Il romanzo
La canzone di Orfeo trasferisce il mito di Orfeo ed Euridice nel Nord dell’Inghilterra, dove vivono dei diciassettenni desiderosi di provare esperienze e di ridisegnare il mondo. Sono attratti dalla musica e dalla bellezza, anche se gli adulti a volte sembrano incapaci di comprendere i loro bisogni.
Con qualche eccezione: «che senso ha dire ai giovani di scrivere sull’amore? I giovani dovrebbero vivere l’amore!» dichiara la mamma di Claire, io narrante e sorpresa dalla madre, appunto, mentre sta svolgendo un compito di scuola (deve scrivere una “tesina” sul tema dell’amore nell’opera di Milton).
Claire ama Ella Grey, con la quale ha condiviso i momenti più belli dell’infanzia. Si tratta di un sentimento profondo e, a tratti, ossessivo, sicuramente possessivo. I genitori di Ella sono molto rigidi: l’hanno adottata e vogliono proteggerla al punto che le impediranno di partecipare a un avventuroso fine settimana con gli amici tra le spiagge del Nord, a Bamburgh beach. Ella rimarrà a casa a scrivere tesine sull’amore, mentre Claire e gli altri suoi compagni gusteranno l’ebbrezza delle prime libertà.
Ma proprio su quella spiaggia i giovani conosceranno Orpheus, un giovane vagabondo che suona e canta divinamente e attira a sé gli animali e le persone. Nulla può impedire al destino di realizzarsi: Ella ascolta il canto di Orpheus al telefono (sarà Claire a condividere il momento) e da questa scena germoglia Ella Grey/Euridice.
La storia, svolgendosi attorno all’ossatura del mito orfico, mette in scena adolescenti che sperimentano il sesso, i sentimenti più potenti, conoscono la forza dell’immaginazione, del sogno, della libertà, fino a toccare il limite della morte. Gli stessi temi, aggrovigliati come lo è la vita, li rintracciamo negli altri romanzi di questo gigante della letteratura: Skellig, La storia di Mina… Le vite dei personaggi sono contrapposte alla chiusura strutturata del mondo adulto che costringe, lega con affanno, suscita ansie. Ma tra gli adulti ci sono spiragli, piccole finestre per aprire la stanza.
La canzone di Orfeo di David Almond tocca dei confini: estrema è l’età dove si vivono i passaggi da qui all’altrove. L’altrove è la musica di Orfeo che incanta, proviene da una dimensione lontana e tocca, sussurra, evoca. Il musicista vagabondo è magico, perfetto, e la bellezza è ovunque: in Ella Grey, in Claire e negli altri personaggi secondari come Bianca o James, in cerca della propria identità.
Orpheus è tutto ciò che irrita l’occhio adulto che non può più avere la spensieratezza e l’arroganza. Lo sa bene il professore di letteratura che sta preparando i ragazzi agli esami. Orpheus agisce nel presente puro, senza ritegno. Senza ritegno si volta per guardare la bellezza di Ella/Euridice.
Il lettore conosce il mito, quindi si aspetta questo finale, ma vuole ben scoprire come il mito si traduce nella musica della realtà, anche perché qui, invece di Atride che rincorre Euridice, c’è una Claire che pare un’incognita, una variante, forse un’alternativa a Orpheus, oppure Claire è la voce che sta dentro al lettore.
Quando Ella muore, morsa dai serpenti, Orpheus va nell’aldilà per cercarla e ottiene il permesso di Ade per riportarla in vita. Non ce la farà per un soffio. Claire, l’io narrante, vive una specie di metamorfosi, indossa la maschera di Orfeo e descrive il viaggio oltre il limite. Le pagine del libro sono nere: buio e tenebra.
In queste pagine, più che in altre, ciò che è straordinario entra in dialogo con l’elaborazione del lutto e con la necessità di immaginare mondi. È la rappresentazione della tragedia. È un passaggio. È l’esperienza che permette a Claire una reale formazione alla ricerca di sé stessa. Per ripartire.
Orpheus (anche questo lo sappiamo) sarà fatto a pezzi, forse perché ha rifiutato le altre donne dopo Ella. Il romanzo è un intreccio armonioso tra il mito e il presente, ed è musica del dubbio.
L’esperienza in classe
In classe, ben prima di aprire il romanzo, ho narrato il mito di Orfeo e Euridice per anticipare la particolare dimensione narrativa presente nel libro. Alla domanda: «Per quale motivo, secondo voi, Euridice rallenta e sembra non voler uscire dagli inferi con Orfeo, che comunque si girerà a guardarla?», una ragazza ha risposto che tornare in vita con Orfeo significa rivivere quell’amore, sapendo che bisogna tornare a soffrire ancora una volta, rifacendo il passaggio. È una risposta che ha permesso di ragionare su questa esperienza, quella delle persone che stanno vivendo un passaggio (l’adolescenza) per molti impegnativo.
I giovani dovrebbero vivere l’amore; scrivere sull’amore non ha senso. Così dice la mamma di Claire. Ho quindi deciso di sfidarla, proponendo agli allievi di terza media un esercizio di scrittura, con l’invito a calarsi in una situazione narrativa particolare. Ho chiesto loro di immaginarsi riuniti con gli amici per un fine settimana senza genitori, in spiaggia, con chitarre, pasta, sugo e tutto quel che serve per una bella festa. Ho però fissato dei vincoli alla rappresentazione: «scegliete se siete lì con la fidanzata o il fidanzato, scegliete se essere personaggi o se mantenervi come voce esterna alla scena, raccontate cosa accade nella notte, nelle tende, scegliete se al risveglio vi innamorate, oppure se volete opporvi a Orpheus che incanta e attira a sé ragazze e anche qualche ragazzo».
Cosa hanno scritto gli allievi?
Ho osservato che, in questa particolare circostanza, questo gruppo di tredicenni ha ancora un immaginario dell’amore molto lontano dal proprio vissuto, e soprattutto, che anche chi avrebbe potuto e voluto dire non aveva parole per esprimere il pensiero. E il pensiero va nutrito.
A questo punto ho letto ad alta voce ottantuno pagine, fino al punto in cui si dichiara che l’amore bisogna viverlo. Ho chiuso il libro e l’ho lasciato sul tavolo. È suonata la campanella, ma non so misurare se sia rimasto un seme. Dopo il caffè, di ritorno nell’aula, il libro non c’era più.