Addetti ai valori

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L’allegato al recentissimo decreto del ministro dell’istruzione sul tema dei libri digitali stabilisce tempistica, modalità e tetti di spesa delle future adozioni dei testi scolastici in versione “mista” ed elettronica, mettendo in atto quanto annunciato da Carrozza in estate, ovvero l’intenzione di prendere in mano la questione in prima persona.

“Il libro di testo costituisce uno degli strumenti didattici per la realizzazione dei processi di apprendimento definiti dagli ordinamenti scolastici dei diversi ordini e gradi di istruzione, nonché per lo studio individuale e domestico. La sua scelta costituisce rilevante momento di espressione dell’autonomia professionale e della libertà di insegnamento. In quanto strumento di apprendimento il libro di testo ha tre funzioni principali, fra loro interconnesse: 1) offrire al lavoro didattico un percorso di riferimento conforme alle indicazioni nazionali dei piani di studio, contribuendo in tal modo a garantire – pur nel pieno rispetto dell’autonomia dei docenti – l’opportuno livello di uniformità e standardizzazione dei percorsi e degli obiettivi di apprendimento; 2) offrire una esposizione autorevole, validata (sia dal punto di vista autoriale sia da quello editoriale e redazionale) ed efficace dei contenuti essenziali previsti dalle indicazioni nazionali; 3) utilizzare al meglio la caratteristica fondamentale della “forma libro”: la capacità di organizzare contenuti complessi in un percorso narrativo e argomentativo autorevole (che dunque non nasconde, ma anzi dichiara e valorizza la presenza della voce dell’autore o degli autori), unitario, organico. Da questo punto di vista il libro di testo rappresenta un’istanza di sistematizzazione dei contenuti e delle competenze oggetto del processo di apprendimento”.

 

Stiamo citando l’allegato al recentissimo decreto del ministro dell’istruzione sul tema dei libri digitali, che stabilisce tempistica, modalità e tetti di spesa delle future adozioni dei testi scolastici in versione “mista” ed elettronica, mettendo in atto quanto annunciato da Carrozza in estate, ovvero l’intenzione di prendere in mano la questione in prima persona.
Fa davvero riflettere il richiamo al principio dell’autorevolezza autoriale: poiché non ci pare che fosse necessario affermare l’ovvio, siamo portati a pensare che sia stata individuata la necessità politica di frenare casistiche o ipotesi operative in cui tale requisito in sé indiscutibile sia messo a rischio.
Particolarmente importante è poi l’art. 6 del decreto vero e proprio, che impegna il MIUR ad attivare “un costante monitoraggio dell’andamento delle adozioni dei libri in versione mista e digitale e delle trasformazioni che avverranno nelle scuole di ogni ordine e grado, al fine di diffondere le migliori pratiche e sostenere i processi di innovazione nella didattica”. Sarà anzi necessario pretendere che vengano enunciare con anticipo le categorie con cui verrà condotta l’analisi e con cui saranno identificate le trasformazioni e misurata la loro efficacia in termini di apprendimenti, condizione necessaria perché i processi di innovazione conseguano risultati autenticamente significativi.
Torniamo alla citazione in apertura: merita tutto lo spazio che prende, perché potrebbe liquidare una volta per tutte le posizioni semplificatorie e demagogiche, insieme alla conseguente netta distinzione tra “libri di testo digitali” e “contenuti digitali integrativi” e alla descrizione dei volumi cartacei da un punto di vista tecnologico, destinata forse a scandalizzare lì per lì i benpensanti, ma molto utile per chiarire l’approccio al problema. Questi elementi del ragionamento sono però seguiti da una serie di affermazioni e concettualizzazioni indubbiamente suggestive nell’immediato, ma in realtà estremamente generiche e vaghe, quali “storytelling multimediale”, “integrazione di codici comunicativi diversi”, “risorse di apprendimento molecolari” e così via. Che relazione ci potrebbe essere, per esempio, tra la disponibilità potenziale di migliaia di  minuti primi di filmati storici – per altro già facilmente raggiungibili via Internet – e l’insegnamento di una disciplina che dispone di 66 ore annue?
Le formulazioni appena citate fanno sì che il complesso dell’argomentazione sviluppata, invece che produrre un chiarimento per la comunità educativa, scivoli nella troppo frequente retorica fine a se stessa che permea la gran parte della documentazione istituzionale in merito ai processi di innovazione mediante strumenti digitali. Tanto più che l’allegato dà ampio spazio a meticolose considerazioni di merito sul formato più consono ai futuri ebook di testo e sulle caratteristiche auspicate per la piattaforma di distribuzione e fruizione dei materiali, che, se molto probabilmente possono soddisfare molti dei palati più fini e sensibili alla tematica della cultura aperta e dell’inclusività dal punto di vista tecnologico, altrettanto verosimilmente possono indurre in coloro che non sono esperti di dispositivi e di software digitali un senso di mancata comprensione e di inadeguatezza davvero nocivi, perché funzionano da deterrente nei confronti della costruzione di una forma mentis realmente condivisa.

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Marco Guastavigna

Insegnante nella scuola secondaria di secondo grado e formatore. Tiene traccia della sua attività intellettuale in www.noiosito.it.

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