Buon trecentenario, Mister Sterne

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Trecento anni fa, nel 1713, nacque a Clonmel, in Irlanda, Laurence Sterne, uno degli scrittori più influenti dell’era moderna. Tradotto in italiano per la prima volta da Ugo Foscolo nel 1813 (ancora un anniversario: sono trascorsi duecento anni…), Sterne rimane uno scrittore per scrittori, di quelli che per vie sotterranee attraversano i secoli e erodono alle fondamenta i pilastri delle convenzioni letterarie, cambiando la natura stessa dell’arte, la sua funzione e i suoi presupposti.

Laurence_Sterne

Si dice che senza le opere di Sterne sarebbe stato impossibile avere Joyce, Beckett, Gadda… Ma quel che conta è che senza i suoi romanzi (definiti da molti “antiromanzi”) dovremmo rinunciare a degli strumenti utilissimi per comprendere i meccanismi del linguaggio e della narrazione nell’epoca del libro.

Mi limito, in questa sede, a rendere omaggio al suo libro maggiore, Vita e opinioni di Tristram Shandy, gentiluomo, che io leggo nell’edizione Einaudi del 1990. Proviamo a scorrerlo insieme. Per cominciare, a un certo punto del racconto, quasi all’inizio del romanzo, il narratore manifesta una singolare preoccupazione. Vorrebbe raccontare la storia della sua vita – dice – ma qualcosa lo impensierisce. Pensa di non essere capace di star dietro a tutto ciò che è necessario dire, poiché più racconta e scrive più gli rimane da raccontare e scrivere. Il tempo che egli dedica alla scrittura non basta a recuperare il tempo trascorso della vita: “In questo mese – si legge all’incirca a metà di Vita e opinioni di Tristram Shandy, gentiluomo – sarò d’un intero anno più vecchio di quando incominciai a scrivere dodici mesi or sono, ed io, pur essendomi inoltrato, come vedete, sin verso la metà del quarto volume, non sono andato altre la prima giornata nella mia biografia; è evidente che, se in trecentosessantacinque giorni di vita vissuta ne ho descritto soltanto uno, ne ho trecentosessantaquattro in più da narrare che non quando incominciai”.

Lo scrittore non riuscirà mai a raggiungere se stesso e la realtà non riuscirà a stare nel libro. È impossibile. Il libro non può contenerla. Non resta che una soluzione: scrivere un libro-libro, incapace di simulare i tempi e gli spazi della realtà, le regole del normale svolgersi degli eventi, capacissimo invece di inventare nuove regole rimettendo in discussione ogni certezza dei personaggi e del lettore. E il libro, come un teatro che lentamente si squarci lasciando intravedere le quinte, lentamente si sfascia. Mostra la sua materia, il suo essere di carta e inchiostro, parole e sintassi, paragrafi e capitoli: “Non è una vergogna fare due capitoli di quel ch’è avvenuto in due rampe di scala? Perché siamo arrivati solo al primo pianerottolo, e vi sono quindici scalini da scendere; e, che io sappia, siccome mio padre e mio zio Tobia sono in vena di chiacchierare, vi potranno essere tanti capitoli quanti sono gli scalini”. Perché il libro-oggetto sia sotto gli occhi del lettore costantemente, il narratore si ferma e lo invita a disegnare e dipingere, lasciandogli a disposizione una pagina bianca destinata poi a diventare, una volta finito il libro, la copertina. E due capitoli sono lasciati interamente in bianco – un’onta per lo scrittore – per poi essere ripresi e riscritti sette capitoli dopo.

La realtà è il libro, ed essa esiste solo nel momento in cui lo sguardo del lettore si fissa sulla pagina. Perfino una pianura è solo un tema letterario: “Non v’è nulla di più gradito al viaggiatore, e di più terribile per gli scrittori di viaggi, di una grande e ricca piana; specialmente se è priva di grandi fiumi o ponti, e non presenta altro allo sguardo che un pingue monotono quadro di abbondanza: perché, una volta che vi abbia detto che è “deliziosa!” o “incantevole!” (secondo che il caso suggerisca), che il terreno è ferace, o che la natura vi versa tutte le sue dovizie, ecc… il povero scrittore si trova con una vasta pianura sulle braccia, di cui non sa che farsi”.

In questo romanzo che, alla fine del Settecento, nell’epoca del romanzo realista borghese, persegue sistematicamente il rifiuto di ogni verosimiglianza,  lo scrittore vuole apparire come signore assoluto, regista di uno spettacolo pirandelliano, che vede i personaggi smascherati muoversi sul palcoscenico come sulla vita, insieme agli spettatori, compartecipi e quindi smascherati anch’essi. Il paradosso giunge al punto di far esplodere il romanzo, completamente destrutturato e quindi affidato al rapporto diretto e sincero – lontano dall’inganno del verosimile – tra autore e lettore.

È così che anche i futuri lettori sono coinvolti nella finzione e costretti dunque a vedersi immobilizzati dentro il libro, tra i bordi bianchi delle pagine. Una lettrice non capisce il senso della trama, sembra aver perso qualche elemento del racconto, e interrompe la narrazione per rivolgersi direttamente al narratore. Il narratore interrompe il racconto e risponde, dialoga con la lettrice, la quale cerca di giustificare la sua distrazione: “…devo aver saltato una pagina”, oppure “ero addormentata”. Ma Tristram Shandy non è disposto a credere a una simile offensiva ipotesi, quindi punisce la distratta lettrice costringendola, al primo punto fermo, a tornare indietro e rileggere l’ultimo capitolo. La signora rientra in scena poco più avanti, e siccome ancora non riesce a comprendere la trama del racconto, l’autore le indica con esattezza il passo incriminato: “Allora, signora, vogliate ponderare bene la penultima riga dell’ultimo capitolo, dove dico…”.

Ci vuole pazienza, si sa, a scrivere romanzi e a sopportare l’incompetenza dei lettori. Mi pare che Sterne abbia speso bene il suo tempo, se resiste a trecento anni di distanza. Buon centenario, mister Sterne.

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Simone Giusti

ricercatore, insegna didattica della letteratura italiana all’Università di Siena, è autore di ricerche, studi e saggi sulla letteratura italiana, sulla traduzione, sulla lettura e sulla didattica della letteratura, tra cui Insegnare con la letteratura (Zanichelli, 2011), Per una didattica della letteratura (Pensa, 2014), Tradurre le opere, leggere le traduzioni (Loescher, 2018), Didattica della letteratura 2.0 (Carocci, 2015 e 2020), Didattica della letteratura italiana. La storia, la ricerca, le pratiche (Carocci, 2023). Ha fondato la rivista «Per leggere», semestrale di commenti, letture, edizioni e traduzioni. Con Federico Batini organizza il convegno biennale “Le storie siamo noi”, la prima iniziativa italiana dedicata all’orientamento narrativo. Insieme a Natascia Tonelli condirige la collana scientifica QdR / Didattica e letteratura e ha scritto Comunità di pratiche letterarie. Il valore d’uso della letteratura e il suo insegnamento (Loescher, 2021) e il manuale L’onesta brigata. Per una letteratura delle competenze, per il triennio delle secondarie di secondo grado.

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