A scuola uno dei momenti che amavo di più era quando, appena arrivato in classe, tiravo fuori i libri dalla borsa. Portavo sempre libri, molti più di quelli che servivano, insegnando alle scuole medie come alle superiori, libri di narrativa e di poesia soprattutto. A volte libri curiosi, saggi particolari, libri strani. Romanzi, racconti e poesie erano, però, in grandissima maggioranza.
I libri dovevano stare fuori, visibili, dovevano incuriosire, passare di mano. Anche quando non venivano usati, anche quando non ci facevo nemmeno un riferimento. La lezione, quasi sempre, iniziava e finiva con una lettura.
A volte la lezione era la lettura. Se la storia reclamava il suo spazio glielo davamo.
Nessuno temeva un programma non terminato, nessun genitore si è opposto (per la verità una volta, una sola volta vennero dei genitori, in delegazione, perché le letture assegnate per l’estate erano troppe. Il problema fu presto risolto: i testi non erano obbligatori … il “problema” era che i ragazzi volevano leggerli. Ascoltate le mie ragioni i genitori furono d’accordo. Avevo comunque anticipato loro che sarei andato avanti comunque).
Mettevamo da parte legna per l’inverno, leggendo. Mettevamo benzina per i viaggi futuri, leggendo. I muscoli si irrobustivano, il fiato aumentava, la resistenza cresceva. Un lavoro, un piacere, quotidiano. Le letture erano “gratis”, come amavano dire i miei studenti. Nessun riassunto, nessuna analisi da fare, nessuna figura retorica da individuare, nessun commento.
Spesso la lettura si chiudeva senza che si fosse scambiata una parola, altre volte nascevano commenti spontanei e da lì una discussione.
Qualche volta una domanda la ponevo io, a tutti o a qualcuno. “Mi piacerebbe sapere che ne pensa Marco di questo racconto.”, “Giada, ci potresti raccontare le tue emozioni ascoltando questa storia?” o ancora “A qualcuno questa storia ha fatto venire in mente qualcosa?”. Ogni parola, ogni commento, veniva accolto con gratitudine.
In brevissimo tempo, e senza bisogno di esplicitare troppe regole, si creava il clima giusto: giusto perché diverso per ogni classe. Ogni classe trovava, naturalmente, la propria modalità, il proprio stile, le proprie regole non scritte. I punti di partenza erano diversi… in alcune classi la pratica veniva accolta con qualche sospetto, in altre con immediato piacere. Diverse le reazioni dei singoli, ovviamente. Eppure, sempre … ogni classe trovava il proprio modo, ogni testa si disponeva, nel tempo, all’ascolto.
Non assegnavo letture, leggevo io. Leggevo ad alta voce. Non chiedevo di leggere né di ascoltare, leggevo. Se qualcuno aveva voglia di leggere si candidava. Se qualcuno aveva voglia di proporre qualche lettura la proponeva. Queste possibilità le lasciavo cadere, ogni tanto, senza dargli troppa importanza. A volte accadeva, a volte no.
Nei momenti di confusione mi fermavo, se i momenti di confusione proseguivano chiudevo il libro e si passava ad altro. Se un libro non piaceva lo interrompevo. Altre volte leggevo solo gli incipit, chi era curioso doveva dirlo. A volte ti chiedevano di un libro di cui avevi letto due pagine il mese precedente.
Dopo qualche settimana i discorsi aumentavano, l’attenzione aumentava, il tempo per la lettura si dilatava.
Classi “incapaci” di 5 minuti di attenzione secondo alcuni colleghi che chiedevano di proseguire dopo un’ora e mezza filata di lettura. Ragazzi “privi di interessi” che mi chiedevano continuamente libri in prestito.
Ho fatto molti errori nella mia carriera di insegnante. Non mi pento, tuttavia, nemmeno di una lettura fatta in aula.
Dall’agenda Loescher 2018-2019, ispirata quest’anno al mestiere di insegnare e a Teach Like a Champion.