INVENTIO
Recentemente ho indagato con allievi di quattordici anni la memoria di ventuno persone da loro scelte perché, in un qualche modo, punto di riferimento nella loro vita: nonni, mamme, papà, zii, amici di famiglia.
La raccolta delle informazioni e del materiale narrativo si è svolto in diversi momenti, con interviste, incontri fatti di parole ascoltate. Nella prima tappa i giovani hanno annotato, in una sorta di mosaico, aspetti della vita che fanno vibrare il cuore al personaggio interpellato e altri che, invece, causano disagio, urtano. Prima di sottoporre la mappatura è stato però importante svolgere lo stesso esercizio lavorando su sé stessi, per comprendere le difficoltà e i tempi necessari a un’attività così introspettiva.
Il suggerimento didattico viene da Jenny Poletti Riz, che ha pubblicato per Erickson (2017) Scrittori si diventa. Metodi e percorsi operativi per un laboratorio di scrittura in classe [qui la recensione del libro su «La ricerca», N.d.R.].
- Documenti 1 e 2: esempio di mappatura del cuore
- Documenti 1 e 2: esempio di mappatura del cuore
Per dare voce alle mappe, in un primo esercizio narrativo, gli allievi hanno tradotto le note in brevi racconti che iniziavano così: “Ciao mi chiamo… ho … anni e mi vibra il cuore quando…”. Grazie ai consigli del docente, gli allievi hanno cercato forme linguistiche diverse affinché l’io narrante potesse prendere forma. “Mi vibra il cuore quando“, “mi sento felice se…”, “nei momenti in cui… provo gioia”, “A volte accade che… e allora ho la sensazione di…”, “Mi disturba se…”, “Amo quando…”, “Mi rallegra perché…”.
- Documento 2B: un brano tratto da una rielaborazione della mappa/cuoree
Si scopre che una nonna ha superato una grave malattia: in quel momento il cuore le è vibrato, almeno come quando sono nate le nipoti, con le quali vive molte esperienze. Guai, però, con questa signora, non rispettare la parola data e le regole.
Ci si avvicina al senso della scrittura come atto razionale, emotivo, dove le parole pesano e inducono al pensiero. Si tratta di porsi in relazione con la persona della quale vogliamo esplorare un pezzo di vita.
Nella seconda fase gli allievi hanno preparato delle domande, focalizzando l’attenzione su alcuni aspetti biografici da approfondire e magari suggeriti nel mosaico degli appunti inseriti nel cuore. L’incontro con i nonni, le mamme, i papà, le zie, la vicina di casa, si è svolto nel contesto privato, prima che il parlato dei ventuno personaggi fosse trascritto: sulla carta è stata “travasata” un’oralità che offriva un quadro frammentato di episodi, momenti di vita scollegati e apparentemente senza un senso narrativo. A volte il materiale ricavato si è rivelato scarno, povero di parole, in altri casi gli allievi sono rimasti travolti dai racconti.
- Documento 2B1: il quaderno di un’allieva che ha preso nota, accanto alle domande poste alla madre, degli elementi centrali individuati nelle risposte
- Documento 3: Un brano tratto da un’intervista trascritta. Risposta alla domanda: com’è stato prima che nascessi io? Cosa è successo prima di andare all’ospedale? E cosa hai provato?
DISPOSITIO
Nella fase cruciale, dentro la bottega dello scrittore, ogni allievo ha ricevuto consulenze per individuare i nuclei narrativi, per capire come inserire scene descrittive, oggetti, ambienti in modo da costruire una struttura coerente, per dare voce strutturata al serbatoio delle memorie raccolte. Oltre alla mediazione dell’insegnante, nella fase di riordino delle scene, abbiamo letto Il fondo del sacco di Plinio Martini (1970), dove si narrano le vicende di Gori, partito dalla Valle Bavona, nella Svizzera italiana, a inzio Novecento per emigrare negli Stati Uniti.
L’opera, commovente, racconta di un mondo lontano dagli allievi: un’illusione collettiva (scegliere di emigrare in America per trovare un mondo migliore) ma significativa se accostata alle storie dei nonni, magari più semplici e meno marcate a livello letterario, ma più affascinanti, perché presenti nel cuore dei nostri giovani lettori e allievi scrittori. Gori parte, torna dall’America, non si sente più né di qua, né di là. Sullo sfondo c’è l’amore per Maddalena, e l’intero testo è un vuotare il sacco. Inizia così: “Non tornerò in America”.
Grazie al romanzo abbiamo cercato di capire i giochi di analessi, per riprodurli nei racconti originali che stavano prendendo forma: inevitabilmente, infatti, nei frammenti raccolti c’erano ricordi passati e azioni del presente. Alcuni racconti iniziano con un “non tornerò”: “Non tornerò alla Valascia”, dice una nonna che con l’affezionata amica frequentava il palazzo dell’hockey, prima che un tragico evento le separasse. “Non tornerò alla scuola magistrale”, dichiara la protagonsita di uno dei racconti dove si narra una difficile scelta di vita. Attraverso il dialogo, le voci della memoria, la costruzione, i consigli, la rielaborazione, abbiamo levigato, smussato, montato il testo come nella bottega.
Gli allievi hanno dovuto integrare scene descrittive, immaginare i luoghi, i profumi, i colori, inserendo nelle storie degli oggetti simbolici (un pettine, una valigia dei ricordi, una tazza, una luce accesa) o frasi (“Vincere. Perdere”) che si richiamassero nel testo, rendendolo interessante negli esiti narrativi, nei significati simbolici. Una tazza si rompe come la relazione tra fratelli, ma improvvisamente riappare e forse con la colla i rapporti si possono riallacciare. La squadra del cuore vince, perde, ma si rimane fedeli così come siamo aggrappati alla vita. La luce accesa o spenta per un cieco diventa la luce della vita contrapposta al buio dei momenti più difficili.
Tra i modelli utilizzati per le sequenze descrittive, il libro di Gary Paulsen, La stanza d’inverno (1989), pubblicato da Mondadori. Il romanzo ruota attorno alla stanza in cui zio David racconta storie. Ma i cinque sensi sono i protagonisti di un’opera che fa della memoria il proprio cuore narrativo.
Qui un video tutorial dedicato anche al romanzo di Paulsen:
Negli schemi colorati consegnati a ogni allievo, il docente ha disegnato la struttura, proponendo una traccia senza la quale è molto difficile, per l’apprendista scrittore, svolgere il compito.
Ecco un esempio di traccia:
Autentico è il lavoro dei quattordicenni, nelle dodici ore di lavoro dedicate alla costruzione. Sincero e reale è stato l’ascolto dei ragazzi, che hanno aperto – nelle ore trascorse a casa a registrare interviste – la finestra del passato, delle vite fatte di luce, momenti neri, bisogni, prove da superare.
Di seguito riporto quattro dei ventun testi, nelle versioni definitive ricopiate dagli allievi dal quaderno di scrittura al foglio elettronico.
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LA TAZZA ROTTA
D., 14 anni
Io sono Maria, ho 41 anni e mi vibra il cuore quando sto con la mia famiglia. È cominciato tutto nel 1960 quando mio padre, dal Montenegro si trasferì in Svizzera per lavoro e conobbe mia mamma. S’innamorarono e si sposarono. Nacquero mia sorella, mio fratello, e poi nacqui io. Fin da piccola ogni anno andavamo in Montenegro in vacanza: era un luogo povero, c’erano le guerre, le stalle, i contadini, poco cibo e acqua non potabile. Ma noi stavamo bene, anche se, alla fine delle vacanze, mi piaceva tornare in Svizzera.
Con mia sorella avevo un rapporto fantastico, mi aiutava in tutto e potevo sempre confidarmi con lei. Invece con mio fratello noi litigavamo per tutto! Una volta litigammo per una tazza di latte. Era una mattina d’inverno, i miei genitori erano usciti a fare la spesa e noi facevamo colazione da soli. Io e mio fratello litigavamo per chi dovesse bere l’unica tazza di latte che restava:
“La tazza è mia!”
“No!”
“Dammi quella tazza!”
Mentre ce la strappavamo di mano, la tazza cadde e si ruppe. Ci tagliammo le mani e i piedi, urla, il latte bollente, le grida, il caos.
Non ho più rivisto mio fratello, non ho più avuto contatti con lui. Se n’è andato come una rondine che vola via dal nido e cambia continente, ma per sempre.
Adesso ho 41 anni e come ogni anno vado in Montenegro durante le vacanze, ma mi sposto con mia figlia, il mio compagno e il mio cane. Ho mantenuto buoni rapporti con mia sorella e con la mia famiglia.
Sono a casa e sto guardando la tv con mia figlia. Qualcuno bussa alla porta. Apro.
È mio fratello,
tiene tra le mani una tazza
spezzata in due,
e mi chiede:
“Hai la colla?”
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LA VALIGIA SVIZZERO TEDESCA
T., 14 anni
Andare, ripartire, tornare e trasferirsi. E una grande passione: gli animali.
Nella mia vita ho abitato a Camorino, Altdorf, Thun e Berna, ora sono qui a Pollegio, nella mia camera e riapro la mia valigia dei ricordi. Non è la valigia dei migranti, non è una semplice valigia perché quando la apro ci ritrovo dentro le foto con i miei genitori e i miei amici che ho dovuto lasciare, un vecchio ferro di cavallo e il guinzaglio del mio vecchio cane. Il bagaglio della vita ha l’odore inconfondibile della vecchia casa di Thun che odora di muro appena pitturato.
Mi ricordo ancora la sensazione quando un giorno sono tornata a casa, aprii la porta e trovai i miei genitori seduti al tavolo, entrai e mi dissero che ci dovevamo trasferire ad Altdorf perché a mio padre avevano offerto un posto di lavoro.
Io mi rinchiusi in camera mia, perché mi invase una grande tristezza e capii subito che avrei dovuto lasciare i miei amici e ripartire da zero.
Dopo una settimana, quando giunse il momento di preparare la valigia, mi impietrii e rimasi ore immobile a fissare il vuoto incapace di riempirla. Con l’aiuto dei miei amici e qualche loro ricordo che avrei portato per sempre con me, riuscii a riempirla e a chiuderla. Ero pronta a partire.
Oggi sono qui di fianco al mio cane a raccontare la mia storia e a descrivere la mia grande valigia. Adesso nella mia valigia si è aggiunta anche la lingua tedesca.
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MARISA
C., 14 anni
Non tornerò alla Valascia!
Guardo fuori dalla finestra e osservo i binari della stazione di Biasca.
E penso a Marisa.
Sono sempre andata d’accordo con lei. Rammento quando si gestiva la buvette al campo sportivo di Biasca. Per far risparmiare soldi ai giovani calciatori biaschesi preparavamo una domenica sì e una domenica no cena per tutti. Erano risate su risate! E poi c’era l’Hockey Club Ambrì-Piotta, quando arrivavamo alla Valascia, dopo aver camminato sulla neve fresca appena caduta dal cielo, i seggiolini della tribuna gelidi, la gente che prende posto, odore di Valascia.
Ricordo una partita in particolare, un derby: al quindicesimo minuto del secondo periodo Mike Bullard, mentre tutta la curva canta, segna il 2-1 e la pista esplode, sono fiamme, urla, i giocatori si abbracciano, il brivido che percorre la schiena, la curva sud canta ancora più forte!
Vincere.
Perdere.
Noi eravamo sempre felici! Abbiamo avuto l’ abbonamento in tribuna per 25 anni.
Non tornerò alla Valascia!
È arrivato il giorno più brutto. Quando è arrivata una diagnosi atroce. Eravamo alla buvette della stazione di Biasca, Marisa mi fa sedere e dice:
– Ascolta Elda, l’altro giorno sono stata dal medico e.. – e prendendomi le mani mi dice – il medico mi ha diagnosticato un tumore.
– Un tumore?
E mentre i nostri occhi si riempiono di lacrime le chiedo:
– Quanto tempo?
– Nove mesi.
Mi abbraccia con gli occhi lucidi:
– Voglio passarli con te perché sei la persona più importante della mia vita.
Aveva 48 anni e non l’ho abbandonata fino all’ultimo respiro.
E dopo:
– Noni! Vieni con noi!
Sono alla Valascia, ripenso ai diverbi che abbiamo avuto io e la mia migliore amica Marisa e a come ci chiarivamo senza mai nascondere la verità! Ma ora sono qui, in tribuna, gli odori, i suoni, la curva che canta, è un po’ diverso da quando andavo io da giovane.
Questa sera giochiamo contro ZSC Lions, lo Zurigo. Stiamo perdendo 4-1.
Sono felice.
Vincere.
Perdere.
Vivo le emozioni che provavo tempo fa, ma sono affiancata dalle mie due nipoti, Lisa e Carola.
Mi chiamo Elda, abito a Biasca e ho 70 anni.
E mi vibra il cuore in varie occasioni, come quando mio marito Leandro, con il quale sono sposata da 50 anni, mi fa un pensiero gentile, o quando ripenso alla amicizia con Marisa o quando torno alla Valascia, dove
si perde
e si vince!
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LA LUCE
N., 14 anni (versione II)
Ci tornerei ancora, nel passato, con la macchina del tempo, solo per fare le mie lunghe passeggiate in montagna. È la mia passione. Quando ero bambino, mia madre ci portava a sentire gli odori e i profumi dei boschi, dei sassi, dell’erba. Adoro la neve, il freddo e il gelo, cosi a 15 anni nel 1951 ho iniziato un corso d’alpinismo. Un giorno d’inverno, quando avevo già 30 anni, a Carì incontrai Giorgio P. a una gara di maestri di sci. Ci eravamo conosciuti alla scuola recluta. Alla gara, Giorgio mi fece conoscere Gianni, un cieco, e per tutto l’inverno l’ho aiutato a sciare.
Una sera rimanemmo in un albergo a dormire, io ero in stanza con Gianni; gli avevo spiegato dove si trovava il bagno, il letto. I cechi memorizzano gli spazi. Io ero molto stanco, mi sono addormentato, mentre lui era ancora sveglio. Alle cinque del mattino apro gli occhi, c’è la luce accesa, ma Gianni sta ancora dormendo. Poco dopo si sveglia e io gli chiedo:
– Gianni, perché non hai spento la luce prima di dormire?-
– Sergio, secondo te io ho bisogno di luce?
Ricordo quella scena, perché lui la luce l’aveva dentro. Le vite sono fatte di luce e di buio. La mia vita è stata luce: la nascita dei miei quattro figli, la nascita dei miei quattro nipotini, quando ho conosciuto mia moglie. Ma c’è stato anche il buio.
C’è il gelo, ci chiamano per soccorrere un bambino di pochi mesi che ha la polmonite. Sono le sei di sera. Pietro con una pala, gli scarponi e la pila. Io lo seguo. Assieme al bambino c’è il papà . Nevica. È tutto bianco, i profili delle cose e delle case sono scomparsi. Portiamo il bambino a piedi fino alla macchina. Nevica, nevica, un vento fortissimo, ma ora ci troviamo nel fuoristrada. L’auto prosegue fin che ad un certo punto, la neve è troppo alta. Pietro ed io scendiamo a spalare, mentre il padre e il bambino sono nell’abitacolo. Proprio in quel momento, in mezzo al bianco, buio.
Viene la valanga.
Si porta via Pietro, il mio amico.
Mi pare di vederlo ancora.
Mi pare di vederci chiaro, adesso che ho vuotato il sacco. Quelle volte che si è accesa la luce nella mia vita, mi sono successe cose che rimangono nel cuore. A volte la luce del cuore si spegne.
Mi chiamo Sergio, ho 83 anni e credo che la morte facia parte della vita.
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ELOCUTIO
Gli allievi hanno ascoltato il proprio testo letto dai compagni, in modo che la voce non fosse coinvolta emotivamente nelle storie, a volte delicate. La consulenza dell’insegnante è stata fondamentale soprattutto nella parte di dispositioe nel cercare gli elementi simbolici che si richiamassero nei racconti, ma la lettura ad alta voce si è tramutata in un’occasione per valorizzare e migliorare i testi.
Sono molti gli allievi che non hanno le parole da mettere sui pensieri e sono molti gli allievi poco abituati a dedicare tempo al pensiero, in un percorso in cui la complessità è ben presente.
La sfida è enorme, ma necessaria.
Con il consenso delle persone coinvolte, degli autori, delle famiglie, abbiamo continuato il progetto: registrando i racconti letti dai ragazzi, pubblicati, e regalati ai personaggi-fonte. Leggere il romanzo Il fondo del sacco è diventato un esercizio forse meno complicato, perché i giovani hanno fatto una piccola esperienza a contatto con la vera difficoltà (e a volte passione) dello scrivere, del raccontare emozionando.
META RIFLESSIONE
Ho chiesto infine di ragionare sul percorso, illustrando il percorso svolto. In quest’attività ho osservato una comprensibile difficoltà nel prendere le distanze dal lavoro per riflettere e nell’approfondire. Ci sono comunque esiti interessanti, anche in quest’operazione di sintesi.
Qui due testi, di autori diversi rispetto a quelli presentati finora, scritti senza revisioni da parte dell’insegnante: