Petrarca e i suoi venerdì

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Il filologo spagnolo Francisco Rico e il suo collega italiano Luca Marcozzi hanno ricevuto il prestigioso incarico di redigere la voce Francesco Petrarca per il Dizionario Biografico degli Italiani. Era più che ovvio che la ventina di cartelle a loro disposizione non fosse spazio adeguato per incanalare tutte le informazioni reperite sul grande poeta trecentesco, un uomo che, come diceva lo studioso americano Ernest Wilkins, ci ha lasciato una messe di informazioni biografiche di gran lunga superiori a quelle di ogni altro vissuto prima di lui. Così la parte “in esubero” del loro lavoro è divenuta un eccellente profilo biografico edito a parte in un recente volume intitolato “I venerdì del Petrarca”, Adelphi, Milano 2016.
Ritratto di Petrarca di Altichiero da Zevio.

Sì, proprio I venerdì del Petrarca, perché ciò di cui voglio parlare brevemente in questa sede non è la dettagliata e utilissima biografia, ma il saggio che la precede alle pp. 23-66, che dà appunto il titolo al libro. Credo che sia una lettura, oltre che interessante e istruttiva, anche di grande aiuto per quegli insegnanti di liceo che, come me, sono impegnati ogni anno nell’impresa (non sempre facilissima) di fare appassionare gli studenti a un poeta che non ha né l’immaginosa potenza di Dante né la gaia leggerezza del Boccaccio. E che pertanto risulta – pur nell’evidenza della sua arte – meno facile da “giustificare” agli occhi dei nostri giovani.

Lo spunto della riflessione di Rico è davvero stimolante, poiché ci dimostra come tutti (o quasi) gli eventi-cardine della vita del Petrarca siano da lui in modo vero o fittizio collocati di venerdì. E ciò appare da suggestioni contenute nelle Epistole, nel Canzoniere, ma anche nello splendido Codice Ambrosiano di Virgilio da lui accuratamente annotato. Il venerdì è per Petrarca innanzitutto il giorno dell’apparizione e della morte di Laura, ma anche della celeberrima ascesa al Monte Ventoso in compagnia del fratello, dell’incoronazione poetica, della stesura delle Epistole – “virtuali” ma cariche di significato – a Seneca e a Cicerone, e perfino della morte del figlio Giovanni; ed è anche per il poeta giorno di abituale revisione delle opere volgari, come pure di rituali digiuno e penitenza. E non è finita qui: ritengo però più utile che – per alcune questioni più tecniche “di calendario” – il lettore approcci direttamente le pagine di Rico, il quale dimostra come il Nostro abbia in qualche caso evidentemente forzato la mano con questo uso ed abuso del venerdì, finalizzato a costruire una biografia letteraria che fosse gratificante per lui e stimolante, incredibilmente allusiva, per i suoi lettori.

Il codice Ambrosiano di Virgilio, annotato da Petrarca e miniato da Simone Martini.

Rico è il primo ad ammettere di non sapere spiegare fino in fondo il perché di questa scelta di puntare tutto su venerdì; ma certo è questo uno dei modi attraverso i quali Francesco si autorappresenta, nello sforzo di creare attraverso le proprie opere un’immagine di sé nella quale realtà e finzione convivano fino a confondersi. Scrive infatti il filologo: «Il venerdì del Petrarca non è il venerdì nefasto della superstizione popolare, né solamente il venerdì devoto del cristiano: è il giorno che non passa inosservato, senza far sentire la propria singolarità, oppure che segna un certo evento come un sigillum che gli conferisce un significato ulteriore. È quindi uno degli archetipi e termini di paragone che servono a Francesco per situarsi nel mondo» (p. 25).
Insomma, enfatizzare la funzione di questo giorno «che non passa inosservato» significa per lui non far passare inosservata la peculiarità della propria esperienza esistenziale, unica e irripetibile; una peculiarità che Petrarca – vanesio come tutti gli artisti consci del proprio valore – pensava sarebbe stata notata più e più volte dalle generazioni che avrebbero nei secoli letto e riletto ogni sua parola, e che avrebbero riflettuto sul senso delle numerose “varianti” delle sue opere.
E Laura (giustamente ritenuta da Rico immagine che «fonde figure di donna diverse, figure diverse di una stessa donna, e, certamente, raffigurazioni diverse della laurea poetica», p. 65), o il fratello Gherardo (atletico compagno di ascesa sul Monte Ventoso), o il figlio Giovanni (oggetto d’amore e fonte di vergogna), e potrei andare avanti a lungo… ci appaiono nel corpus petrarchesco come satelliti che ruotano attorno all’inquietudine di Francesco; un Francesco che si trasforma in demiurgo e ne plasma le vite a proprio piacere, facendoli nascere, morire, incontrare, agire soprattutto di venerdì. Certo, toglie loro autonomia e libero arbitrio, come è destino dei personaggi che non sono ancora – siamo nel Trecento… – “in cerca d’autore”; però li consegna dritti dritti alla posterità, insieme con il loro sublime burattinaio.

Laura incorona Petrarca, Miniatura del XV secolo.

E allora debbo forse rettificare ciò che ho scritto prima, quando ho affermato che nelle opere del Nostro convivono realtà e finzione; è infatti un’affermazione un po’ ingenua, tipica dell’insegnante che cerca di spiegare le cose in modo comprensibile ai propri studenti. Le opere di Petrarca sono invece la più profonda realtà che egli ha voluto consegnarci, fatta di macro-inquietudini (tensione dialettica tra amore per Laura e amore per Dio, costante tendenza alla mutatio loci, dialogo aperto con l’Antichità classica…), ma anche di singoli atti, singole parole e singoli… giorni.
E se l’Andrea Sperelli dannunziano – al pari del suo creatore – voleva omologare la propria vita a un’opera d’arte, Petrarca vuole far sì che l’opera d’arte che ci ha lasciato sia la sua “vera vita”, perché è lui il primo a sapere che senza i suoi versi (e non solo) il ricordo della propria esistenza non avrebbe superato lo spazio-tempo di una generazione. È infatti nell’arte che le sue inquietudini si placano e si armonizzano, assumono una dimensione universale che trascende il soggettivismo, e si caricano pertanto di quella valenze simboliche talora misteriose sulle quali lettori e critici non debbono smettere – come Rico fa al meglio – di indagare.

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Mauro Reali

Docente di Liceo, Dottore di Ricerca in Storia Antica, è autore di testi Loescher di Letteratura Latina e di Storia. Le sue ricerche scientifiche, realizzate presso l’Università degli Studi di Milano, riguardano l’Epigrafia latina e la Storia romana. È giornalista pubblicista e Direttore responsabile de «La ricerca».

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