Sole alto

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Arriva finalmente nelle sale italiane uno dei film più belli e interessanti della stagione cinematografica: “Sole alto” di Dalibor Matanić, che si è aggiudicato meritatamente il Premio della Giuria nella sezione “Un certain regard” all’ultimo Festival di Cannes. Bisogna tornare a “Prima della pioggia” (1994) di Milcho Manchevski per trovare un altro film sui Balcani che abbia la stessa profondità e capacità di toccare le corde più sincere dell’anima.

È un film splendido, di rara forza espressiva, girato con un linguaggio visivo intenso. Tra primi piani, spazi rarefatti e desolati, sguardi che disegnano sentimenti quasi senza il bisogno di parole, Matanić crea un’opera toccante, capace non solo d’emozionare ma anche di farci riflettere su quanto i traumi di un conflitto e l’intolleranza possano turbare in modo irrimediabile l’esistenza individuale. Il film ci riporta a un passato recente, forse troppo frettolosamente dimenticato: il conflitto che dal 1991 al 1995 ha travolto sanguinosamente l’ex Jugoslavia. Nel 1990/91, le rivendicazioni indipendentiste delle repubbliche dello stato federale jugoslavo hanno condotto all’inizio di una guerra, che ha riportato in luce vecchi rancori e sconvolto l’intera area balcanica con un’ondata di violenza inaudita.
Come racconta lo stesso regista: «Il detonatore di Sole alto è una frase che ripeteva puntualmente mia nonna, ogni volta che le parlavo delle mie relazioni sentimentali: “fino a quando non è una di loro!”, diceva. Per lei, cioè, andava bene tutto, a patto che evitassi le ragazze serbe. Un punto di vista che mi ha sempre disorientato, considerando l’affetto che la nonna era capace di darmi e la bontà che, in generale, era capace di esprimere. Sono un testimone diretto dell’intolleranza sociale, politica, religiosa radicata nella mia terra e sono anche il testimone diretto dei suoi effetti devastanti. Della miseria e del dolore che ha provocato per anni. Con Sole alto ho voluto vedere se fosse possibile collocare l’amore sopra ogni cosa, in un contesto del genere, e ho tradotto in riflessione cinematografica quella frase così agghiacciante. Così agghiacciante e, purtroppo, così vicina a me».

La guerra dei Balcani ha lasciato in eredità ferite ancora aperte e lutti che non sono mai stati dimenticati. La riappacificazione militare non ha sanato l’odio, i rancori, i sentimenti di vendetta personale, che ancora oggi sono presenti, solo assopiti dietro l’apparente tranquillità sociale. Dalibor Matanić s’interroga sulla possibilità di superare, grazie all’amore, l’ombra e i ricordi di una tragedia del passato, ancora così viva nel presente con le sue velenose scorie. Un tentativo di liberarsi dal ricordo del dolore senza dimenticarlo o rimuoverlo, ma cercando di riappacificarsi con la vita. La struttura narrativa è articolata in tre storie, interpretate dagli stessi attori e ambientate in tre momenti diversi: nel 1991 l’atmosfera carica d’odio di un conflitto che sta per esplodere, distrugge l’amore di Jelena serba e Ivan croato; nel 2001 le laceranti ferite dell’anima, impediscono alla giovane serba Nataša di avvicinarsi e amare Ante, che ha l’unica colpa di essere croato; nel 2011 Luka, un ragazzo croato, dopo molto tempo torna al paese natale per trovare la famiglia e rivedere Marija, una ragazza serba con cui ha avuto un figlio, ma la guerra sembra averli allontanati irrimediabilmente.
Il film ci restituisce un mondo di relazioni umane interrotte, recise, incapaci di ritrovare un territorio di scambio, un’empatia che possa ripristinare quel senso di appartenenza a una comunità. Nonostante gli sforzi, i sentimenti sembrano mancare di energia vitale, avvolti e oppressi da un destino che ne impedisce slanci e aperture. Il dolore del passato risucchia in un nero abisso ogni desiderio di ricominciare a vivere, di rimettere in moto un’esistenza libera e piena, che sia vera realizzazione personale e ricerca di felicità. Neppure l’amore riesce a rompere il nero incantesimo, che sembra troppo potente e così radicato nella storia e nella società da non lasciare scampo. La felicità è negata, irrimediabilmente perduta, irraggiungibile, lontana. Le parole del regista sembrano confermare questa sensazione: «Mi piacerebbe che tutti gli intolleranti si specchiassero nel mio film e si chiedessero: sono proprio sicuro di vivere una vita felice odiando sempre qualcosa o qualcuno?».
Un monito quanto mai attuale, in un momento in cui nel mondo stanno riemergendo sentimenti di ostilità verso chi è percepito come “diverso”, “altro”, “straniero” per religione, cultura, idee politiche, condizione sociale ed economica.

Sole alto
Regia: Dalibor Matanic
Con: Tihana Lazovic, Goran Markovic, Nives Ivankovic, Mira Banjac, Slavko Sobin, Dado Cosic, Trpimir Jurkic, Lukrecija Tudor, Stipe Radoja, Tara Rosandic, Ksenija Marinkovic
Durata: 123 min.
Produzione: Croazia, Serbia, Slovenia, 2015

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Alessio Turazza

Consulente nel settore cinema e home entertainment, collabora con diverse aziende del settore. Ha lavorato come marketing manager editoriale per Arnoldo Mondadori Editore, Medusa Film e Warner Bros.

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