La storia dell’arte si è specializzata come disciplina di studio e di insegnamento in maniera esuberante lungo tutto il corso del Novecento. Eppure, dopo stagioni di ricerche accanite e di campagne di schedatura e catalogo del patrimonio sul territorio italiano – purtroppo non sempre sfociate in strumenti di consultazione accessibili – l’impressione è quella di avere un’arma spuntata in mano: la connoisseurship specialistica ha sempre meno forza di attrazione, gli studi postdisciplinari rischiano di perdere la specificità di approccio e di metodo storico, su entrambi poi grava una domanda ancora più stringente: quale tipo di cultura visiva e storico letteraria è quella più adatta a comprendere la complessità del passato e porla in un raffronto efficace e vivo col presente? O meglio ancora, come si costruisce quel tipo di cultura?
Il libro di Silvia Urbini, Somnii explanatio. Novelle sull’arte italiana di Henry Thode, ha il merito di affrontare questa complessità a partire dagli studi e dalla biografia di Henry Thode, molto noto agli storici per i suoi lavori su San Francesco e le origini del Rinascimento italiano, nonché per i tre volumi su Michelangelo, ma finora mai affrontato nella tridimensionalità dei suoi interessi e alla luce della peculiare coincidenza che lo portò ad essere proprietario di Villa Cargnacco sul lago di Garda, poi divenuta il Vittoriale degli Italiani, una volta espropriata dal governo e acquistata nel 1918 da Gabriele D’Annunzio.
È dunque tra le vestigia del gusto e delle opere appartenute a Thode, oltre a quelle di D’Annunzio, che il visitatore percorre oggi gli ambienti del Vittoriale, in una sovrapposizione di destini e di sensibilità che l’annotazione della ballerina americana, Isadora Duncan, per breve tempo amante di Thode, così sintetizza: “la potenza spirituale di Henry Thode era così forte che in mezzo a questi inverosimili rapimenti e a questa felicità di smarrimento, quando mi teneva dei discorsi sull’arte egli poteva svegliare in me l’attenzione della pura intelligenza. Io non lo posso paragonare che a un altro uomo sulla terra: a Gabriele D’Annunzio”.
In questa villa, dotata da Thode di una cospicua biblioteca, più di seimila volumi, e di una fototeca ragguardevole, più di quattrocento stampe in grande formato, lo studioso tedesco, sposatosi con Daniela Senta Bulow (figlia della seconda moglie di Wagner), scrive nel 1909 la terza delle sue novelle d’arte, Somnii explanatio, quella appunto dedicata al sogno rinascimentale di un luogo idilliaco e da cui prende il titolo il libro di Silvia Urbini.
La novella era stata preceduta da altre due, una dedicata a un busto di fanciulla in cera custodito al museo di Lille, appartenuta al collezionista francese Wicar, l’altra all’anello di Cristoforo Frangipane, condottiero dell’imperatore Massimiliano I. L’insieme di queste tre Kunstnovellen (La fanciulla di cera e Somnii explanatio, qui tradotte per la prima volta, insieme all’articolo di Wickhoff sulla Fanciulla di Lille; dell’Anello dei Frangipane esiste una versione inglese scaricabile dal sito dell’autrice) rappresenta lo specimen di un modo di raccontare la storia, gli oggetti, gli artisti e i committenti, in particolare la fascinazione per talune opere investite di un significato emotivo capace di animarle, renderle protagoniste di sogni e immaginazioni che non sono solo idiosincrasie dell’autore, ma attraversano la cultura del suo tempo.
Le Kunstnovellen non sono propriamente prose d’arte, ma nemmeno del tutto eventi romanzati: appartengono a un genere ibrido che consente descrizioni evocative, passaggi espressivi e assemblaggio di documenti d’archivio attentamente vagliati e ricercati, in un tentativo di immersione esistenziale nella storia che spicca come la loro precipua qualità. Da questo approccio Urbini ricava una pluralità di tracce di ricerca non solo nella direzione di una storia del gusto a trecentosessanta gradi, ma anche della filologia propriamente attributiva. Ad esempio: dopo avere ricostruito, seguendo in filigrana la novella di Thode, le dibattute vicende della Fanciulla di cera – opera variamente collocata a fine ‘400 o nel ‘600, e destinata a diventare un vero e proprio feticcio a cavallo tra Otto e Novecento tra gli studi freudiani sul doppio e quelli di area viennese, Schlosser in primis, sul ritratto funerario – l’autrice propone del busto un’interessante attribuzione al plasticatore bolognese Angelo Gabriello Piò, proveniente da quella cultura bolognese attenta alla resa anatomica capace di restituire il presagio o il passaggio appena avvenuto della morte in un’effigie che non è ritratto idealizzato ma nemmeno maschera mortuaria.
Nella seconda novella la ricostruzione delle vicende della famiglia del condottiero Cristoforo Frangipane e della moglie Apollonia Lang, sorella del cardinale Mattia (ritratto da Dürer in un celebre disegno), delinea un’ardita quête tra dipinti, copie, possibili falsi creati in seguito all’uscita del testo stesso di Thode, con l’unico dato certo di un dipinto commissionato nel 1519 a Jan van Scorel, in seguito alla liberazione di Cristoforo e Apollonia dalle carceri veneziane, in cui – fatto inaudito – avevano soggiornato a lungo insieme.
E questa è, senza dubbio, materia squisitamente romanzesca; la novella illustrata dalle incisioni di Hans Thoma ebbe infatti grande successo all’epoca della sua pubblicazione.
Protagonista della novella Somnii explanatio è un giardino sulle rive del lago di Garda, a punta S. Vigilio, descritto da Agostino Brenzone, che ne fu proprietario, in una lettera all’umanista Silvan Cattaneo (autore delle Dodici giornate di viaggio lungo le rive del lago di Garda, scritto nel 1552 anche se pubblicato quasi due secoli dopo). La villa, costruita su progetto di Sanmicheli, e il giardino dell’avvocato umanista veronese costituiscono per Thode un luogo di identificazione assoluta, un luogo che, come la figura di Gradiva per Freud, smuoveva le parte più profonde del suo essere, la sua volontà di autoproiezione.
La scelta del promontorio, così carico di vestigia romane e di rivisitazioni umanistiche, e il decoro di epigrafi e sculture nei tre giardini di Venere, Adamo e Apollo, coincidevano infatti con un programma preciso di vita all’insegna del culto letterario, dove la Laura petrarchesca può confondersi con la ninfa Dafne ma anche rimandare alla sorella di Agostino, la poetessa Laura Brenzone. Dove il mito pagano è sorretto dalla simbologia cristiana, dove iscrizioni e figure celebrano un mondo di senso che rispecchia la cultura e la sensibilità del suo proprietario, il sogno di un’umanità ideale ed elevata. Colpisce il trasporto con cui Thode indaga la figura dell’avvocato, il suo essersi sporcato nel fango del mondo per poi purificarsene e dare vita a un luogo di elezione estetica e morale, quale senz’altro ricercava anche lo storico tedesco nella villa Cargnacco, dove risiedeva. A pochi anni dallo scoppio della prima guerra mondiale, colpisce ancora di più l’utopia di questo gesto, che Thode avrebbe pagato di persona, e molto amaramente, con l’esproprio non solo dei suoi beni in Italia, ma del suo sogno stesso.