A Mosca, a Mosca

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«A Mosca, a Mosca…» ripetevano le “Tre sorelle” dell’omonimo dramma di Anton Čechov, desiderose di trasferirsi nella capitale russa per liberarsi dal grigiore della vita provinciale. E tale invocazione è divenuta, nel tempo, quasi un mantra, dando il titolo anche a un libro edito nel 2010 da Mondadori e scritto da Serena Vitale – docente di Letteratura russa in varie università italiane – che in quella città ha a lungo soggiornato.
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San Basilio.

A Mosca, durante le vacanza natalizie, ci sono andato anch’io. E per la prima volta, dopo avere visitato ormai quasi vent’anni fa San Pietroburgo, la Leningrado di quando ero ragazzo. Ma se il fascino della raffinata città sulla Neva voluta da Pietro il Grande è per certi versi incomparabile, nulla può disgiungere l’idea di Russia da quella di Mosca, almeno per quelli della mia generazione.
È da lì, infatti, che si vedevano parlare – in epoca sovietica – i corrispondenti RAI Vittorio Citterich e Demetrio Volcic, sempre con il profilo innevato del Cremlino e la Moscova ghiacciata sullo sfondo; è dalla Piazza Rossa che arrivavano le immagini delle parate militari dell’Armata Rossa, con la nomenklatura arroccata sui gradini del Mausoleo di Lenin; ed è nella capitale che si è consumato il drammatico epilogo della storia dell’URSS, con la deposizione di Mikhail Gorbačëv ad opera di Boris Eltsin: il resto è storia recente, con il ventennale regno dello zar 2.0 Vladimir Putin, il quale è dal Cremlino moscovita che regge la “Grande Madre”, sempre grande nonostante la perdita (qui non del tutto digerita, comunque) di alcune Repubbliche.

Monumenti e musei, tra passato e presente 

  •  xCremlino, la neve e San Basilio
  •  xCremlino, chiese e palazzi
  • xCremlino, cupole del Palazzo Terem
  •  xCremlino, Torre del Salvatore
  •  xCattedrale di Cristo Salvatore
  • xChiesa di San Giorgio

Poche altre visioni sono emozionanti come quella che, attraversata la Moscova, comprende a sinistra le mura e le eleganti torri del Cremlino e a destra la chiesa di San Basilio, con le sue cupole colorate. È il primo contatto con la Piazza Rossa, ove si mescolano in chi guarda reminiscenze storiche lontane (le vicende degli zar, l’assedio di Napoleone…) e altre più recenti (quelle legate alla storia dell’URSS, dalla Rivoluzione bolscevica in poi, che trovano la loro più “plastica” espressione nel Mausoleo di Lenin).
Ma è la visita del Cremlino, dove gli uffici di Putin – già dei sovrani russi e dei gerarchi sovietici – sorgono a poca distanza di capolavori come la Cattedrale della Dormizione di Maria o quella dell’Arcangelo Michele (con le tombe degli zar), a darci l’idea di una fortissima contiguità tra potere politico e potere religioso.
Si capisce allora perché sia nato il mito della Terza Roma, e perché gli zar di una volta – al pari del presidente eletto che oggi governa… – fossero consapevoli della necessità di un accordo con il Patriarca di Mosca e dell’importanza del suo supporto politico. E si capisce pure perché l’ateismo di Stato dei tempi sovietici non potesse tollerare questa ingombrante prossimità, promuovendo l’abbattimento di numerose chiese moscovite, in primis quella ottocentesca di Cristo Salvatore che – demolita da Stalin col tritolo nel 1931 – è stata fedelmente ricostruita e riaperta al culto nel 1999 a seguito di una sottoscrizione popolare: doveva far posto a una colossale statua di Lenin.

  •  xGrattacielo dell’Università, una delle Sette Sorelle
  •  xCremlino, Cattedrale della Dormizione

Mosca è davvero un mix di tradizione e modernità. Lo dimostrano le due diverse sedi del Museo Puškin (una di archeologia e arte antica, col mitico “tesoro di Priamo”, l’altra di arte moderna europea) e della Galleria Tret’jakov (una di pittura pre-novecentesca, l’altra dedicata al “secolo breve” in larga parte sovietico). Ma lo dimostra anche il dialogo immaginario tra la pietra chiara delle “sette sorelle” – gli ormai storici grattacieli staliniani costruiti per competere con la grandeur degli USA – e le vetrate a specchio dei recentissimi e altissimi grattacieli che animano lo skyline di Moscow City.
Io ho cercato di barcamenarmi tra queste diverse anime della città, non facendomi mancare neppure una serata al Bol’šoj… Insomma, ho fatto il turista, lo ammetto; così come ammetto che mi è parso strano (e per questo bello…) farlo in piena libertà in quella città dalla quale arrivarono gli ordini di sedare con la forza le scintille democratiche scaturite in Ungheria, Cecoslovacchia, Polonia, eventi che portarono tra gli anni Settanta ed Ottanta allo “strappo” del P.C.I. di Enrico Berlinguer con il P.C.U.S. sovietico di Brèžnev.

La neve e la folla: la Mosca ai tempi del Natale 

  •  xLa Moscova gelata
  •  xIl Mausoleo di Lenin
  •  xFolla sulla Piazza Rossa

Se mi dovessero chiedere a bruciapelo due cose che a Mosca mi sono rimaste impresse – monumenti e musei a parte… – direi senza dubbio: la neve (e la sua rimozione) e la folla (con le conseguenti e immancabili code).

Qualcuno potrebbe obiettare a buon diritto che a Mosca, a Natale (che qui è il 7 gennaio), la neve non deve stupire. Infatti non mi ha stupito la neve in sé (che non ha mai smesso di scendere, in fiocchi piccoli e asciutti), ma l’apparato para-militare della sua rimozione. Squadre di spalatori con le pale, piccole ruspe, mezzi spargisale, grandi camion nei quali depositare quanto spalato si vedevano in azione in ogni angolo della città; né vanno dimenticate le operazioni di rimozione di neve dai tetti, per evitare che provochi la caduta di pericolosi blocchi di ghiaccio. Tutto ciò con l’idea che se non si provvede alla pulizia della neve in tempo (quasi) reale, questa – a causa delle basse temperature – possa diventare qualcosa di semi-permanente, almeno fino all’arrivo della bella stagione.

Ma certamente i 12 milioni di moscoviti non aspettano la bella stagione per uscire di casa e riversarsi nella Piazza Rossa e nelle vie contigue. Complice il Natale imminente, le vacanze e le necessità dello shopping, la presenza della pista di pattinaggio e bancarelle, il fascino di luminarie incredibili, la Piazza Rossa e quella del Maneggio erano affollate di gente; tanto affollate che la Polizia (davvero onnipresente a Mosca…), con tanto di metal detector e ispezioni delle borse, improvvisava sbarramenti, creando veri e propri sensi unici pedonali la cui lunghezza e durate erano difficili da prevedere per chi non vi è abituato.

E i moscoviti – insieme con turisti stranieri e russi – erano tanti anche a visitare monumenti e musei, dando origine a code decisamente rilevanti. Se per il Cremlino, infatti (dove – grazie al cielo – avevo prenotato una visita con la guida) sono riuscito a risparmiarmi l’interminabile serpentone umano che attendeva di entrare, non così è stato per i musei: spicca, tra le altre, la coda di due ore e mezzo fatta al Museo Puškin sotto la neve!
Una coda che mi ha fatto pensare ad alcune bellissime pagine che Gian Piero Piretto ha dedicato alla storia, alla cultura e alla vita della Russia sovietica, perché essa stessa – in qualche misura – evocativa di quell’epoca: infatti allora la coda per approvvigionarsi era una necessità, ma anche (afferma spesso Piretto) un “buon segno”, perché significava la presenza (non scontata) di merce in circolazione.

Le contromarche: un’eredità sovietica? 

  • xIl libro di Piretto

Ma c’è dell’altro, perché Piretto nel suo libro La vita privata degli oggetti sovietici. 25 storie da un altro mondo (Sironi editore, 2012)1 dedica una strepitosa descrizione alle ingombranti contromarche che nei musei e nei teatri venivano date dalle signore addette ai guardaroba. Donne anziane, che indagavano il cappotto per scoprire se il laccetto per appenderlo fosse in buone condizioni, e che ti guardavano con sguardo severo nel caso questo fosse danneggiato… Bene: al termine della coda al Museo Puškin, alla Tret’jakov, ma anche al Bol’šoj, ho ritrovato anche oggi le stesse figure femminili, le stesse gigantesche contromarche illustrate nel libro di Piretto, gli stessi sguardi severi. E mi sono ricordato come anche all’Hermitage di San Pietroburgo la consegna di indumenti e borse fosse stata un rito…
Tornando al libro di Piretto, mi sono pure ricordato di aneddoti divenuti poi vere e proprie pièces teatrali, che trattano di persone costrette a uscire sotto la neve senza cappotto per avere perso le mitiche contromarche: io le ho dunque sempre conservate con scrupolo religioso, consapevole che in caso contrario avrei rischiato la polmonite. Tra l’altro, quanto il “cappotto” in Russia sia fondamentale già ce l’ha spiegato Gogol’!

Qui si è fatta la Storia

Scherzi a parte, Mosca è una città davvero interessante. Traffico, smog, speculazione edilizia certamente non mancano; ma visitandola hai l’impressione di essere là dove la Storia – nel bene e nel male – si è fatta, poiché conserva le tracce indelebili di figure come Ivan il Terribile, Napoleone, Lenin, Stalin, Gorbačëv, e oggi è la capitale dello Stato più grande del mondo, popolato da quasi 150 milioni di abitanti.
Solo andandoci capisci davvero il desiderio delle tre sorelle di Čechov, di lasciare la remota Perm e di raggiungere la metropoli. Infatti solo “a Mosca, a Mosca…” puoi provare a capire il senso profondo della Russia; quel senso al quale – durante il mio breve soggiorno – mi sono solo pallidamente avvicinato.


NOTA

1. Segnalo anche il recentissimo: G. P. Piretto, Quando c’era l’URSS. 70 anni di storia culturale sovietica, Raffaello Cortina editore, Milano 2018.

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Mauro Reali

Docente di Liceo, Dottore di Ricerca in Storia Antica, è autore di testi Loescher di Letteratura Latina e di Storia. Le sue ricerche scientifiche, realizzate presso l’Università degli Studi di Milano, riguardano l’Epigrafia latina e la Storia romana. È giornalista pubblicista e Direttore responsabile de «La ricerca».

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