La posta in gioco

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Proseguiamo in questa sorta di “dizionario della scuola”, proponendo alla riflessione del nostro MIUR, o almeno degli addetti ai lavori, un’altra parola chiave.

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Quella di oggi è merito: persino abusata ultimamente, ma potremmo affermare senza tema di smentita che alla moltiplicazione esponenziale dell’uso del termine non ha corrisposto nemmeno un pallido riflesso di attuazione. Di questi giorni sono alcune confidenze di diciottenni che, per motivi di varia natura (professionale e personale), conosco piuttosto bene. Mi hanno parlato delle domande ricevute negli ultimi giorni di scuola per “raggiungere la sufficienza”. Si potrebbe partire da qui per declinare l’idea di merito. In una sorta di lascia o raddoppia finale, ecco una domanda secca sulle campagne napoleoniche o sulla vita di Kant (con immancabile definizione da manuale delle opere principali), o ancora l’esplicitazione di una formula di matematica, o lo snocciolamento di edizioni e titoli dei Promessi Sposi… Ragazzi e ragazze che affidano alla fortuna di una risposta azzeccata o di un suggerimento ben raccolto il loro futuro immediato (con un po’ di smarrimento nello sguardo, e con conseguente bilancia di meriti e demeriti a casa e relative autorizzazioni vacanziere). Ragazzi e ragazze che si percepiscono vittima d’ingiustizia assoluta: magari dal rendimento costante nello studio delle discipline sotto accusa, attribuiscono però a una domanda fatta a bruciapelo il rischio di un’estate piegata sui libri; ragazzi e ragazze che si sentono graziati e confessano candidamente di aver letto nel banco la data o la formula in questione. Non voglio qui affrontare l’assoluta inutilità di una simile modalità di valutazione (inutile, a meno che l’obiettivo finale non sia voler testare le capacità dei ragazzi/e in vista di un’imminente partecipazione a un quiz televisivo). Voglio però riflettere portando il solo esempio, che mi ha colpito in modo particolare, dell’analisi lucida e trasparente che ho ascoltato da questi ragazzi, indicativa circa l’idea di merito che inizieranno a farsi.
Se è vero, come è vero, che i cittadini si preparano a scuola, dobbiamo allora pensare che la furbizia a tutti i costi, la logica del mors tua vita mea, la vulgata che oppone il “furbo” che “frega” al bischero (mi si perdoni il toscanismo, eufemistico rispetto al sostantivo usato normalmente) che segue le regole e rispetta gli altri, vengono prodotte già all’interno del sistema scolastico. Cosa significa merito per dei ragazzini? Cosa significa premiare e riconoscere il merito?
Come possono, anche in presenza di didattiche adeguate, interiorizzare un’idea adatta ai nostri tempi di merito quando vedono, ad esempio, che non viene fatta alcuna differenza tra i loro insegnanti di cui, invece, notano senza fatica la differenza di impegno, di professionalità, di preparazione, dedizione, merito e competenza? Ci crederanno? Crederanno a ciò che gli diciamo o a ciò che vedono quotidianamente? Non sarebbe opportuno, gentile Ministro, iniziare proprio dal sistema di istruzione, a tutti i livelli, compreso quello universitario? Sistema, quest’ultimo, che di merito e trasparenza ha parlato così tanto affinché… cambiando tutto, nulla cambi, e che è arrivato al paradosso di farci ascoltare monologhi in lode di merito e trasparenza provenire proprio da quei baroni che hanno contribuito a calpestare qualsiasi barlume di merito e di trasparenza negli ultimi dieci anni.
Iniziamo da qui, Ministro: iniziamo a restituire dignità a una delle professioni più belle del mondo verificandone i risultati. Perché il risultato, serio, di qualsiasi azione di insegnamento è l’apprendimento degli allievi. Le Indicazioni Nazionali avvertono chiaramente circa l’impossibilità di “consegnare” delle conoscenze o delle nozioni, come si faceva una volta, o parlano della necessità di costruire apprendimenti: con i ragazzi stessi come protagonisti di questi processi. Dalla scuola dell’infanzia all’Università, una campagna e politiche sul merito serie e rigorose, premianti e capaci di raccontare le esperienze migliori e di diffonderle potrebbero, forse, costituire un contributo importante alla concetto di merito che i ragazzi e le ragazze interiorizzeranno.

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Federico Batini

Insegna Metodologia della ricerca educativa, dell’osservazione e della valutazione, Pedagogia sperimentale e Consulenza pedagogica all’Università degli Studi di Perugia. Ha fondato e dirige le associazioni Pratika e Nausika, da cui è data la LaAV. È autore Loescher. federicobatini.wordpress.com

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