Qualche tempo fa mi arriva un messaggio scritto su un biglietto da un allievo che quasi mai osa intervenire in classe. Taciturno, forse intimorito da alcuni compagni che configurano con i loro atteggiamenti una gerarchia di gruppo e una serie di regole, seppur non dichiarate (una sorta di bullismo silenzioso), il ragazzo, in quell’occasione particolare, riesce ad aprire un canale di comunicazione con me, l’insegnante, scrivendo queste parole:
Maestro, ha visto l’età dei terroristi? Alcuni hanno vent’anni, diciotto o diciassette. Tre o quattro più di noi, che siamo appena passati da bambini a ragazzi, come dice lei. E noi tra qualche mese andiamo fuori da qui e ci alleniamo a diventare grandi. I grandi diventano indipendenti e liberi. Anche questo lo ha detto lei. Questi che fanno terrore invece sono matti nel senso brutto e non sono liberi. Io non ci capisco un tubo di islam, sunniti, sciiti, ba’th e di tutta la storia che ci ha raccontato nell’ora di classe. È complicatissimo e spero non ci faccia il test. Nell’ora di classe non ci fa i test, vero? Per me i terroristi sono tutti razzisti, come i nazisti cattivi di Schindler list. In questo mondo siamo troppo diversi. O è colpa del petrolio e del gas e allora ciao.
Il quindicenne non scrive di problemi personali, ma di cose del mondo. Lo fa attraverso un pensiero spontaneo, senza dimenticare il tema centrale del crescere, del diventare adulto. È raro che un ragazzo si esprima in un manoscritto indirizzato all’insegnante, infatti ho preso spunto da questo episodio prezioso per tornare a rispondere a una domanda che mi pongo con frequenza: quali testi leggere a scuola? Come avvicinare i giovani ad argomentare, anche nei momenti in cui ricevono notizie drammatiche e la rabbia entra nelle case?
Allenarsi nell’argomentare è decisivo per la maturazione del pensiero critico e riflessivo, tuttavia padroneggiare temi come quelli sollevati dall’allievo è affare complesso, sia dal punto di vista della comprensione dei testi scelti (letture), sia dal punto di vista della produzione, perché bisogna analizzare dei modelli (buoni testi) e, dopo adeguata preparazione, imparare a discutere con gli altri con coraggio.
Il riconoscimento della forza degli argomenti, compresi quelli fallaci, e l’esposizione attenta allo sviluppo logico (coerenza logica e tematica) e a alla veste linguistica (coesione) richiedono un lavoro faticoso, così come faticoso è l’esercizio democratico che la scuola dell’obbligo deve promuovere nei bimbi, nei giovani, sensibilizzati da subito all’ascolto dell’altro.
Lo sanno bene i politici: «La capacità di argomentare con pensieri lucidi veicolati da frasi sintatticamente evolute è una parte essenziale del dovere pubblico (dei politici)», ha scritto Paolo Di Stefano in un suo contributo pubblicato sul «Corriere della sera». «Non è solo una questione per addetti ai lavori», dice Luca Serianni, che cita proprio il passaggio di Di Stefano nel suo volume Leggere, scrivere, argomentare (Laterza, Bari 2016). È un fatto che vale per tutti noi, comuni cittadini, perché la teoria dell’argomentazione «sa che quando gli uomini cessano di credere alle buone ragioni, comincia la violenza» (N. Bobbio, Prefazione, in Perelman e Olbrechts-Tyteca, Trattato dell’argomentazione, Einaudi, Torino 1989, p. XIX).
Veniamo allora ad alcuni testi, anche narrativi, che ho letto in classe per arricchire i pensieri degli allievi, ben prima che iniziasse l’attività di scrittura del testo argomentativo, all’ombra delle violenze riportate dai quotidiani.
Cos’è giusto? Cos’è ingiusto? Ce lo spiega il filosofo Jean-Luc Nancy (1940) nel suo libretto intitolato Il giusto e l’ingiusto, pubblicato da Feltrinelli: una conferenza che l’autore ha tenuto nel 2006 in un teatro, di fronte a un pubblico di adolescenti, ponendosi in ascolto e rispondendo ad alcune domane dei giovani. Nancy spiega concetti che hanno a che fare con il diritto, la filosofia, con l’etica.
Un’altra legge, che si chiama la legge del più forte. È quella che fa sì che il mio compagno abbia una console più di me, o che abbia una console e che io non ne abbia nemmeno una, perché lui è più forte, nel senso che ha una famiglia con più denaro – il che è una forma di forza. Molti di voi ritengono che chi è più forte fisicamente abbia ragione e che sia giusto che abbia prevalso perché ha dato una manica di botte ad un altro. (p.18)
Di giustizia abbiamo parlato anche attraverso il romanzo di Deborah Ellis, Sotto il burqa (Rizzoli, Milano 2001, premio Andersen), per discutere la situazione della protagonista, Parvana, costretta a travestirsi da ragazzo, a fasciarsi il seno e a tagliarsi i capelli in una Kabul controllata dai talebani. Il padre è stato arrestato, la madre non può uscire, così, per sostenere la propria famiglia, Parvana lavora come scriba nelle strade della capitale afgana, dove l’analfabetismo è molto diffuso. L’uso della forza, la violenza sono quotidianamente misurati dalla ragazzina, fortunata nell’avere a disposizione un’arma di difesa molto preziosa, che le permette di sopravvivere: la parola scritta.
-Chi mi pagherà per leggere? – chiese Parvana – Ho solo undici anni.
-Sei molto più istruita della maggior parte della popolazione afgana – aveva risposto la mamma – Comunque se non riuscirai a guadagnare così, penseremo a qualcos’altro.
Parvana stese la coperta sul duro pavimento d’argilla del mercato, sistemò i suoi oggetti in vendita da un lato (come faceva il papà) e la carta e le penne di fronte a sé. Poi si sedette e aspettò i clienti. (p.80)
Durante una discussione ho chiesto a un’allieva cosa c’è sotto il burqa. La ragazza, che aveva scoperto e letto nel frattempo gli altri libri di Deborah Ellis nei quali si conoscono le sorti di Parvana (Il viaggio di Parvana, Città di fango, e Il mio nome è Parvana) mi ha risposto così in un intervento orale che abbiamo registrato:
Allieva: Sotto il burqa ci sono le donne, quindi questo titolo fa vedere molto bene l’universo femminile e il coraggio delle donne.
Insegnante: Hai però letto anche altro di Deborah Ellis. Tutta la tetralogia. Qual è il romanzo che ti è piaciuto di più?
Allieva: Mi è piaciuto di più Il mio nome è Parvana perché è un insieme di due storie intrecciate, perché fanno vedere… a un certo punto Parvana resta sola e deve curare i bambini perché la madre è morta. Si fa vedere il coraggio che ha per andare avanti: molto di più di Sotto il burqa. Lì è molto più piccola quindi ha un po’ meno responsabilità. (Discussione in biblioteca, da Il bidello Ulisse, 16 novembre 2016)
Un’altra allieva, all’interno della stessa classe, ha letto Nina, un albo illustrato di Alice Brière-Haquet e Bruno Liance (Giunti, Milano 2016). Qui è forte l’accostamento con i testi di Deborah Ellis, perché la grande cantante Nina Simone ha vissuto la segregazione razziale. L’allieva spiega la metafora del pianoforte, presentata su una bella pagina illustrata del libro e propone una sintesi del testo letto, mostrandolo ai compagni.
Allieva: Nina è stato scritto da Alice Brière – Haquet e Bruno Liance. Parla di Nina Simone che è nata nel 1933, cantante e musicista afro-americana. Narra di Nina Simone e di sua figlia Lisa, nata nel 1964. Nina Simone racconta la storia perché la figlia fatica ad addormentarsi. Da piccola Nina impara a suonare il pianoforte a soli tre anni (…) Impara che due neri valgono un bianco. Il tram alla sera non poteva sedersi perché prima doveva lasciar accomodare i bianchi. Racconta anche che suonava Mozart, Beethoven, Liszt, Chopin e Debussy. (…) Nina sogna una vita che i bianchi e i neri stiano insieme in armonia come nel pianoforte, visto che in questo libro è metafora dell’umanità: per creare una canzone armoniosa hai bisogno sia dei tasti bianchi che dei bemolle e dei diesis che sono i tasti neri. (…) Ho messo in relazione soprattutto i personaggi perché entrambe le protagoniste (Nina e Parvana) sono simili per il fatto che sono tutte e due coraggiose e tutte e due lottano. A differenza di Parvana, Nina lotta per la passione per la musica, invece la protagonista di Sotto il burqa lotta per la sua famiglia visto che il padre è stato arrestato. (Discussione in biblioteca, da Il bidello Ulisse)
A partire da questi libri, ho elaborato un percorso di letture dove la complessità dei conflitti fosse al centro della narrazione, in modo da nutrire i contenuti, prima di avvicinare gli allievi al testo argomentativo. Cito alcuni testi letti negli ultimi due anni con ragazzi di terza e quarta media, di sicuro interesse, perché mettono alla prova le nostre convinzioni e perché si gioca con credibilità sui punti di vista. Con una certa regolarità, mi sono proposto di cogliere dalla Costituzione svizzera alcuni valori.
TAHAR BEN JELLOUN (2017), Il terrorismo spiegato ai nostri figli (che hanno bisogno di parole scelte con cura), La nave di Teseo, Milano.
JANNE TELLER (2014), Immagina di essere in guerra, Feltrinelli, Milano.
CHIARA CARMINATI (2014), Fuori fuoco, Bompiani, Milano.
DR. SEUSS (1961 – 2015), La battaglia del burro, Giunti, Firenze.
JEAN-LUC NANCY (2007), Il giusto e l’ingiusto, Feltrinelli, Milano.
GÉRARD THOMAS (2014), L’anarchia è una cosa semplice, Clichy, Firenze.
DEBORAH ELLIS (2001), Sotto il burqa, Rizzoli, Milano (Il viaggio di Parvana, Città di fango, Il mio nome è Parvana).
ALICE BRIÈRE- HAQUET e BRUNO LIANCE (2016), Nina, Giunti, Firenze.
Qui il link al testo della Costituzione federale della Confederazione Svizzera.
Questo tentativo di educare alla cittadinanza, richiamando a tratti il testo della Costituzione svizzera, è ricco di pensiero e ci aiuta a cercare, a dubitare, a capire con discrezione e senza paure chi siamo. Leggere, parlare, sapere ascoltare per riflettere sui testi, scrivere, rielaborando ciò che si sa, è occasione preziosa, insostituibile, nel lavorare a scuola, immersi nella molteplicità e nelle differenze.
Prima che iniziasse l’anno scolastico, lo scorso mese di agosto, un allievo mi scrisse un messaggio, questa volta via WhatsApp, come fosse una misteriosa meteora, senza firmarsi. Era la prima volta che un alunno mi inviava un messaggio in forma elettronica, con questo strumento: «Maestro! Magari lunedì non ci sono. Stavo partendo per la Svizzera. Ma mi è uscita una mucca. Non sto scherzando. Indovini da dove vengo».