La fine del mondo e altre predizioni

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La fine del mondo è un tema assai dibattuto negli ultimi tempi, a scuola e non solo. La narrazione della fine ha ormai affiancato in modo stabile quella, già radicata, della crisi. Senza neanche la soddisfazione della baldoria di capodanno o del finale a sorpresa, questo, dunque, ci aspetta: il mondo che si spegne nel bel mezzo di una crisi.

La fine del mondo è un tema assai dibattuto negli ultimi tempi, a scuola e non solo. Ne parlano i bambini e i ragazzi, per lo più in modo scherzoso, sentendone parlare dagli adulti che popolano i media di ogni tipo. La narrazione della fine ha ormai affiancato in modo stabile quella, già radicata, della crisi. Senza neanche la soddisfazione della baldoria di capodanno o del finale a sorpresa, questo, dunque, ci aspetta: il mondo che si spegne nel bel mezzo di una crisi.

Trovo divertente, buffo addirittura, che in questo stesso periodo i ragazzi e i docenti delle scuole secondarie di secondo grado siano impegnati in forsennate attività di marketing scolastico (chiamato da alcuni, impropriamente, “orientamento”) durante le quali illustrano le caratteristiche della propria scuola e del proprio corso di studi agli alunni delle terze medie, chiamati a breve a decidere il loro futuro attraverso la scelta della scuola da frequentare.
I racconti della crisi e della fine s’intrecciano ai racconti dell’inizio di un’ipotetica nuova vita. In un modo o nell’altro, i nostri alunni – come tutti noi, d’altronde – sono impegnati a mettere in atto strategie per controllare il futuro: predizioni, previsioni, oroscopi, profezie, test… ogni strumento è valido pur di avere occasione di dare un senso al tempo che verrà.
È in questo quadro che propongo la lettura di un libro intitolato Storie, futuro e controllo (sottotitolo Le narrazioni come strumento di costruzione del futuro), che inizia con la constatazione di un fenomeno sociale che è sotto gli occhi tutti: le vecchie generazioni hanno l’abitudine di insegnare alle nuove a gestire la propria vita, pensando dunque che “il proprio patrimonio di esperienze e valori” possa avere un senso per i più giovani. Le narrazioni sono il mezzo utilizzato per veicolare il senso e per dare significato (secondo quel “senso”) alle azioni che essi compiranno. Tuttavia, oggi siamo chiamati a fare i conti con un fatto storico di grande rilievo. “Per la prima volta nella storia – scrive l’autore Federico Batini a pagina 2 sulla scorta delle argomentazioni dei sociologi Beck e Bauman – ciascuno è chiamato a costruire nel corso della propria vita comportamenti, significati, identità” senza disporre di “grandi narrazioni” di riferimento. In passato, infatti, – questa è la tesi di Batini, fondata sul classico saggio di Lyotard sul postmoderno – gli individui disponevano di quadri di valori e di senso che venivano rappresentati in forma narrativa dalla politica e dalla religione e che costituivano un repertorio fondamentale per costruire la propria e altrui identità.
Oggi che le grandi narrazioni hanno esaurito la loro funzione e che le persone sono lasciate in balia delle micro narrazioni elargite dalle agenzie narrative più potenti che siano mai esistite – a cominciare dalla televisione, che fagocita le narrazioni giornalistiche, cinematografiche, musicali, ecc. – occorre divenire consapevoli delle storie utilizzate per esercitare il controllo sui desideri e i bisogni e delle storie che ciascuno di noi usa per controllare se stesso, per orientare le proprie azioni, per fare le scelte e per dare un senso alle proprie azioni. Oggi, nell’ambito dell’educazione e in particolare dell’orientamento, occorre tener conto di questa novità mettendo a disposizione delle persone strumenti in grado di rendere gli utenti “autori della loro vita”.

Il libro, organizzato in tre parti – 1. I motivi, gli scenari; 2. Orientamento e narrazione; 3. Orientarsi con l’orientamento narrativo – ha un impianto argomentativo solido, che procede dall’analisi del contesto e del quadro teorico di riferimento verso un progressivo approfondimento dei metodi e delle pratiche funzionali a sviluppare le competenze fondamentali a auto-orientarsi.
Tra gli argomenti della prima parte mi pare opportuno sottolineare la centralità assegnata da Batini alla “predizione” e, in particolare, al legame tra predizione e comportamento. Batini, infatti, evidenzia con numerosi esempi il significato dei comportamenti che ciascuno di noi assume nella vita quotidiana allo scopo di esercitare (o illudersi di esercitare) un controllo sul futuro. Oroscopi, preghiere, scongiuri e altri riti sono gli strumenti che testimoniano l’esistenza del bisogno diffuso di raccontarsi il futuro e, quindi, di addomesticarlo. A partire da questo argomento, Batini illustra i principali cambiamenti che hanno portato le persone e le comunità a vivere il futuro come un problema e, soprattutto, a rappresentarlo come tale attraverso “visioni catastrofiste, centrate sulla paura, sul timore”, non funzionali al bisogno di controllo. È in questo quadro che andrebbero rivisti e riposizionati gli attuali sistemi dell’istruzione e della formazione, considerati inadeguati alla sfida di rendere le persone autonome, consapevoli del proprio potere e capaci di esercitare un controllo sul futuro. Eppure la ricerca scientifica ci dimostra da più parti come sia possibile esercitare competenze specifiche, quelle che chiamiamo competenze di autorientamento, che consentono di fronteggiare e gestire le situazioni, di regolare i propri processi cognitivi, di immaginare e progettare il futuro, di tradurre le intenzioni in azioni e, in sintesi, di “guidare l’utilizzo delle altre competenze in modo consapevole”.
La seconda parte del volume si occupa quindi di orientamento e, nello specifico, di quegli elementi della narrazione che sono ritenuti utili al processo di autorientamento e allo sviluppo delle competenze orientative. Dopo aver analizzato le caratteristiche fondamentali del pensiero narrativo e delle storie intese come strumenti per produzione culturale di significati, Batini passa a documentare il rapporto esistente tra la narrazione e l’autoefficacia per mettere in evidenza il ruolo delle storie nella facilitazione di comportamenti proattivi, e il ruolo della narrazione nella medicina e, in generale, nei processi di guarigione e nella co-costruzione di sé, del proprio benessere, della propria esistenza. Infine, l’autore cerca di ridefinire il concetto stesso di orientamento alla luce di quanto emerso fino a questo punto. “L’orientamento – si legge a pag. 119 – è quel processo attraverso il quale riusciamo a scegliere una direzione per la nostra vita e ad imprimergliela, a muoverci nella vita professionale, formativa, navigando con la capacità di fare scelte continuamente, cambiando persino quella direzione, trovando percorsi alternativi o insistendo in presenza di ostacoli, ridisegnando la traiettoria personale e contribuendo in modo efficace e proattivo a quella di una comunità”. Niente a che vedere dunque col marketing scolastico e universitario, con il “consiglio orientativo” dato dalla scuola alla famiglia di un alunno o con l’erogazione di informazioni. L’orientamento non è un processo che si può delegare a esperti o affidare a strumenti psicometrici che definiscano l’area professionale o formativa nella quale si suppone che una persona raggiunga un profitto maggiore.
La terza parte è interamente dedicata all’orientamento narrativo, una metodologia di orientamento formativo ideata dallo stesso Batini nel 1997 e messa a punto negli ultimi quindici anni attraverso numerose sperimentazioni e ricerche svolte in ambito nazionale. La metodologia si basa sull’idea che attraverso l’utilizzo di strumenti narrativi – letture, ascolti e visioni, racconti orali, giochi di ruolo, scrittura creativa individuale e di gruppo, autobiografia – sia possibile imparare a gestire le scelte e a costruire la propria vita. “L’orientamento narrativo – scrive Batini – non suppone una scelta adeguata, non prefigura un orizzonte di senso univoco, non pensa di poter asserire che vi sia una scelta giusta ed una scelta sbagliata, crede invece che la costruzione della storia di vita (formativa, professionale, esistenziale) di un soggetto richieda delle competenze che permettano una sensazione di controllo, una percezione di efficacia, capacità di manipolazione delle narrazioni interne ed esterne per l’attribuzione di senso e significato da parte del soggetto medesimo, in direzione di una sorta di disvelamento e costruzione di se stessi e della propria esistenza. In realtà le narrazioni ci abitano in misura molto maggiore di quanto crediamo (senza che ne abbiamo coscienza) e, vista la quantità di narrazioni disponibili un compito fondamentale diventa la capacità di usarle, di modificarle, di conoscerle, di costruirle in modo plurale, per comprendere noi stessi e gli altri, per immaginare il futuro che vogliamo ed iniziare a costruirlo”.
Se il mondo non fosse ancora finito, quindi, sarebbe il caso di cominciare a darsi da fare e costruirne uno (o molti) in grado di soddisfare i nostri desideri.

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Simone Giusti

ricercatore, insegna didattica della letteratura italiana all’Università di Siena, è autore di ricerche, studi e saggi sulla letteratura italiana, sulla traduzione, sulla lettura e sulla didattica della letteratura, tra cui Insegnare con la letteratura (Zanichelli, 2011), Per una didattica della letteratura (Pensa, 2014), Tradurre le opere, leggere le traduzioni (Loescher, 2018), Didattica della letteratura 2.0 (Carocci, 2015 e 2020), Didattica della letteratura italiana. La storia, la ricerca, le pratiche (Carocci, 2023). Ha fondato la rivista «Per leggere», semestrale di commenti, letture, edizioni e traduzioni. Con Federico Batini organizza il convegno biennale “Le storie siamo noi”, la prima iniziativa italiana dedicata all’orientamento narrativo. Insieme a Natascia Tonelli condirige la collana scientifica QdR / Didattica e letteratura e ha scritto Comunità di pratiche letterarie. Il valore d’uso della letteratura e il suo insegnamento (Loescher, 2021) e il manuale L’onesta brigata. Per una letteratura delle competenze, per il triennio delle secondarie di secondo grado.

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