Provate a immaginare di avere una figlia o un figlio impegnati come apprendisti pasticceri. Voi non sapete niente di come si lavora in una pasticceria, dei processi di lavorazione, ma ogni tanto potete gustare qualche dolce che vi viene recapitato a casa. Qualche volta il dolce è buono, e voi vi complimentate con l’aspirante pasticciere o pasticciera. Qualche volta è meno buono, o addirittura cattivo, e allora vi rendete conto che ancora c’è da lavorare, che occorre fare ancora esercizio. Dopo un po’ di tempo, ricordandovi di quando anche voi avete cercato di preparare un dolce o di quando avete visto qualcuno mentre lo faceva, vi verrà la tentazione di dare consigli. D’altronde voi ne avete sempre mangiati, di dolci, e in qualche modo siete degli esperti.
Tuttavia, se ci riflettete bene, voi non sapete niente di come si gestisce una pasticceria, dell’approvvigionamento delle materie prime, della manutenzione e dell’uso dei macchinari, dei processi di lavorazione, dei rapporti tra i lavoratori. Voi, nella maggior parte dei casi, siete dei consumatori di dolci, e se volete avere informazioni su come si fanno i dolci e, soprattutto, su come si può imparare a cucinarne, dovete chiedere ai vostri figli, che dedicano buona parte della giornata e delle loro energie a questa attività.
Ecco, con la scuola accade qualcosa del genere. I nostri figli la frequentano assiduamente e noi, grazie alle credenziali del registro elettronico, ci illudiamo di sapere che cosa accade tra quelle mura. In realtà dobbiamo ammettere di saperne ben poco. Il registro elettronico, infatti, un po’ come il telegiornale, è buono soprattutto per chi ama le cattive le notizie: brutti voti, note Ma non è colpa del registro elettronico se noi siamo abituati a domandare, ai nostri figli, inesorabilmente, “cosa hai fatto”? e poi, a seguire, “quanto hai preso?”.disciplinari, assenze ingiustificate, convocazioni. Quando invece parla di buoni voti diventa immediatamente noioso e inutile. Ma non è colpa del registro elettronico se noi siamo abituati a domandare, ai nostri figli, inesorabilmente, “cosa hai fatto”? e poi, a seguire, “quanto hai preso?”. Alla prima domanda si risponde con una sola parola: “interrogazione”, “compito”, oppure, in alternativa, “italiano”, “matematica”, “alternanza”… Alla seconda si replica con un numero: 6, 8, 4, ma anche – fino al limite del risibile – 5 meno, 4 e mezzo, 7 meno meno… A queste domande – “cosa hai fatto”, “quanto hai preso” – risponde il registro, puntualmente e inesorabilmente.
La scuola del “cosa hai fatto e quanto hai preso” è quel che abbiamo provvisoriamente messo da parte in questi giorni di isolamento, durante i quali i nostri figli sono a casa, probabilmente in nostra compagnia, mentre i docenti cercano in qualche Quel mostro invisibile chiamato “didattica”, di cui crediamo di sapere tutto ma che non conosciamo affatto, all’improvviso è lì davanti a noi, sul tavolo da cucina.modo – qualcuno con mezzi di fortuna, altri con maggiore consapevolezza – di tenere i contatti, di stabilire una connessione e poi di fare didattica a distanza. Una distanza che per voi non è mai stata così vicina, visto che è proprio dentro casa vostra! Pensateci bene. Per un po’ di tempo la vostra casa diventa una sezione staccata della scuola, e voi avrete l’occasione, finalmente, di vedere cosa succede effettivamente a una persona che sta cercando di imparare qualcosa da un’altra, che ha il compito di insegnare e di educare. Quel mostro invisibile chiamato “didattica”, di cui crediamo di sapere tutto ma che non conosciamo affatto, all’improvviso è lì davanti a noi, sul tavolo da cucina.
Sia chiaro, ne vedrete di tutti i colori! E sarà un’occasione per imparare che saper insegnare è un mestiere artigianale – non una missione, né un dono o una virtù – fatto di tecniche, di tattiche, di strategie e di trucchi. Ed è un mestiere tecnologico, da sempre, visto che nasce per insegnare la più importante delle tecnologie, la scrittura, che per essere praticata ha bisogno di strumenti – penna, inchiostro e carta, macchine da scrivere o tastiere – e di un lungo addestramento.
Qualunque cosa facciano i docenti dei vostri figli, potrete finalmente dire: ecco, ho visto la didattica! State assistendo alla difficoltà, alla fatica e alla bellezza di un mestiere pratico e molto difficile. Prendetelo come un privilegio e cercate di fare la vostra parte, smettendo di domandare ai vostri figli “cosa hai fatto” e “quanto hai preso” per cominciare invece a chiedere: “come sei stato?”, “senti di aver imparato qualcosa?” e “come hai fatto?”. Lasciate che i vostri figli siano gli studenti dei loro insegnanti, non vostri, e provate ad accompagnare il loro lungo percorso di cambiamento con rispetto e con curiosità.
Perché voi, occorre ammetterlo, a scuola ci siete stati e avete anche imparato qualcosa, ma la scuola non la sapete fare e comunque non è quello a cui avete dedicato la vostra vita. E adesso che vi arriva direttamente in casa, provate a guardarla, anche lei, con rispetto e con curiosità. È la scuola che abbiamo creato noi adulti. Se ci accorgiamo che è da migliorare, non è agli insegnanti che dobbiamo dirlo, né tanto meno ai nostri figli. Loro, tutti insieme, stanno facendo del loro meglio e meritano tutto il nostro sostegno. Noi possiamo solo rimetterci a studiare per disimparare tutti i luoghi comuni che abbiamo usato per impedire qualsiasi cambiamento e per giustificare la nostra nostalgia.