È una riflessione che Virginia Woolf (1882-1941) consegna al suo Diario di una scrittrice, e che la linguista Maria Luisa Altieri Biagi sapientemente rievoca nella sua “gemma” dedicata al termine Parola: un piccolo e prezioso libro (Rosenberg & Sellier, 2012) scritto per raccontare quanto la parola sia decisiva per dare forma al pensiero e all’immaginazione. “Non sono soltanto i concetti astratti (verità, onore, gioia…) ad aver bisogno di un perimetro linguistico che li individui e li distingua da altri; – scrive Altieri Biagi – anche oggetti visibili, toccabili, percepibili dall’udito, dall’odorato, dal gusto (compresi i poco evocativi merluzzo e salsicce) esistono solo se – simbolizzati dal loro nome – entrano nel nostro circuito mentale”.
Ripenso alla lista di parole in maiuscolo stampato, riportate in una scheda incollata sul quadernone, che oggi mia figlia, in prima elementare, ha diligentemente copiato e letto più volte. Si tratta di parole che contengono le sillabe su, so, sa ecc. Tra queste mi colpisce usura. Le chiedo se sappia cosa significhi. Mi risponde, candidamente, di no. Non è semplice spiegarglielo. Intanto devo scegliere a quale significato fare riferimento: l’attività di chi presta denaro a un interesse alto, o il consumo dovuto al logoramento. Lascio perdere il primo (l’altro giorno mi ha prestato un euro, non vorrei che imparasse a chiedermene indietro due). Per tradurre il secondo in una lingua più concreta, mi ispiro alle tecniche di definizione di Addizionario, un dizionario per bambini scritto da bambini delle elementari, sviluppato presso l’ILC-CNR di Pisa. Provo così: “una scarpa si usura quando la suola si consuma per il troppo camminare”. Sembra aver capito.
Non mi pare, comunque, una parola a misura di bambino. E poi, si tratta di una parola fondamentale della nostra lingua? Per assicurarmene consulto il GRADIT, il Grande Dizionario dell’italiano a cura di Tullio De Mauro (UTET, 1999), che affianca a ogni parola accolta nel dizionario la marca d’uso, ovvero un simbolo che identifica l’appartenenza delle parole al cosiddetto “vocabolario di base”: l’insieme delle 7000 parole circa che tutti noi usiamo in larga misura quando parliamo e scriviamo – le parole più frequenti della nostra lingua, insomma. Si tratta di una parola comune, ma non fondamentale.
Controllo anche un altro strumento, disponibile anche online (sul sito dell’ILC-CNR di Genova): il Lessico elementare (Zanichelli, 1994), un lessico di frequenza delle parole più conosciute dai bambini della scuola elementare, sia lette sia scritte: né i bambini, né i loro libri di testo, parlano di usura.
Provo a fare una ricerca avanzata sulla versione in cd-rom del GRADIT: voglio sapere se, oltre a usura, ci sono altri termini che contengono la sillaba su ma che sono più frequenti in italiano (che hanno cioè la marca d’uso “fondamentale”): trovo (oltre a misura, che è già compresa nella lista) nessuno, consumare, risultato ecc. È giusto che i libri di testo parlino una lingua più ricca e complessa rispetto a quella della comunicazione quotidiana: solo così possiamo arricchire il nostro vocabolario passivo (l’insieme di parole che siamo in grado di capire) e attivo (l’insieme di parole che siamo in grado di usare con padronanza). Ma quando si tratta di imparare a leggere e scrivere, forse, merluzzo e salsicce funzionerebbero meglio. Perché “un’idea senza parola ci sfugge” – notava già Leopardi – ma anche una parola senza idea rischia di girare a vuoto nella mente.