Dieci anni fa, nel 2000, l’Osservatorio sui processi culturali e la vita quotidiana dell’Università della Calabria realizzò una ricerca sulle letture e i consumi culturali degli studenti delle scuole secondarie calabresi. Il volume fu pubblicato l’anno seguente col titolo Libri e altri media.
Il punto di partenza della ricerca era costituito da alcune preoccupazioni ricorrenti nel mondo della scuola, che potrebbero essere riassunte in frasi come queste: «I ragazzi non leggono!»; oppure: «Guardano soltanto la televisione!».
I risultati contraddissero queste affermazioni. La televisione e gli altri media non sostituiscono necessariamente la lettura: possono affiancarvisi. I ragazzi calabresi leggono più o meno quanto i loro coetanei di ogni altra regione: non molto ma neppure poco. La differenza più cospicua è ovviamente fra chi prosegue le scuole e chi no (e la Calabria effettivamente è fra le regioni dove il tasso di abbandono è più alto), ma anche fra chi studia vi sono differenze importanti. A determinarle è in gran parte la famiglia d’origine, ma a rendere conto della propensione dei ragazzi alla lettura è anche un altro fattore, e probabilmente è quello decisivo: l’avere incontrato oppure no un insegnante che abbia saputo “contagiarli” con il proprio piacere di leggere.
Quest’ultima osservazione ha spinto diversi insegnanti a incontrarsi fra loro per ragionare sulla propria capacità di educare alla lettura, e possibilmente per affinarla. È cominciato così un lavoro che dura tuttora. A immaginarlo e a coordinarlo sono stati Emilia Florio, presidente della Fondazione Rubbettino, e io stesso; le attività sono state ospitate nei locali del dipartimento di sociologia dell’Università, presso l’Osservatorio (“Ossidiana”) che aveva realizzato Libri e altri media. Inizialmente si è trattato di mettere a fuoco la nostra esperienza di lettori. Alcuni testi ci sono stati utili (Come un romanzo di Pennac, per esempio, o una bella ricerca di Gabriella Pagliano su Perché leggere). Ma a contare è stato soprattutto parlare in prima persona, riflettere sulla nostra esperienza.
Incontri di viaggio e vite parallele
Ci è parso che leggere romanzi sia qualcosa di simile a mettersi in viaggio. Un viaggio ha l’aspetto di una parentesi, di una sospensione della vita ordinaria. Quando si parte, i legami si allentano. Può essere eccitante oppure doloroso, in ogni caso non si sa esattamente cosa accadrà: può anche non accadere nulla, ma ciò non toglie la sensazione di libertà che accompagna chi viaggia. Così nel viaggio possono avere luogo avventure: possiamo fare incontri; conoscere luoghi, situazioni, persone che nelle consuete routine non avrebbero posto; addirittura trovare soddisfazione a desideri che nella vita ordinaria non ci permetteremmo, e di cui forse neppure saremmo disposti a riconoscere l’esistenza. Ma quando entriamo in un mondo narrato avviene qualcosa di analogo: nelle vite parallele in cui ci immergiamo diamo corso a curiosità, inclinazioni, a passioni che altrimenti ci potremmo permettere solo con grande difficoltà. Allarghiamo così i confini della nostra esistenza. Leggendo ci pare di moltiplicare la vita: in ciò sta probabilmente il cuore del piacere che proviamo. È un “vizio”, come suggeriva quel delizioso maestro che fu Giuseppe Pontremoli: un vizio che difficilmente è dannoso.
Questo piacere non lo si può imporre a nessuno. Si può però suggerirlo, trasmetterlo. È da qui che è nata l’idea che ha dato forma al nostro lavoro.
Lo schema è semplice. Una volta messo a punto non l’abbiamo più abbandonato. Ogni anno scegliamo tre romanzi; li commentiamo tra noi in tre incontri; poi gli insegnanti li propongono agli studenti, ciascuno nella propria scuola e secondo le modalità che preferisce; infine gli studenti che lo desiderano partecipano ad altrettanti incontri in università, in cui i commenti di ciascuno sono messi in comune. Nell’insieme sono sei incontri, fissati a cadenza mensile, a cui vanno aggiunti uno organizzativo, all’inizio, e uno dedicato alla valutazione, alla fine del lavoro.
Ogni anno: un tema e tante storie
In dieci anni, il gruppo degli insegnanti si è rinnovato man mano (in media ogni anno siamo una dozzina; qualcuno continua dall’inizio, altri ruotano). I ragazzi e le ragazze coinvolti sono ormai più di un migliaio; partecipano volentieri, specialmente perché non si tratta di un impegno obbligato; negli incontri con gli studenti che avvengono in università abbiamo deciso di non superare ogni volta la sessantina di partecipanti (altrimenti la conversazione è difficile), ma le richieste sono sempre molte di più.
Ogni anno ci diamo un tema, ma le scelte sono sempre state assai varie. In ogni caso scegliamo romanzi che piacciano a noi e che presumibilmente possano piacere ai ragazzi: libri brevi, avvincenti, ben scritti. Abbiamo cominciato con Calvino e Fenoglio, siamo passati per Stevenson e Kafka, siamo arrivati a Gli scali del Levante di Amin Maalouf e a Dai Sijie e il suo Balzac e la piccola sarta cinese. È capitato di leggere romanzi a fumetti, come Persepolis, o fantascienza come quella di Bradbury (in questi ultimi casi gli insegnanti dapprima erano perplessi, ho dovuto convincerli: poi sono stati entusiasti, sia personalmente, sia vedendo il successo che riscuotevano presso i ragazzi).
Per noi adulti, gli incontri in cui discutiamo di volta in volta di un libro sono diventati appuntamenti di puro piacere. È un aggiornamento, ci si prepara a un lavoro con i ragazzi, ovviamente; succede che ci citiamo reciprocamente Eco o Todorov; ma il divertimento di parlare di personaggi e di trame, fare commenti, scoprire reciprocamente cosa piace e perché, intrecciare interpretazioni, ha dato luogo a qualcosa che è come un appuntamento a cui dispiacerebbe rinunciare.
Quanto ai ragazzi, la loro partecipazione agli incontri in università mi ha sorpreso. Dapprima un po’ intimiditi (c’è un professore universitario, ci sono compagni di altre classi), si rinfrancano presto e parlano in prima persona, fanno domande e osano interpretazioni, danno giudizi e accettano di provarsi a spiegarli; si divertono un mondo; alla fine ringraziano. Le conversazioni che ho con loro muovono dai testi ma, come è ovvio, finiamo per occuparci di molte altre cose: i romanzi servono anche a pensare. Ci è capitato di parlare di storia e di sociologia; di discutere dei ruoli di genere e della criminalità; dei bulli e di chi è handicappato; della solitudine e della paura della solitudine.
Quando un romanzo ti cambia la vita
Quest’ultima a volte ha a che fare con il primo approccio alla lettura, e può disincentivarla: leggere è un’attività solitaria e ciò può inquietare. Ma si scopre poi da un lato che può anche essere bello appartarsi (per adolescenti che escono dal periodo in cui la prima preoccupazione è farsi accettare dai pari, è un gran momento di liberazione); e, dall’altro, che leggere è in verità un modo di stare con altri. Non solo con gli autori o con i personaggi, ma anche con i propri compagni e persino con genitori, insegnanti, zii e nonni: dei libri si parla, ce li si scambia, diventano regali. A volte incontro ragazzini o ragazzine che ho conosciuto in questi incontri nella libreria in centro a Cosenza: mi salutano, mi mostrano l’ultimo volume che ha consigliato il loro insegnante, mi chiedono se un altro libro sarebbe un regalo indicato.
Finisce che si va anche al cinema. Da molti romanzi che abbiamo letto sono stati tratti dei film: alcuni insegnanti li mostrano o li suggeriscono; si mettono a confronto i due diversi linguaggi, si valuta il successo della trasposizione; i commenti proseguono, cresce l’esperienza di essere fruitori attivi di quello che l’industria culturale propone.
C’è un film che gli insegnanti hanno visto e hanno commentato fra loro (ne parlano in un testo trovabile on line in www.sociologia.unical.it/ossidiana): è Il club di Jane Austen. Nel film, un gruppo di persone si riunisce una volta al mese per commentare insieme i romanzi di Jane Austen: sei romanzi, sei incontri.
Le conversazioni prolungano il piacere che ciascuno ha provato leggendo; con i personaggi della Austen ci si confronta; ma parlarne serve anche a conoscersi, a riconoscersi reciprocamente, a tessere in modo più fitto la trama delle relazioni. La vita di una delle protagoniste cambia quando il marito accetta di leggere ad alta voce con lei un romanzo che ama; un’altra accetta la corte di un uomo quando si permette di leggere quello che legge lui. Un’altra ancora ha un dilemma; per risolverlo si chiede: cosa ne direbbe Jane Austen?