Le competenze della letteratura: empatia e giochi di ruolo

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Leggo in un tema scritto da un mio alunno che in un GRV (Gioco di Ruolo dal Vivo) i partecipanti indossano i panni (anche letteralmente: i vestiti, o costumi) di personaggi che appartengono a un mondo immaginario, ricostruito in modo piuttosto dettagliato dagli organizzatori del gioco, e all’interno del quale ciascuno recita la propria parte, in una specie di teatro all’aperto.

 

Diego, così si chiama il mio alunno, mi racconta le sue esperienze di gioco perché gli ho chiesto di scrivere una relazione su un’esperienza significativa, durante la quale abbia imparato qualcosa di importante. Coi ragazzi di quarta stiamo lavorando a una specie di bilancio delle competenze, e io sto cercando di aiutarli a riconoscere le cose che già sanno fare egregiamente: per farli sentire più sicuri, e soprattutto per chiarire meglio (a noi stessi) che per imparare e per crescere è meglio non mettere tanti confini. “Per me vale tutto”, ripeto loro costantemente. Diego mi ha aiutato a dare qualche dimostrazione pratica di questo principio.
“Inizialmente ero convinto che fosse una cavolata, come un gioco fra bambini, poi ho scoperto che si trattava di molto di più. Bisogna essere buoni attori, rispettosi delle regole, saper socializzare, ed essere in grado di fare propria tutta l’ambientazione del gioco per poterselo godere e imparare cose come il rispetto, il valore dell’amicizia”. E fin qui niente di eccezionale, a parte una non comune capacità di parlare di sé e della propria esperienza in modo distaccato e preciso. Poi, a un certo punto, il nostro autore si sofferma più nello specifico sull’importanza di saper “passare da situazioni di gioco (dove ti comporti come il tuo personaggio) a quelle fuori gioco (dove sei te stesso)”.

 

“Quest’ultima abilità in particolare – dice Diego – mi ha aiutato a capire che cosa vuol dire essere professionale anche nel lavoro”. Inoltre, sostiene poco più avanti, “ho imparato a essere empatico, cioè a mettermi nei panni di qualcun altro e, dunque, ad avere più punti di vista sulle cose”.
Per dimostrare l’esattezza delle sue affermazioni, riferisce che durante il gioco gli è capitato di sentirsi chiedere se sarebbe stato disposto a uccidere un bambino per ereditare una fattoria. “Io non lo avrei mai fatto, ma il mio personaggio – che era un mercenario – sì, quindi presi i soldi e agii; in quel momento assunsi e compresi un punto di vista diverso dal mio, che per me resta comunque sbagliato. Ora so che ciascuna azione può avere diverse letture. Interpretando un personaggio in un GRV si capiscono numerosi punti di vista, quasi come vivere più vite in una sola, accrescendo il proprio bagaglio di esperienze più di quanto si potrebbe fare in una sola”.
Anche attraverso le pratiche di lettura – come abbiamo cercato di spiegare nel Quaderno della Ricerca n. 5, intitolato Imparare dalla lettura – è possibile simulare l’esperienza umana e, quindi, grazie all’immedesimazione, allenare l’empatia.

 

Il gioco di ruolo dal vivo – ne abbiamo parlato a lungo in classe – è un’espansione dell’esperienza della lettura, che ne costituisce il punto di partenza. Qualcuno, da qualche parte del mondo, legge una serie di romanzi fantasy o sci-fi, e da essi prende spunto per inventare un gioco che ne riproduce le fondamentali caratteristiche narratologiche. Col risultato che altre persone (molte, visto il successo del genere) si ritrovano poi dentro quella storia a simulare, e vivere, gli avvenimenti in essa raccontati, avendo in questo modo l’opportunità di imparare empiricamente la capacità di mettersi nei panni di un altro. In un ambiente dotato di regole precise, che comportano la fuoriuscita temporanea dal proprio abito mentale e richiedono lo sforzo di gestire situazioni inedite con strumenti nuovi.
Diego ha sperimentato queste potenzialità e, soprattutto, le ha raccontate a se stesso, a me e ai suoi compagni di classe. A dimostrazione, se non altro, del ruolo fondamentale della scrittura nel percorso esistenziale di una persona, qualunque sia la sua competenza linguistica e al di là di essa.  Se non scrivendo le proprie esperienze e condividendo i risultati della propria scrittura con gli altri, facendoli leggere e rileggendoli, quando mai una persona di diciott’anni ha la possibilità di riflettere su ciò che la vita gli sta mettendo a disposizione per poter diventare un uomo libero?

P.S. L’esperienza di scrittura fatta in classe è condotta nell’ambito del progetto COMPITA, di cui si rende conto nel Quaderno della Ricerca n. 6, Per una letteratura delle competenze.

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Simone Giusti

ricercatore, insegna didattica della letteratura italiana all’Università di Siena, è autore di ricerche, studi e saggi sulla letteratura italiana, sulla traduzione, sulla lettura e sulla didattica della letteratura, tra cui Insegnare con la letteratura (Zanichelli, 2011), Per una didattica della letteratura (Pensa, 2014), Tradurre le opere, leggere le traduzioni (Loescher, 2018), Didattica della letteratura 2.0 (Carocci, 2015 e 2020), Didattica della letteratura italiana. La storia, la ricerca, le pratiche (Carocci, 2023). Ha fondato la rivista «Per leggere», semestrale di commenti, letture, edizioni e traduzioni. Con Federico Batini organizza il convegno biennale “Le storie siamo noi”, la prima iniziativa italiana dedicata all’orientamento narrativo. Insieme a Natascia Tonelli condirige la collana scientifica QdR / Didattica e letteratura e ha scritto Comunità di pratiche letterarie. Il valore d’uso della letteratura e il suo insegnamento (Loescher, 2021) e il manuale L’onesta brigata. Per una letteratura delle competenze, per il triennio delle secondarie di secondo grado.

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