divulgativo, invece, il brillante libretto A. Sartori, Gente di sasso. Parlano gli antichi milanesi, Milano 2000, rivolto a quel “grande pubblico” di cui prima si diceva, al quale era sempre particolarmente attento.

Il suo contributo scientifico all’amata Milano, però, non finisce qui. Divenuto infatti nel 2010 membro dell’Accademia Ambrosiana, Classe di studi greci e latini, il professore ha trasformato – dopo il congedo dall’Università – la Veneranda Biblioteca Ambrosiana in una sorta di nuovo “laboratorio epigrafico”, editando il catalogo delle iscrizioni qui conservate (A. Sartori, Loquentes lapides. La raccolta epigrafica dell’Ambrosiana, con contributi di M. Cadario, M. Sannazaro, F. Slavazzi, Milano 2014), ma anche organizzando in sede – con la collaborazione del Direttore Mons. Federico Gallo – numerosi e partecipati convegni.

Un grande organizzatore di convegni

La parola “convegni” ci consente di riprendere un aspetto della sua personalità già prima accennato, e cioè quello della volontà di mettere in comune il proprio sapere. Dunque non diceva mai di no, se invitato, anche in luoghi lontanissimi per congressi o conferenze: lo ricordo alla fine degli anni Ottanta e nei primi anni Novanta visiting professor in alcune prestigiose università giapponesi, nonché tutor di studenti nipponici venuti in Italia per approfondire gli studi classici. Se non posso elencare tutte le trasferte che ho condiviso con lui, menziono almeno le due più frequenti, delle quali ho un ricordo particolarmente caro: quelle a Lione per i congressi quadriennali sull’esercito romano voluti da Yann Le Bohec, e quelle – numerose davvero – a Bertinoro, per gli indimenticabili “Colloqui Borghesi”, tenuti vivi dall’entusiasmo di Angela Donati e di altri amici dell’ambiente bolognese.

Antonio Sartori con Mauro Reali durante una conferenza.

Ma è stata la sua capacità organizzativa a renderlo famoso tra colleghi e studiosi. A Milano, nell’ambito dell’allora Dipartimento di Scienze dell’Antichità della “Statale”, ha organizzato tre importanti seminari, cioè Parole per sempre? (2002), Scripta volant? (2004), Parole per tutti? (2006). Interessante notare come i titoli di tutti e tre gli incontri terminassero con il punto interrogativo: perché era dal confronto che doveva uscire qualche risposta, non da tesi precostituite. Già prima però – insieme con Ida Calabi Limentani – aveva contribuito alla realizzazione di un’iniziativa di respiro internazionale per celebrare l’epigrafista settecentesco Stefano Antonio Morcelli (1987). A proposito di Ida Calabi Limentani, impossibile non ricordare come Sartori avesse una stima enorme per questa sua prestigiosa collega dell’Ateneo milanese, esponente di una generazione di docenti precedente alla sua: di ciò fa fede il fatto che nel 2020 – insieme con Marco Buonocore – ha curato un volume miscellaneo per ricordare i cento anni della nascita di questa grande studiosa.

Feconda anche la sua collaborazione con l’Università Cattolica del Sacro Cuore (nella persona dell’amico Alfredo Valvo); così Sartori e Valvo, dopo avere ideato un congresso sui “Ceti medi” della società della Cisalpina romana (2000), insieme ai colleghi di alcune università spagnole hanno costruito un vivace cantiere di lavoro, che si è concretizzato in due convegni: uno a Pamplona (2005) e uno a Gargnano sul Garda (2010), entrambi etichettati dal “logo” Iberia-Italia, nei quali si è ragionato su alcune specificità del mondo romano, in bilico tra autonomia locale e globalizzazione.

Anche con gli studiosi mitteleuropei non è mancata una costante forma di confronto, che ha dato origine a un Workshop del gruppo di studio FERCAN (Fontes Epigraphicae Religionis Celticae Antiquae), sempre a Gargnano sul Garda (2007), dove si è parlato di manifestazioni epigrafiche storico-religiose.

Già ho accennato ai convegni ambrosiani, ma qui li menziono nel dettaglio; essi sono stati: Tradizione, trasmissione, traslazione delle epigrafi latine (2014); Spurii lapides: i falsi nell’epigrafia latina (2016), L’errore in Epigrafia (2018) e La loquacità degli spazi bianchi in Epigrafia (2022).

Chi ha partecipato a queste iniziative lo sa: Sartori curava tutto con una precisione assoluta, dal menu dei pranzi conviviali, alla scelta della cravatta più intonata all’umore del giorno, alla selezione accurata dei fiori (sua grande passione) per addobbare le sale e omaggiare le signore presenti. Di tutti questi convegni (tranne l’ultimo, che editeremo in suo onore e memoria Federico Gallo, Sergio Lazzarini ed io) egli è stato pure curatore (o co-curatore) degli Atti, che ha seguito con puntigliosa cura: poiché ho scritto anch’io in tutti questi volumi, ho sperimentato spesso il suo cortese ma inflessibile rigore! Lo stesso rigore che ha usato nel collaborare fino alla fine alla redazione dell’Année Epigraphique, opera diretta da quella Mireille Corbier che è da sempre un punto di riferimento dell’epigrafia internazionale.

Il culto dell’amicizia

CIL V, 5923, una stele con il termine amicus eraso.

Come si può vedere, ho cercato di tenermi lontano dagli eccessi di coinvolgimento emotivo, cosa che proverò a fare anche al termine di questo mio scritto. Non posso però evitare una considerazione finale, che travalica il profilo scientifico del Nostro, ma che in qualche modo lo comprende. Ho fin qui menzionato molti nomi, e molti altri potrei aggiungere: con tutti loro Antonio Sartori aveva saputo tessere una relazione che non è eccessivo chiamare di amicizia, manifestazione – per così dire – più concretamente “sociale” di quella humanitas di cui già si è detto. E anche quelli che lo avevano conosciuto più superficialmente, alla notizia della sua scomparsa, resa pubblica da José D’Encarnação con la sua sterminata mailing list e da Silvia Orlandi sul sito della Association Internationale d’Épigraphie Grecque et Latine (di cui lei è presidente), hanno fatto in modo di far pervenire un pensiero commosso. Amicizia, dicevo. Non è un caso che sia stato proprio lui – oltre trenta anni fa – a convincermi a studiare il fenomeno dell’amicizia nel mondo romano come argomento della mia tesi di Dottorato, muovendo dalla suggestione di una stele funeraria di Milano (CIL V, 5923 = EDR124245, S. Zoia) dalla quale un accurato restauro aveva mostrato che era stata nel tempo erasa (chissà per quali ragioni?) la parola amicus. La mia amicitia con lui, invece, non si è mai cancellata; un’amicizia tenace, pur in quel rispetto dei reciproci ruoli che si conviene a persone entrambe un po’ “all’antica”: infatti abbiamo continuato, fino alla fine, a darci del “lei”, anche se Antonio Sartori mi chiamava semplicemente “Mauro”, e io sempre “professore”. Il legame si è ovviamente allargato alla moglie Antonella (scomparsa qualche anno fa) e al figlio Andrea con la sua famiglia, e amici miei sono diventati anche quasi tutti gli studiosi che ho già citato, come pure lo sono molti allieve e allievi che nel tempo hanno studiato sotto la sua guida. Non è questa la sede per elencarli tutti, ma se qualcuno di loro leggerà questo pezzo potrà riconoscersi nelle mie parole; una però mi è d’obbligo menzionare, ed è Gisella Turazza, che molti anni fa è diventata mia moglie. Anche lei, come il sottoscritto, ha avuto la fortuna di seguire il primo corso universitario di Antonio Sartori, ma essendo decisamente più brava si è laureata un anno prima di me: pure di questo – come di altre cose – si scherzava spesso con il professore…

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Mauro Reali

Docente di Liceo, Dottore di Ricerca in Storia Antica, è autore di testi Loescher di Letteratura Latina e di Storia. Le sue ricerche scientifiche, realizzate presso l’Università degli Studi di Milano, riguardano l’Epigrafia latina e la Storia romana. È giornalista pubblicista e Direttore responsabile de «La ricerca».

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