Ancora sull’ipotesi di riduzione di un anno del ciclo liceale

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Ho letto con attenzione, dopo il pezzo di Elena Rausa sull’ipotetico “Liceo di 4 anni” (pezzo che condivido al punto che avrei voluto scriverlo io…), l’intervento preoccupato di Sandro Invidia: preoccupato sì da editore, ma, mi pare, ma ancor più da cittadino italiano e (immagino) da genitore.

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Non sto qui a dire che le preoccupazioni di Sandro – che conosco ab immemorabili… – sono anche le mie. Sono infatti un insegnante di Lettere, studioso di antichità e autore di numerosi volumi di Latino; mi addoloro dunque, e non poco, per la pubblica svalutazione del contenuto del mio lavoro e per la sempre minore attenzione alle discipline che amo e che studio da una vita. Ma, terenzianamente, homo sum, humani nihil a me alienum puto, e pertanto non mi è estraneo (e come potrebbe esserlo?) quello che succede ai giovani che ho portato fino alla Maturità o cui ho fatto un esame in Università: ben venga dunque qualunque riflessione finalizzata a creare le condizioni per migliorare le loro competenze e la loro potenziale futura (uso il nefasto termine…) occupabilità.
Purtroppo, però, il dibattito – sulla stampa, ma anche nelle scuole (dove peraltro è ancora poco sviluppato) – relativo al cosiddetto “Liceo di Quattro anni” non va in quest’ultima direzione. Tutti, ma davvero tutti, a cominciare dai pedagogisti o dagli esponenti del mondo del lavoro, ne hanno parlato solo in termini di tempistica (ce lo chiede l’Europa!) e di minore “noia” per i futuri studenti. Sì, un anno in meno nella (diciamolo, per molti inutile…) scuola, significa per chi se lo può permettere (ma chi se lo può davvero permettere?) veleggiare con un anno d’anticipo verso qualche prestigiosa Università straniera. E poco importa se questo comporterà qualche pomeriggio in più in classe (come i più ipotizzano): tanto – ognuno lo sa – dopo l’intervallo l’attenzione si abbassa in modo tale che tra il “tirare” le 14.00 o le 15.00 poco cambia… Nessuno che accenni ai programmi, nessuno (o quasi) che suggerisca una riorganizzazione di più ampio respiro dei curricoli; citando Invidia mi pare che qui si stia cercando solo di ricorrere alle vie più facili e sbrigative. Posso esprimermi in modo iperbolico? È come se la vituperata prassi didattica dei cosiddetti istituti privati di “recupero anni” trovasse oggi una sua legittimazione: eravamo noi a sbagliare – caspita! – e non ce n’eravamo accorti! Altro che moderni libri di testo, altro che strumenti multimediali e interattivi, altro che progettazione, programmazione, strategie di recupero… Tornerà infatti in auge la vecchia massima dell’anziano docente di Lettere (prof. M***) dell’istituto di recupero anni che mio nipote – ai tempi pluribocciato… – frequentò in anni lontani: due parole per ogni autore! Dunque per lui, fin che camperà, Leopardi sarà gobbo e infelice.

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Parliamo pure di tutto, dunque, anche del Liceo di quattro anni. Ma facciamolo senza ipocrisie: la fretta di farlo partire un po’ ovunque, consentendone (ma con quali garanzie culturali?) la sperimentazione è motivata da ragioni di marketing (per le scuole private) e di “contabilità” (per le scuole pubbliche), e ciò lo dimostra la pochezza del dibattito che gli sta intorno. A questo proposito da un lato mi inquieta, ma dall’altro mi vede attento osservatore, l’idea dell’Ufficio Scolastico della Lombardia di costituire un Comitato Scientifico ad hoc per rifletterci sopra: spero però (e sono sicuro che sarà così) che i Funzionari e gli Ispettori che lo compongono ascoltino anche la voce degli insegnanti (e degli studenti, perché no?) e non solo gli sbrigativi tweet di chi parla di tutto per sentito dire. E che – pur consapevole che i due piani (quello didattico e quello lavorativo) non debbano mescolarsi – ascoltino anche i sindacati: non vorrei a breve, oltre ai “forconi”, vedere in piazza anche le migliaia di insegnanti in esubero.
Caro Sandro, i “forconi” fanno paura anche a me. Soprattutto perché – come dici tu – nessuno ci spiega il loro progetto politico, se mai ne hanno uno. Così come nessuno mi spiega come faccio a spiegare (scusate il gioco di parole…) ai miei studenti che l’Italia ha (o aveva) una legge elettorale illegittima, ma che, abolito il Porcellum (sic!), non si torna automaticamente al Mattarellum (sic!). Nessuno ci sa spiegare queste cose perché la realtà è complessa, forse troppo, almeno per me. Semplificare la scuola – che dovrebbe aiutare i giovani a capire il mondo… – con la mannaia (strumento non troppo diverso dal forcone, quanto a violenza), non mi pare una cosa sensata: anzi il prof. M*** direbbe, in due parole, che si tratta di un’operazione insensata e dannosa.

P.S. Sono contento che molte delle cose che avrei voluto dire io, ma che ho evitato un po’ per ragioni di spazio, un po’ perché credo di avere già espresso in varie circostanze il mio pensiero sugli eccessi della “scuola digitale”, le abbia appena scritte – benissimo – Gian Paolo Terravecchia su queste colonne. Terravecchia giustamente teme, tanto più in un “liceo breve”, la progressiva (ma neanche tanto…) trasformazione del professore in facilitatore. Il termine è orrendo ed è ormai oggetto di uso ed abuso da parte degli “acrobati” del didattichese; a me però – chissà perché – più che rabbia provoca ilarità: non posso fare a meno, infatti, di associarlo al risolutore di Pulp fiction. Spero solo che la scuola del futuro ci richieda azioni meno cruente di quelle affidate a quel personaggio…

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Mauro Reali

Docente di Liceo, Dottore di Ricerca in Storia Antica, è autore di testi Loescher di Letteratura Latina e di Storia. Le sue ricerche scientifiche, realizzate presso l’Università degli Studi di Milano, riguardano l’Epigrafia latina e la Storia romana. È giornalista pubblicista e Direttore responsabile de «La ricerca».

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