I testi: l’epitaffio del padre…
I due epitaffi su cui vorrei concentrare l’attenzione in questo terzo intervento dedicato all’Antologia di Spoon River riguardano una coppia di personaggi: la poesia intitolata a Lois Spears, nell’edizione definitiva dell’Antologia (1916), è la n. 51; quella dedicata a suo padre Willard Fluke è la n. 53. La collocazione delle poesie è sicuramente frutto di una scelta precisa: nella prima edizione del libro (1915), la poesia di Lois Spears non era presente – inserendola, l’autore non solo la colloca prima di quella del padre, invertendo l’ordine cronologico delle vicende, ma inserisce fra le due poesie un altro testo, anch’esso assente nella prima edizione, intitolato “Il giudice Arnett”. La disposizione potrebbe giustificarsi semplicemente con la situazione da cui ha avuto origine il libro: l’autore immagina di aggirarsi fra le tombe del cimitero di Spoon River, ascoltando le voci dei personaggi così come gli si presentano. Ma questo vale solo all’interno della finzione narrativa del libro; in realtà mi sembra di poter sostenere che l’autore, scegliendo questa disposizione, indirizza i lettori, invitandoli a un lavoro di confronto, a un vero e proprio andirivieni fra i due testi (senza dimenticare quello che li separa), che rende l’esperienza di lettura più ricca e sfumata.
Immaginiamo il lettore del 1915, che si trova ad affrontare “Willard Fluke”:
Mia moglie perse la salute
E dimagrì fino a pesare quaranta chili scarsi.
Poi quella donna, che gli uomini
Chiamavano Cleopatra, arrivò in paese.
E noi – noi sposati – 5
Tutti rompemmo le nostre promesse, io come gli altri.
Passarono gli anni e a uno a uno
La morte li reclamò in modi orribili,
E io mi lasciai cullare dal sogno
Che Dio mi riservasse una grazia speciale, 10
E mi misi a scrivere, scrivere, scrivere, risme su risme,
Del secondo avvento di Cristo.
Poi Cristo venne a me e disse:
“Vai in chiesa, mettiti davanti all’assemblea
E confessa il tuo peccato.” 15
Ma proprio mentre mi alzavo e mi mettevo a parlare
Vidi la mia bambina, che era seduta in prima fila –
La mia bambina, che era nata cieca!
Dopo di che, tutto è nero!
La poesia si presenta suddivisa in tre sequenze di sei versi ciascuna (quasi delle “strofe”, sia pure di versi liberi e senza rime), chiaramente segnalate dalle indicazioni di tempo:
- nei versi 1-6 Willard (giustificandosi con la malattia della moglie) racconta di aver frequentato (come tutti gli uomini di Spoon River: seconda, indiretta, “giustificazione” – così facevano tutti…) una prostituta detta Cleopatra;
- nei versi 7-12 Willard assiste all’agonia e alla morte di tutti gli altri clienti della donna, vittime, lascia capire, di una imprecisata malattia venerea; lui viene risparmiato e si illude di sfuggire alla “punizione” per una grazia particolare di Dio (sviluppa cioè una ossessione religiosa, forse sintomo di follia – un’altra delle possibili conseguenze della malattia venerea);
- nell’ultima parte (vv. 13-18), in seguito a una visione, Willard si appresta a confessare il suo peccato di fronte ai confratelli, ma quando si accorge che fra loro è presente la figlia nata cieca prova un’emozione fatale.
Il lettore desideroso di approfondire l’analisi non può mancare di porsi due domande. La prima: la cecità della bambina potrebbe essere conseguenza di una malattia venerea del padre? Dal punto di vista medico, possiamo escluderlo; ma dal punto di vista di Willard, la risposta è diversa – la sua mente non corre alle cognizioni scientifiche, ma ai minacciosi ammonimenti biblici, che promettono al peccatore di essere punito nei discendenti “fino alla terza e alla quarta generazione” (così in Esodo 20:5 e, con minime variazioni, 34:7). Il personaggio vive quindi la cecità della figlia come una vendetta divina, tanto più dolorosa in quanto giunge tardiva, a smentire l’illusoria presunzione di una “grazia speciale”.
La seconda domanda riguarda il momento della morte di Willard: che cosa avviene esattamente quando Willard si accinge a parlare di fronte all’assemblea? “Vidi la mia bambina”, dice il personaggio – come se solo in quel momento si accorgesse della sua presenza; ma certo Willard non poteva ignorare che la figlia si trovava in chiesa, quindi l’emozione fatale non è legata alla presenza della bambina, bensì all’improvvisa presa di coscienza di Willard, che solo in quell’istante “vede” applicata nel suo caso particolare la regola generale da cui si credeva esentato per chissà quale misterioso privilegio. È un’illuminazione, la sua, che paradossalmente coincide con il buio della morte.
…e quello della figlia
Che cosa accade nell’edizione del 1916? Il lettore che segue l’ordine proposto dall’autore legge prima l’epitaffio di Lois Spears:
Qui è sepolto il corpo di Lois Spears,
Nata Lois Fluke, figlia di Willard Fluke,
Moglie di Cyrus Spears,
Madre di Myrtle e Virgil Spears,
Bambini dagli occhi limpidi e dalle membra sane – 5
(Io sono nata cieca).
Sono stata la più felice delle donne,
Come moglie, madre e casalinga,
Occupandomi dei miei cari
E facendo della mia dimora 10
Un luogo di ordine e di generosa ospitalità:
Perché mi muovevo per le stanze
E per il giardino
Con un istinto sicuro come la vista,
Come se avessi gli occhi sulla punta delle dita – 15
Gloria a Dio nell’alto dei cieli.
Il resoconto di Lois è un autoelogio quasi spudorato nella sua ingenuità: protagonista di una vita fervidamente operosa, contenta dei suoi ruoli femminili tradizionali (“moglie, madre e casalinga”), la donna è uno dei rari personaggi dell’Antologia che si dichiarano pienamente soddisfatti della propria esistenza. Il suo racconto è animato da un moto ascendente (dall’iniziale “Qui è sepolto”, condizione subito attribuita limitativamente al “corpo”, fino alla conclusione “nell’alto dei cieli”) in cui l’unico inciampo (la cecità congenita) è comunicato tra parentesi, quasi fosse affatto secondario (in realtà il verso rompe la successione di “strofe” di cinque versi, inserendo un elemento di irregolarità ritmica che rivela la sua importanza decisiva).
L’insistenza così esplicita di Lois sulla propria serena autorealizzazione non può che insospettirci: gli affetti familiari, elencati come in un documento anagrafico ai vv. 2-4, i termini “occhi limpidi, membra sane, la più felice delle donne, ordine, generosa ospitalità, istinto sicuro, Gloria a Dio” affollano il suo resoconto, ma l’assenza della minima sfumatura problematica deve sollevare qualche dubbio: difficilmente la negazione dell’ombra è premessa di vera salute… Il lettore, tuttavia, è apparentemente invitato, in prima istanza, a riconoscere il valore positivo di un’esistenza ispirata a un forte sentimento religioso, che a dispetto di un’enfasi forse eccessiva sull’ordine (ma per una cieca l’ordine è condizione necessaria per potersi muovere con sicurezza nel proprio ambiente) si risolve in apertura al prossimo (“generosa ospitalità”).
Insomma, alla prima lettura l’epitaffio di Lois Spears ci lascia in dubbio se prendere per buone le dichiarazioni del personaggio o dare spazio ai sospetti che ho rapidamente indicato.
Ordine e illuminazione
È quando arriviamo a leggere “Willard Fluke” che ci troviamo costretti a ripensare all’epitaffio di Lois e a porci una domanda fondamentale: perché Lois (che pure si presenta innanzitutto come “figlia di Willard Fluke”) non accenna neppure alla morte del padre, che pure deve aver segnato la sua esistenza? Se anche fosse stata troppo giovane per averne memoria diretta (Willard non indica l’età della bambina all’epoca), un fatto del genere non poteva esserle ignoto, e il suo silenzio al riguardo ci conferma che il suo racconto, così volutamente in positivo, così deciso nel presentare un modello di vita (e di famiglia) esemplari, come minimo non dice tutta la verità. Il suo non detto è l’indizio di una conflittualità negata, o almeno di una incomprensione profonda.
Immaginiamo per un momento che Masters avesse collocato l’epitaffio di Lois dopo quello di Willard: come ne risulterebbe impoverita la nostra lettura! Il verso 6, quello tra parentesi, per limitarci a un dettaglio, diventerebbe quasi pleonastico, mentre l’anticipazione ne fa scaturire dubbi e domande (perché è nata cieca? perché ce lo dice tra parentesi?…).
Non solo: fra gli epitaffi della figlia e del padre, come sappiamo, Masters ha collocato un’altra poesia, “Il giudice Arnett”. Il protagonista di questa poesia è un anziano giudice, morto perché il pesante raccoglitore contenente il suo archivio personale gli ha rotto la testa, cadendo dallo scaffale. Il giudice tenta di ragionare sulla propria morte, di analizzarla con ordine, come è abituato a fare per mestiere di fronte a qualsiasi problema, ma l’ultima immagine che ha visto, e che ancora lo ossessiona, è quella dei fogli che, sfuggendo dal raccoglitore, si sparpagliano per tutta la stanza – fogli che contenevano i suoi appunti, stilati giorno per giorno, e che simboleggiano l’insensatezza della sua vita, la casualità di un’esistenza “esemplare” che un banale incidente può distruggere e cancellare.
Due motivi, come si vede, collegano questa poesia al dittico di cui ci stiamo occupando: quello dell’ordine, che si rivela uno strumento insufficiente a fronte della aleatoria casualità della vita; e quello dell’illuminazione in punto di morte, che provoca sofferenza e tormento anziché gioia e serenità. Su questo mi sembra utile aggiungere qualche schematica considerazione conclusiva.
1. La cecità riguarda numerosi personaggi dell’Antologia di Spoon River e assume un carattere ambivalente: in alcuni casi è un tratto che caratterizza artisti e profeti (come nell’antichità classica, da Omero a Tiresia), cioè figure dotate di un’altra vista, di una capacità visionaria superiore, che non si ferma alle apparenze del mondo materiale e così via; in alcuni casi è invece una vera e propria incapacità di vedere, di capire il mondo e la vita – e l’esempio più importante che abbiamo incontrato, prima di Lois Spears, è “Butch” Weldy, il brutale violentatore della poetessa Minerva Jones, che resta cieco a causa di un’esplosione nella fabbrica di lattine in cui lavorava. Ebbene, proprio l’esplosione nella fabbrica di lattine provoca la caduta dell’archivio che uccide il giudice Arnett – azzardo l’ipotesi che si tratti di un’indicazione al lettore affinché colleghi la cecità di Lois a quella di Weldy piuttosto che a quella, per esempio, del violinista Jack (che invece parla, nel suo epitaffio, proprio di Omero).
2. La stessa ricchezza di articolazioni emerge a proposito della tematica religiosa, che Masters affronta spesso in chiave di denuncia dell’ipocrisia e del falso moralismo, ovvero mostrando come il sentimento religioso possa diventare fanatismo e follia superstiziosa; senza escludere però che in alcuni casi (e quello di Lois Spears, malgrado le ambiguità che ho tentato di evidenziare, potrebbe essere uno di questi ultimi), esso sia davvero la premessa per una sincera apertura umana e per una profonda esperienza spirituale. Masters insomma esige un lettore “attivo”, curioso, interrogante, che non si fermi alla lettera dei singoli testi, ma istituisca confronti, segua percorsi non lineari, colga la complessità delle vicende narrate, senza fidarsi delle dichiarazioni dei personaggi, ma andando alla ricerca di una verità che spesso (anzi, quasi sempre) ai personaggi stessi sfugge, o è nota solo in parte.
3. Da tutte queste considerazioni, infine, mi sembra di poter ipotizzare che le letture in chiave sociologica e naturalistica, per quanto utili a interpretare alcuni epitaffi, non rendano conto del nucleo tematico fondamentale dell’Antologia, che è filosofico e religioso: il libro (questa è la mia interpretazione complessiva) non è una descrizione della provincia americana, ma un percorso di ricerca spirituale, che l’autore propone al lettore attraverso una galleria di ritratti problematici e attraverso una serie di riferimenti sempre più espliciti ai grandi pensatori del passato, che costituiscono i suoi punti di riferimento. Sarà questo l’argomento del prossimo intervento.
(continua)
Leggi il primo articolo, su Minerva Jones.
Leggi il secondo articolo, su Johnny Sayre.
Leggi il quarto articolo, su Immanuel Ehenhardt.