A essere evidente è invece l’imbarazzo del genitore, che non è in grado di rispondere al figlio e non vuole dichiararlo in modo esplicito, per non perdere punti sul versante dell’autorevolezza culturale. Di conseguenza egli resta molto sull’evasivo, riuscendo per sua fortuna a dirottare l’attenzione del figlio sull’animale che ha suscitato in lui l’improvvida domanda, al guinzaglio di un altro passante.
Non l’ho fatto, ma lì per lì ho avuto la tentazione di dargli una mano, per non far perdere al papà l’occasione per dimostrarsi davvero all’altezza dei tempi, per dimostrare al “nativo” con cui stava passeggiando – e qui sì che avrebbe suscitato la sua imperitura ammirazione – di essere un adulto digitale.
Unica condizione materiale: il possesso di uno smartphone connesso a Internet. Con cui raggiungere la voce di Wikipedia “Dalmata (razza canina)” e soddisfare (o deludere…) nell’arco di pochi istanti il figlio, scoprendo insieme a lui che le caratteristiche macchie sul mantello bianco non sono solo nere, ma anche marroni.
A questo episodio di mancato utilizzo delle tecnologie digitali, a dire la verità, si contrappone il fatto che sempre più spesso osservo turisti – di ogni età – che ricorrono ai tablet o agli smartphone che hanno in mano o nel tipico zainetto non solo per fotografare quanto stanno ammirando, ma anche per approfondire l’oggetto della loro visita.
Mi pare di poter dire insomma che ci troviamo di fronte a uno schema di approccio al sapere davvero interessante, su cui vale la pena di riflettere anche dal punto di vista dell’insegnamento:
– un’esperienza concreta, che ibrida intrattenimento e cultura in senso stretto – mi verrebbe da dire “scolastico” –, innesca un quesito che riteniamo interessante, potenzialmente arricchente, a cui vogliamo dare risposta;
– uno strumento digitale ad alta portabilità, che abbiamo costantemente con noi anche per altri impieghi, ci consente di raggiungere una fonte di informazioni ubiquitaria e sufficientemente qualificata per rispondere alla domanda, sfruttando il fatto che Internet è raggiungibile pressoché dovunque (fatta cioè eccezione per le zone in cui le carenze infrastrutturali causano digital divide).
Le situazioni che ho descritto sono modi di sfruttare o meno il fatto che siamo costantemente immersi nella rete delle informazioni; soprattutto ci offrono due prospettive davvero importanti.
La prima è una conferma: perché le informazioni disponibili diventino davvero conoscenza, è necessario avere degli interrogativi giudicati significativi, ovvero essere attivi sul piano cognitivo in prima persona. La seconda è in buona misura una novità: non è più necessario tesaurizzare nozioni e dati per portarli con noi; la trasformazione degli atomi della carta e degli altri supporti tradizionali nei bit di Internet, li rende al bisogno immediatamente accessibili.
Ne consegue non, come credono alcuni, la possibilità di operare con un costante fai-da-te, ma piuttosto l’obbligo pressante per tutti coloro che si occupano di educare i giovani alla piena autonomia e alla consapevolezza di sé e del mondo materiale e immateriale che li circonda – dai genitori agli insegnanti – di porsi l’obiettivo di sviluppare la capacità di valutare in modo critico attendibilità e consistenza (accuratezza, profondità, completezza) delle fonti.