Fabbricare il nemico: una “storia unica”
 a scuola?

Tempo di lettura stimato: 15 minuti
Lo stereotipo è semplice, rassicurante, si nutre 
di slogan, individua il bene e il male in modo netto, 
tiene a distanza di sicurezza la differenza. Una famiglia e una società omofoba determinano comportamenti non inclusivi a scuola, teatro 
della maggior parte degli espisodi di bullismo e discriminazione. Come si è arrivati a questo?
Da “We Are the Best!”, un film del 2013 diretto da Lukas Moodysson.

Mentre questo numero stava per andare in stampa a chi scrive è accaduto di dover somministrare, con il proprio gruppo di ricerca, un semplice strumento di rilevazione dell’intelligenza emotiva e di alcune dimensioni cognitive in ordine a un training sperimentale sulla lettura svolto in una scuola primaria toscana. In poche parole, all’interno di un progetto di prevenzione della dispersione, erano stati messi a punto dei test per verificare se le sessioni di lettura producano effetti che si possano poi collegare al successo formativo. Nell’ambito dei gruppi di controllo (ovvero i gruppi di bambini che non avrebbero preso parte al training di lettura – sessioni quotidiane di lettura ad alta voce – ma avrebbero partecipato, come gruppo di controllo appunto, compilando i test all’inizio e alla fine del progetto), pur avendo ricevuto spiegazioni in una riunione, alcuni genitori hanno impedito di fatto (non firmando l’autorizzazione) la rilevazione sui propri figli per «paura del gender».
A nulla sono valse le spiegazioni delle maestre e dei professionisti coinvolti.
Al di là della costruzione della “teoria del gender”, di cui si darà conto più avanti, vorrei sottolineare come, in questo caso specifico, il tema e le pratiche del progetto non fossero nemmeno tangenti rispetto all’argomento incriminato. Pure, la propaganda di questi due anni ha sortito effetti fortissimi. In ogni scuola si rischia il blocco di qualsiasi iniziativa, in ogni scuola si rischia di non poter svolgere alcun progetto per l’atteggiamento di sospetto o l’aperta ostilità da parte di genitori poco e male informati, e molto impauriti. L’omofobia, in questa nuova sua forma, pare stia assumendo i tratti di una vera e propria fobia.

Omofobia, transfobia: i significati
La composizione e l’origine della parola omofobia sono accessibili a molti: omofobia deriva dal suffisso “fobia” (greco phobos) che significa timore, paura, e dal prefisso “omo” che significa uguale, lo stesso. Il termine transfobia è invece successivo, ed è stato coniato, modellandolo sul termine precedente, per rappresentare il medesimo atteggiamento quando riferito alle persone transessuali. Dal punto di vista etimologico, dunque, il termine è costruito come quelli che definiscono delle fobie. La persona omofoba, tuttavia, di fronte a un omosessuale non manifesta la stessa reazione che mostrerebbe un aracnofobico di fronte a un ragno: i comportamenti dell’aracnofobico di fronte a un ragno sono caratterizzati da “evitamento-fuga”, mentre i soggetti omofobici o transfobici affrontano (purtroppo) direttamente le persone omosessuali o transessuali tramite la messa in atto di comportamenti ostili e/o violenti, e spesso esprimono emozioni negative alternative alla paura, come il disgusto («mi fanno schifo, non li posso vedere») (Batini 2011).
In ogni scuola si rischia il blocco di qualsiasi iniziativa per l’atteggiamento di sospetto o l’aperta ostilità da parte di genitori poco e male informati, e molto impauriti.L’omofobia e la transfobia si manifestano dunque più attraverso avversione, pregiudizio, odio e discriminazione che attraverso i comportamenti di fuga ed evitamento (che caratterizzano le fobie in senso clinico). Omofobia e transfobia possono manifestarsi in forme anche molto diverse tra di loro: a partire dal disagio generico o dall’imbarazzo sino a giungere ad atti di violenza verbale e fisica episodica o sistematica (come nel caso del bullismo di matrice omofobica).
Recentemente, uno studio realizzato da tre università italiane (Firenze, L’Aquila, Roma) ha mostrato come alcuni dei tratti dell’omofobia si presentino, in 560 studenti universitari analizzati (attraverso strumenti psicometrici e strumenti di rilevazione dell’omofobia), in forte correlazione (statisticamente significativa) con livelli più alti di psicoticismo (aspetto della personalità caratterizzato da un tipo di paura che porta ad ostilità e rabbia), che possono condurre a vere e proprie psicosi, meccanismi di difesa immaturi, difficoltà di relazione con gli altri (ciò che viene denominato un “attaccamento insicuro”) (Ciocca, Tuziak, Limoncin et alia 2015).

Il bullismo omofobico a scuola
Omofobia e transfobia sono molto presenti in Italia: numerosi, infatti, sono i casi di dileggio, avversione manifesta, aggressione verbale e fisica, violenza vera e propria – sino ad arrivare all’omicidio o al portare la vittima al suicidio. Particolarmente preoccupante, per i risvolti sociali e di proiezione nel futuro che comporta, sono i casi di bullismo omofobico.
Il bullismo si caratterizza come comportamento di prevaricazione reiterato da parte di qualcuno (singolo o gruppo) nei confronti di qualcun altro (singolo o gruppo), e generalmente avviene tra pari, in ambienti educativi.
Oltre al bullismo classico esistono due forme di bullismo relativamente nuove, e caratterizzate da un livello molto alto di pericolosità per le vittime: il bullismo omofobico e il cyberbullismo. Tralasciando in questa sede il cyberbullismo (caratterizzato dall’utilizzo del mezzo tecnologico e da forme differenti), si definisce il bullismo omofobico quel tipo particolare di bullismo che perseguita, scredita, isola, insulta, aggredisce soggetti ritenuti differenti per qualche tratto dell’identità sessuale, solitamente perché le vittime sono ritenute, a torto o a ragione, omosessuali.
Il bullismo omofobico ha la particolarità di poter agire in forma indiretta: un/una adolescente omosessuale che sente, continuamente, termini spregiativi utilizzati per indicare il proprio orientamento sessuale, usati come offesa anche se non contro di lui/lei, sviluppa ansie e timori nei confronti del gruppo dei pari nei quali è inserito/a. Le conseguenze possono essere terribili: non potersi confidare, recitare altri ruoli, temere continuamente il giudizio degli altri, sentirsi al tempo stesso bisognosi della conferma dei pari, e mai totalmente a proprio agio di fronte a loro… e molte altre emozioni e sensazioni che fanno dell’adolescente omosessuale una vittima anche del bullismo indiretto. Quando il bullismo omofobico è diretto può avere conseguenze devastanti: sono negli occhi e nelle orecchie di tutti i casi di adolescenti omosessuali che si sono tolti la vita per l’incapacità di fronteggiare le continue e feroci prese in giro, le aggressioni, le violenze, gli insulti, la non accettazione (che spesso si verifica anche in famiglia).

Alle origini del fenomeno
La pericolosità rilevata è proprio nei confini dilatati di questa tipologia di bullismo, ovvero nel trovare, in aula e all’interno del contesto scuola, soltanto una conferma di quanto già esperito nel proprio ambiente sociale di provenienza e nella vita quotidiana. Questo fenomeno è di un’evidenza tale che si è giunti a poter sostenere, sulla base di dati raccolti sul campo (Burgio 2008; Burgio 2012), che la violenza omofobica sia un mezzo e uno strumento per la costruzione dell’identità maschile eterosessuale, assumendo carattere semi-normativo (per diventare “maschio” devi mostrare il tuo disprezzo nei confronti di…, quasi che si trattasse di un rito di iniziazione e di acquisizione di un adeguato livello di virilità, ottenuto necessariamente attraverso l’odio verso ciò che culturalmente si allontana da quel modello standard di “essere maschio”).
La violenza omofobica è un mezzo e uno strumento per la costruzione dell’identità maschile eterosessuale, assumendo carattere semi-normativo.In target differenti è stato infatti confermato il basso livello di informazione, conoscenza, consapevolezza circa le quattro costituenti (sesso biologico, identità di genere, ruolo di genere, orientamento sessuale) che la maggior parte della letteratura attribuisce all’identità sessuale (seppure esistano teorie che individuano alcune differenze; AA.VV. 2012), nonché la difficoltà a parlare di sé in questi termini e la mancanza di informazioni al proposito. Un livello di conoscenza così scarso può costituire una delle spiegazioni più facilmente riferibili ai fenomeni di bullismo omofobico.
Emergono tuttavia notevoli difficoltà nel rappresentare la propria identità sessuale (anche in modo informale, senza richieste di precisione scientifica); notevoli confusioni (e sovrapposizioni) tra identità di genere e orientamento sessuale (o, addirittura, tra orientamento sessuale e sesso biologico); attribuzioni stereotipiche dei ruoli di genere in relazione agli orientamenti sessuali: veri e propri malintesi, che fanno coincidere l’intera identità sessuale di un soggetto con il suo orientamento sessuale, categorizzato in termini di liceità/illiceità (o di moralità/immoralità e addirittura giusto/sbagliato, patologia/normalità). Gli orientamenti sessuali differenti da quello eterosessuale devono, nel migliore dei casi, essere taciuti.

Dal film “Fucking Åmål – Il coraggio di amare”, 1998, di Lukas Moodysson, con Alexandra Dahlstorm, Rebecka Liljeberg

Fabbricare il nemico: verso 
una nuova omofobia
Assistiamo in questi ultimi due anni a una recrudescenza delle avversità. La modalità particolare scelta da alcuni movimenti fondamentalisti per “difendersi” (stando alla vulgata che essi stessi veicolano) è quella di attaccare e aggredire, nel tentativo di contrastare la concessione di diritti elementari a una cerchia ritenuta “indegna” degli stessi. Pare quasi che la concessione di questi diritti rappresenti un “vulnus” a chi li possiede già, secondo una concezione particolarissima degli stessi, per la quale l’estensione costituisce una diminuzione per chi già li possiede: estendendo questi diritti essi smettono di essere un privilegio e diventano, appunto, diritto soggettivo.
Quando non si possono invocare, come in passato, presunte minorità di persone differenti per qualche tratto, occorre allora fabbricare il nemico, per poi rivolgervi contro la propria rabbia, e additarlo al pubblico ludibrio.Quando non si possono invocare, come in passato, presunte minorità di persone differenti per qualche tratto, occorre allora fabbricare il nemico, per poi rivolgervi contro la propria rabbia, e additarlo al pubblico ludibrio. Il meccanismo si produce raccontando molte volte storie false, storie stereotipiche, fino a che non diventano “vere” nelle convinzioni di chi le ascolta. Le storie vengono fabbricate, come ogni stereotipo, prendendo alcuni aspetti reali, mescolandoli con invenzioni e producendo confusione nei riferimenti. Lo stereotipo è semplice, rassicurante, si nutre di slogan e frasi formulari, individua il bene e il male in modo netto, tiene a distanza di sicurezza la differenza.

Costruire una storia unica
In questi ultimi due decenni abbiamo assistito alla stessa operazione in più contesti che hanno a che fare con la differenza. Tutti ricordiamo il meccanismo di delegittimazione operato da movimenti separatisti nei confronti degli immigrati, che vengono rappresentati attraverso stereotipi falsi (es: “ci rubano il lavoro”) per poi combattere qualsiasi tentativo di attribuire loro diritti o di facilitare la concessione della cittadinanza.
L’immigrato è sporco, vive promiscuamente, l’immigrato delinque, l’immigrato è violento, pericoloso, l’immigrato progetta attentati… l’immigrato ruba soldi, casa, lavoro: sono solo alcune delle micro-narrazioni veicolate al fine di fomentare la rabbia e l’ostilità. Siamo esposti in continuazione a questa “narrazione unica”, che è composta di molte varianti ma tende allo stesso epilogo (l’immigrato deve avere meno diritti di me e gli stessi o anche maggiori doveri).
Questi atteggiamenti, come è noto, lungi dal risolvere i problemi ne creano di peggiori, incrementando le ostilità reciproche, la pericolosità sociale, rendendo più complessa l’integrazione e dunque producendo attivamente alcuni degli effetti che dice di temere.
Fabbricare il nemico pare dunque essere la cifra di riferimento di partiti e movimenti che riconoscono nell’odio e nell’avversione contro qualcuno e qualcosa il principale strumento per raccogliere intorno a sé il proprio elettorato o i propri attivisti.
Non sfuggirà il fatto che, in mancanza di proposte e di collante interno, l’identificazione di un nemico comune costituisca una strategia per facilitare adesione, riconoscimento, appartenenza.
Si prende dunque un campo di studi con una forte tradizione e noto quasi esclusivamente agli addetti ai lavori come i gender studies, che in Italia si traduce in “studi di genere” (in cui convivono posizioni e approcci diversi, riferimenti teorici differenti e anche strumenti e metodi di ricerca diversi, come in ogni campo di studi), si mescolano aspetti prelevati da teorie minoritarie (come diffusione) e si fa diventare il tutto una “teoria” o meglio ancora “un’ideologia”. Per indurre maggiore confusione si lascia una parola in inglese e una in italiano, ed ecco la prima parte del lavoro è svolta: teoria del gender o ideologia del gender. A questo punto ci vuole una narrazione semplice, qualcosa che spaventi e che induca le persone a non approfondire troppo, e a reagire senza prima informarsi o riflettere.

Salviamo i nostri bambini
Uno degli elementi di maggiore “sensibilità” è, in tal senso, costituito dai bambini. I bambini sono, nella nostra cultura, rappresentati come indifesi e vulnerabili, spesso come estremamente influenzabili, incapaci di pensiero autonomo (specie da parte di chi vuole “controllare” persino i loro pensieri). La riduzione dell’autonomia di pensiero e di scelta, quando al contempo lamentiamo la tardiva autonomia economica e l’indipendenza abitativa, costituisce, senza dubbio, un paradosso.
Una volta costruita una “teoria”, un’ideologia, trovarne una vittima nei bambini è la strategia migliore: «giù le mani dai nostri bambini» è un grido che non può rimanere inascoltato.
Una volta costruita una “teoria”, un’ideologia, trovarne una vittima nei bambini è la strategia migliore: «giù le mani dai nostri bambini» è un grido che non può rimanere inascoltato.I bambini sono l’oggetto della preoccupazione, e al grido di «vogliamo questo per i nostri figli?» si possono, facilmente, mobilitare delle masse poco informate, ma desiderose di tutelare, nel miglior senso del termine, difendere, proteggere “l’innocenza” (anche se qualche equivoco nell’insistenza relativa al controllo di ogni contenuto a cui bambini e ragazzi sono esposti è inevitabile: devono dunque sapere solo ciò che i genitori vogliono che sappiano?).
I bambini e i ragazzi verrebbero “deviati” da qualsiasi tipo di informazione riguardante l’affettività, la sessualità o il loro corpo. Tali tematiche sarebbero, secondo chi formula queste teorie, di competenza dei genitori i quali, sempre secondo questi movimenti, hanno l’esclusiva dell’educazione ai valori. Eppure da sempre la scuola è soprattutto luogo di trasmissione di apprendimenti non neutri. Le scelte tematiche, l’approccio alla storia, il modo in cui sono stati proposti contenuti e conoscenze: tutto ciò ha e ha sempre avuto chiari riferimenti e matrici culturali. I genitori sono e si sentono “proprietari” dei bambini e del loro “pensiero” che non può essere influenzato da altri, e tuttavia focalizzano l’attenzione sulla sfera della sessualità.
L’illogicità argomentativa di tali posizioni risulta evidente a chiunque conosca minimamente le pratiche utilizzate nei contesti di istruzione: chi potrebbe credere alla volontà di un corpo insegnante di qualità (riconosciuta in tutto il mondo), come quello che opera nella scuola dell’infanzia italiana, di “insegnare la masturbazione da o a 4 anni”? Non si tratta di una boutade di un singolo folle, bensì di uno dei molti avvertimenti (la maggior parte di questo tenore) propagandati in incontri con genitori, volantinaggi, manifestazioni. L’ignoranza e la paura fanno il resto.

Le conseguenze
Le dimensioni che fenomeni come quelli del bullismo omofobico stanno assumendo nel nostro Paese, e la regressione che l’atteggiamento di aggressione e di “ostacolo” di un numero minoritario ma molto attivo di genitori comporta, richiedono di scongiurare e prevenire, attraverso interventi mirati, il manifestarsi di comportamenti che legittimano il bullismo negli ambienti educativi e di istruzione. Il circolo vizioso si è ormai prodotto, però: sarebbero necessari, in modo massivo, proprio quegli interventi che vengono ostacolati al grido di «giù le mani dai nostri bambini» (anche se il timore suscitato, come esemplificato nel paragrafo introduttivo, produce effetti che vanno molto al di là persino delle intenzione degli stessi aggressori), interventi cioè che vogliano anzitutto mostrare la realtà e giustificare la presenza delle differenze in contesto scolastico.
Le conseguenze sono note: dalla percezione di non legittimità della propria identità (vissuta dunque spesso nel silenzio o nella necessità di nascondersi) sino ai noti fenomeni di suicidio causati dal bullismo omofobico, passando per tutti i gradi di dileggio e di vera e propria persecuzione.
La scuola è avvertita come prosecuzione coerente di quanto “ascoltato” in famiglia e quanto vissuto negli ambienti che si frequentano quotidianamente. L’omofobia vissuta a casa, i timori manifestati tra quelle mura determinano comportamenti non inclusivi. I ragazzi hanno domande, vivono la realtà e nella realtà.
Gli insegnanti dovrebbero poter rispondere alle legittime curiosità e richieste di seria informazione di cui gli adolescenti e i post-adolescenti sono portatori rispetto a questi temi.

Le risposte degli insegnanti
Una ricerca comparativa tra insegnanti italiani e insegnanti spagnoli (Batini 2013) ha evidenziato come il livello di ignoranza a riguardo e il timore di affrontarli, anche semplicemente come discussione, nel contesto scuola, sia ancora un problema da risolvere (con una situazione leggermente migliore in Spagna rispetto all’Italia); – posto che nel resto della società e nella famiglia questi temi non vengono trattati affatto (come si evince dalle risposte degli adolescenti, anch’essi intervistati con un campione comparativo italiano e spagnolo), e quando accade viene fatto spesso in modo poco informato o, addirittura, in modo da favorire l’insorgere di opinioni omofobe (Batini 2014).
I significati si formano con i materiali culturali disponibili: incrementare questi materiali attraverso una corretta informazione scientifica e attraverso incontri significativi e spazi di discussione aperti significa offrire ai ragazzi la possibilità di costruirsi le proprie opinioni.Ciascun insegnante dovrebbe domandarsi a quali domande sarebbe in grado di rispondere, se saprebbe gestire una discussione su questi temi e con quale grado di padronanza e/o difficoltà, e riflettere sull’adeguamento delle proprie competenze. L’identità sessuale si sviluppa in tutto il periodo del primo e secondo ciclo di istruzione: per questo tra gli obiettivi di conoscenza di sé e di conoscenza e rispetto degli altri non può essere dimenticato che cosa avviene/è avvenuto nel proprio corpo e nella definizione della propria identità.
I significati si formano con i materiali culturali disponibili: incrementare questi materiali attraverso una corretta informazione scientifica e attraverso incontri significativi e spazi di discussione aperti significa offrire ai ragazzi la possibilità di costruirsi le proprie opinioni.
Afferma Lingiardi nel libro di Rivers Bullismo omofobico. Conoscerlo per combatterlo (2015): «Su circa 1800 studenti invitati a compilare un questionario, il 47% ha dichiarato di sentire spesso o molto spesso espressioni omofobiche dai compagni di scuola e il 25% di aver sentito (almeno qualche volta) le stesse espressioni dagli insegnanti. L’8% degli studenti ha denunciato di aver subìto bullismo omofobico almeno una volta a scuola (il 9% dei ragazzi vs il 7% delle ragazze). Coloro che sono stati bullizzati riportano un minor livello di benessere e hanno pensato con maggiore frequenza ad abbandonare gli studi a causa del disagio provato nei diversi contesti scolastici. Però più del 50% dei partecipanti ha ammesso di avere almeno un amico o un’amica non eterosessuale, e tra questi il 64% riferisce di sentirsi molto vicino a loro. Il 60% degli studenti riferisce che a lezione capita di parlare di tematiche relative all’orientamento sessuale, ma solo il 9% afferma di aver studiato su libri che affrontano tale argomento».

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Federico Batini

Insegna Metodologia della ricerca educativa, dell’osservazione e della valutazione, Pedagogia sperimentale e Consulenza pedagogica all’Università degli Studi di Perugia. Ha fondato e dirige le associazioni Pratika e Nausika, da cui è data la LaAV. È autore Loescher. federicobatini.wordpress.com

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