Conoscere le cornici. Per una didattica reattiva della letteratura

Tempo di lettura stimato: 23 minuti
Il saggio, pubblicato nel QdR 17 “Le risorse della letteratura per la scuola democratica”, a cura di S. Giusti e N. Tonelli, Loescher, Torino 2024, pp. 15-26, rielabora l’intervento tenuto dallo stesso autore al convegno omonimo tenutosi all’Università degli Studi di Siena il 23-25 novembre 2022.

1. Servono per vivere. Per un’immagine estesa e situata dei lettori

Comincio da una personale convinzione profonda: il vantaggio che dà il ragionare di letteratura sul terreno didattico a partire da una prospettiva funzionalistico-relazionale, pragmatica. I testi letterari, gli atti linguistici “servono per vivere”: lo ricorda nitidamente un’affermazione calviniana nell’intervista a Ferdinando Camon, alla quale sono affezionato: «Sono un tecnico del materiale verbale e immaginativo e mi occupo degli appetiti di parole scritte, di storie raccontate, di figure mitologiche: tutta roba non meno essenziale del cibo, com’è noto»[1].

Guardare alla “letteratura” come a un insieme di manufatti verbali raffinati ed efficaci allestiti secondo una vasta tipologia di fogge, di vario grado di complessità, che rispondono in differenti maniere a nostri bisogni primari, di tipo mentale, immaginativo, aiuta a riconoscere sul serio il ruolo della letteratura come attività sociale non accessoria. Quello letterario non deve essere pensato come uno spazio separato, suggestivo, prestigioso, ma ad alto rischio di chiudersi in un isolamento d’eccellenza, dove le rivendicazioni di autonomia rischiano di tradursi in varie forme di confinamento nella gratuità.

Per dare alla letteratura una presenza più incisiva e vitale nella scuola, la prospettiva che più può aiutarci è quella – che ho appreso da Vittorio Spinazzola e Franco Brioschi – che mette al centro dello studio e dell’azione culturale l’interazione fra testo e lettore, intendendoli come elementi di un sistema, di un reticolo di soggetti e di pratiche attraverso cui l’attività e l’esperienza della letteratura si dispiega e vive socialmente.

Per una didattica che si sviluppi secondo questa visione è necessaria innanzi tutto un’immagine estesa e situata di lettori e pubblici. Si tratta di non considerare il lettore quale operatore intellettuale astratto che garantisce il funzionamento più adeguato del congegno artistico realizzato da chi scrive, e quale individuo standard le cui caratteristiche corrispondono ai diversi stadi del percorso di apprendimento, ma come soggetto leggente, nella concretezza delle sue determinazioni sociali, psicologiche, culturali, nella sua storia particolare, con la sua dinamicità interna. In questo senso potrebbe essere vantaggioso avanzare una possibile distinzione operativa fra “la lettura” e “il leggere”. Riservando al primo termine il compito di indicare il rapporto diretto con il singolo testo – di comprensione, interpretazione, appropriazione –  e ricorrere invece al secondo per designare tutto l’insieme complesso di azioni che configurano il profilo e la storia di un lettore.

Una parte davvero irrinunciabile della didattica della letteratura consiste infatti nel creare e consolidare l’abitudine al leggere, aiutare il lettore in formazione all’orientamento nel mondo testuale, alla scelta delle opere, guidare alla conoscenza consapevole degli ambienti testuali e mediali nei quali i testi possono essere reperiti e fruiti.

Se vogliamo sul serio costruire lettori non dobbiamo pensare che il compito sia solo quello di condurre a una comprensione attiva delle opere. Non possiamo dimenticare che quel lettore, se il lavoro svolto nel percorso d’insegnamento è stato efficace, continuerà a leggere anche dopo. E in seguito il suo itinerario di lettura non avrà più un contesto/canale specifico di alimentazione testuale fornito dalla scuola, pur con tutti i caratteri di artificialità e costrizione che di sovente quel canale viene ad assumere.

Nel 2001 La modernità letteraria di Vittorio Spinazzola si apriva significativamente con un brevissimo Prologo, intitolato Leggere e saper leggere[2], allestito come un decalogo imperfetto, di sette principi soltanto, che mi pare continui a meritare una larga diffusione nel mondo scolastico, come sintetico strumento di invito a guardare a chi legge in maniera pienamente contestualizzata, a sentirlo da subito come parte del contesto culturale concreto in cui, consapevolmente o no, tutti gli atti di fruizione prendono forma, nella pluralità di ambienti e soggetti in cui si dispiega. Il primo dei diritti del lettore elencati da Spinazzola è peraltro quello a una «formazione scolastica» che gli permetta di «saper leggere», ovvero di «intendere adeguatamente il sistema di norme linguistico-letterarie secondo cui i testi che gli interessano sono stati scritti, e apprezzare con proprietà le intenzioni espressive di chi li ha creati». Una formazione al comprendere e al giudicare, con il riconoscimento delle tante gamme che l’apprezzamento e l’interessamento testuale porta con sé, e che meritano tutte attenzione da parte di chi insegna, di chi guida all’esperienza del leggere.

2. Insegnare gli effetti di lettura, far sperimentare le virtù del letterario

Nel lavoro sul testo una didattica dell’attivazione e reattività deve indirizzarsi sulla messa in luce degli effetti. Deve saper dare risalto a quel che le opere riescono a produrre nei lettori, a come contribuiscano a rimodulare la nostra visione delle cose, ci spingano a compiere delle operazioni che toccano aspetti salienti della nostra identità. E al tempo stesso deve aiutare a comprendere come questi effetti, le azioni – conoscitive, emotive, etiche – che i testi ci chiamano a fare siano preziose per imparare a non dare per scontate le idee correnti, servano per una manutenzione dell’indispensabile capacità di immaginare il diverso.[3]

In questo senso mi pare opportuno progettare e proporre in modo più diffuso momenti didattici con intento di azione motivante, brevi attività pensate per far conoscere e sperimentare – in breve, nel poco, ma con intensità – le virtù della letteratura. Dunque non dandone per scontato il valore e provando a far capire perché per leggere bene serve una strumentazione tecnica di qualche tipo, abbastanza o parecchio raffinata. Che deve essere percepita come preziosa innanzi tutto per rivelare i meccanismi dei loro effetti modificanti su chi legge, non per mostrare l’eccellenza dell’artefice, ossia secondo la prospettiva che ancora ispira perlopiù il modo di vedere l’insegnamento del nostro patrimonio letterario, e anche quella che di solito gli studenti più consapevoli tendono a far propria.

Si tratta insomma di guidare a un’interazione più esperienziale con il testo. Da realizzare però – è un punto nevralgico – non in modo predominante come un confronto con i temi, ma dando rilievo alla centralità delle forme (è per loro, non per “i contenuti” infatti che si sceglie di leggere un racconto, un romanzo, una lirica e non un testo filosofico, psicologico o sociologico). Cercando piuttosto di mostrare come la presenza dei contenuti in letteratura conti perché la scelta e la disposizione delle parole, l’allestimento e lo sviluppo delle strutture (come i personaggi, lo spazio, il tempo, l’intreccio) li presenta e fa percepire in un modo peculiare, più limpido, coinvolgente, spiazzante di quanto permettano altre tipologie di discorsi.

Sul terreno dell’arricchimento degli strumenti di analisi un’altra mossa indispensabile per far sì che le nostre non siano didattiche dell’allontanamento dalla letteratura è la scelta di avvicinarsi al testo secondo percorsi mirati e specifici, maneggiando con circospezione le analisi a largo spettro come quelle che spesso invece fanno la parte del leone nei manuali; esercizi che tendono a proporre, nella loro struttura, l’immagine (inarrivabile e piuttosto antipatica) di un superstudente in grado di muoversi con piena disinvoltura, alta consapevolezza e rapidità di esecuzione su ogni dimensione dell’opera.

Una didattica dell’attivazione e della reattività deve poi mettere in discussione gli stereotipi, cominciando da quelli che riguardano l’immagine della disciplina. Si tratta, nel rapporto con le classi, di prendere atto dell’idea di letteratura acquisita dagli studenti, fra percorso di studio, esperienze personali, immagini veicolate dal sistema dei media. Con il proposito di arricchire e articolare il profilo del letterario nella mente dei nostri studenti. Anche attraverso un lavoro motivante da non sviluppare soltanto (secondo una pratica codificata, un poco rituale) all’inizio dei percorsi (d’anno o di ciclo). Per mostrare, far sperimentare, che ne vale la pena.

Provo allora a tracciare un viaggio breve attraverso alcune parole chiave e citazioni (critico-metodologiche e d’autore / di critici e scrittori), che possano offrire spunti di prospettiva, centri d’attenzione e inneschi per una progettazione didattica che metta in primo piano alcune virtù della scrittura letteraria.

3. Mondo, cornice, confine, segnetti neri. La spettacolarità povera e libera della letteratura

3.1 Mondo

L’idea di mondo testuale presuppone che il lettore costruisca nell’immaginazione un complesso di oggetti indipendenti dal linguaggio, utilizzando come guida le dichiarazioni testuali ma trasformando questa immagine sempre incompleta in una rappresentazione più vivida grazie al contributo dell’informazione offerta da modelli cognitivi interni, meccanismi inferenziali, reali esperienze di vita e conoscenze culturali, incluse quelle fornite da altri testi.[4]

Il passo è tratto da un libro di Marie-Laure Ryan, che in tanti scritti critici ha ragionato sul trattamento letterario dello spazio e ha proposto un’idea di fruizione come costruzione, anzi costruzione esplorante di un mondo di finzione. È una prospettiva che mi pare ricca di potenzialità didattiche. Guardare agli scrittori come fabbricanti di mondi, ai testi come mondi da scoprire, è una maniera di affrontare/proporre le opere e le esperienze che ci consentono di compiere, non inedita ma ancora poco diffusa nella scuola, in grado di dialogare con efficacia con l’immaginario e le abitudini di fruizione dei giovani. Penso per esempio al ruolo che la percezione di entrare in un mondo con caratteristiche peculiari ha nell’esperienza videoludica, a come – in non poche occasioni – il fascino del gioco risieda in larga misura nell’esplorazione di un mondo più volte allestito come un universo aperto.

In questa direzione di lavoro, nella propria scatola d’attrezzi per l’insegnamento, può essere utile abituare gli studenti a guardare gli oggetti narrativi secondo una prospettiva duplice: invitare a considerarli da un lato, appunto, come mondi di finzione, modellati da personaggi, ambiente (gli esistenti, con il termine di Chatman) e tempo in divenire (non soltanto “contenuti”, ma ancor di più dispositivi strutturali), dall’altro lato pensarli come tessuti di parole e intrecci di voci e punti di vista, ricordando – e cercando ogni volta di mostrare – come il romanzo costituisca la sua specificità nel sistema dei discorsi culturali proprio nella capacità di presentare una serie di ragionamenti in forma rappresentativa attraverso un ventaglio di prospettive[5].

Le parole di Marie-Laure Ryan sono all’insegna della centralità del lettore, di uno studio dell’esperienza di lettura; danno testimonianza di una nuova direzione di indagine negli studi narratologici che a lungo si erano mossi con interesse quasi esclusivo per il testo e i soggetti che lo producono; infatti «solo a partire dalla metà degli anni Novanta, attraverso l’incontro con le scienze cognitive», i narratologi, riprendendo in diversa chiave alcune linee di ricerca già sviluppate sul terreno dell’estetica della ricezione, hanno cominciato a indagare sistematicamente i meccanismi del leggere considerando i dati dell’opera (le «dichiarazioni testuali») «come delle “tracce per creare e implementare i mondi della storia” (Herman). Come se fossero dei mattoncini, per usare un’altra metafora, che il lettore assembla per dare forma a ciò che legge»[6].

3.2 Cornice

Secondo Jurij Lotman l’opera d’arte è «uno spazio in qualche modo circoscritto, rappresentante nella sua finitezza un oggetto infinito». L’affermazione offre uno spunto prezioso per dire incisivamente della ricchezza dell’operazione artistica, anche di quella letteraria, realizzata attraverso la costruzione di un oggetto incorniciato (per la letteratura «fra l’inizio e la fine»). Il testo, non soltanto quella figurativo, ha una decisiva dimensione visuale:

Il particolare carattere della concezione visiva del mondo, propria dell’uomo, e per cui, nella maggioranza dei casi, denotati alcuni segni verbali, per gli uomini sono alcuni oggetti visibili nello spazio, porta ad una determinata interpretazione dei modelli verbali. Il principio iconico, la chiarezza di rappresentazione visiva sono propri anche ad essi in tutto e per tutto.

«La lingua dei rapporti spaziali» è infatti «uno dei mezzi fondamentali di comprensione della realtà» e «costruire lo spazio è un’operazione (…) di valutazione del reale». Le parole di Lotman consentono di indicare nitidamente il potere d’incorniciamento del testo, di dire della formidabile forza di compressione che può agire in oggetti di mole ridotta, come sono perlopiù i testi e i libri, in grado però di sviluppare scenari vastissimi (nello spazio e nel tempo). E altrettanto ricordano quanto l’esperienza della spazialità e del visivo sia tutt’altro che secondaria in letteratura, anzi sia un asse maggiore nell’esperienza di lettura.

La cornice separa il testo dagli altri testi, testo ed extratesto (Lotman), è confine che divide il «mondo scritto» dal «mondo non scritto» (Calvino)[8]. Perché

L’atteggiamento estetico, così come l’immaginazione, ha bisogno di cornici. Cornici istituzionali, o in altri termini, cornici rituali, o cerimoniali, al cui interno, protetti, possiamo scrutare a nostro piacimento le pieghe e i risvolti delle nostre impressioni, allentare le nostre resistenze all’emotività, piangere, ridere, infuriarci, assumere identità plurime e abitare cronotopi differenti da quelli in cui ci troviamo.[9]

Ma la cornice, altrettanto, congiunge. È lo spazio d’ingresso nel testo: la soglia. O meglio, è anche quel sistema di spazi d’entrata e d’uscita che è stato definito paratesto, con le funzioni di presentare l’opera e orientare l’atto di lettura[10]. Sono zone ad alta densità semantica, previste da chi scrive per dare luce ad alcuni punti nodali della propria operazione di scrittura. Indicano aspetti salienti dell’atteggiamento di lettura e segnalano un posizionamento storico-letterario: coordinate di genere, destinatari elettivi, grado di finzionalità, caratteri tematici primari, facoltà e modalità percettive che il lettore deve mobilitare (in primo luogo sul doppio asse empatia/distacco e comico/tragico).

La cornice paratestuale è così un terreno didatticamente nevralgico. Ragionare con gli studenti su titoli, frontespizi, avvertenze, introduzioni, dediche, incipit e finali consente di lavorare – nel regime della brevità così prezioso per la realizzazione concreta di percorsi di studio – grazie a sintetici ed efficaci testi-indicatore (che favoriscono inoltre evidenza e memorabilità).

L’analisi delle aree peritestuali (dispositivi verbali e forme grafiche interni all’opera, inclusi nell’oggetto libro) ed epitestuali (discorsi sull’opera a essa esterni, con collocazione editoriale in altra sede, privata o pubblica, come le lettere o le interviste) rivela una spiccata utilità sia sul versante storico-letterario, sia sul versante critico. E serve come esercizio d’allenamento a una lettura non passiva dei testi d’oggi, fatta di accoglimento esplorativo e vigilanza critica. Un atteggiamento che cerchi di mettere in condizione gli studenti di riconoscere i caratteri delle dichiarazioni degli autori e delle strategie di presentazione di matrice editoriale, con piena consapevolezza del loro intrecciarsi e con abitudine consolidata a confrontarle con i risultati effettivi dell’esperienza di lettura di quel testo.

3.3. Confine

Lavorare sulle cornici aiuta poi ad addestrare le capacità di orientamento nel mondo, di capire dove siamo quando stiamo facendo qualcosa, più specificamente dove si collocano i discorsi (nostri e altrui). Questione da sempre capitale e sempre più nella realtà in cui viviamo, radicalmente arricchita e complicata dalla compresenza di dimensioni diverse che l’ambiente digitale permette e di continuo incrementa. È un lavoro prezioso per cercare di far sì che negli studenti scattino subito domande sul tipo di messaggio (testuale o audiovisivo) e contesto comunicativo di fronte al quale vengono a trovarsi; quello che stanno scegliendo o quello in cui si sono imbattuti, per esempio nel flusso di “contenuti” che troviamo già avviati quando premiamo un pulsante del telecomando o che si mettono aggressivamente in moto scorrendo il puntatore del mouse nel sito di Netflix. Serve per educare a una spinta alla identificazione dei contorni del testo, del contenitore che lo veicola e della nostra posizione di lettori (e spettatori) nell’universo testuale-mediale, ad allenare a una prima vista delle opere e dei messaggi che ci faccia fruitori meno distratti e più padroni delle nostre visioni e letture, “consumatori” meno affidati alla casualità e alle regie altrui.

Analizzare le cornici è così operazione efficace anche per interrogarsi sul posizionamento concreto del soggetto che legge-guarda-ascolta nel sistema culturale di cui fa parte. Sulle coordinate sociologiche, psicologiche, valoriali in cui vive e si riconosce, sulle coordinate mediali del suo atto di lettura, delineabili rapidamente con una serie di domande («Sto leggendo… Su quale dispositivo? Su quale piattaforma? Chi è il soggetto responsabile del contenitore e dei contenuti? Quanto posso considerare autorevole/affidabile questo messaggio? Quale procedura/contributo mi è richiesta/o per fruire dei contenuti e servizi?»), che dovrebbero, almeno in parte, diventare immediato riflesso reattivo del lettore formato.

Il confine però è altrettanto un tratto interno decisivo dell’opera. Della morfologia del mondo che un testo narrativo ci offre, dell’immagine di esperienza umana che un romanzo o un racconto ci consegna. Nell’opera di Mario Soldati passare i confini – in un brano notevole di Viaggio a Lourdes (un reportage esistenziale del 1934, fra le opere migliori della sua prima fase di attività) – è il gesto chiave dello stare al mondo:

ogni volta che varco la frontiera, il cuore mi batte in gola. È lo stesso entusiasmo col quale abbraccio una bella donna, che non sia mia madre o mia sorella. È il piacere dell’evasione, della contraddizione. Il piacere profondo e vitale di cambiare, di espandersi oltre una famiglia, una classe, un paese, una razza. Se uno non è attaccato ad una famiglia, classe, paese, razza, neanche godrà ad uscirne.[11]

Porre in primo piano i confini, la loro dinamica, il poter essere varcati, la loro forza di contenimento è una maniera per far riflettere sulla centralità della trasformazione quale tratto primario della scrittura letteraria della modernità, del suo mettere in scena le identità. Soldati dice qui dei piaceri dell’andare oltre e della contraddizione, sintetizzando emblematicamente i due motori principali delle storie, il cambiamento e il conflitto.

3.4. Segnetti neri

In una sequenza di cartelle dattiloscritte non utilizzate per l’introduzione al libro Idem del pittore Giulio Paolini, che formulano la prima idea articolata di quello che sarà Se una notte d’inverno un viaggiatore, Calvino mette in scena il confronto tra un pittore e uno scrittore, fra lo scrivere e il dipingere:

È uno scrittore che scrive poco, a dire il vero: la più parte del tempo che dovrebbe dedicare allo scrivere la passa fissando un foglio bianco, e cercando di convincersi che questa è la condizione che contiene in sé tutte le soddisfazioni che può dare lo scrivere, ma nello stesso tempo soffrendone, arrabbiandocisi.

Le tele bianche che il pittore espone, le opere che portano appena un segno discreto della sua mano, sembrano allo scrittore nate da un animo in pace con sé stesso, di cui egli vorrebbe catturare il segreto, ma ogni volta il filo spinato delle parole gli sbarra la strada. Bisogna dire che con gli artisti visuali lo scrittore non ha mai avuto buoni rapporti. Forse il suo sentimento dominante verso di loro è l’invidia per la fisicità del loro operare, che egli immagina molto più felice dell’atto dello scrivere. Gli artisti costruiscono degli oggetti che danno soddisfazione come oggetti, mentre lui produce parole impalpabili, inafferrabili ai sensi, sfilze di parole che non sono nemmeno suoni, che transitano solo sui canali della mente, e a vederle fissate sulla carta sono dei segnetti neri senza nessuna attrattiva.

[…] Tra le possibili operazioni del pittore e dello scrittore c’è una differenza fondamentale: il pittore manipola degli spazi, e il tempo resta quello dell’occhio che vede: l’opera è contenuta in uno sguardo, viaggia con la velocità della luce. Può essere letta punto per punto o contemplata indefinitamente: ma ogni secondo dell’indagine o della contemplazione contiene la totalità dell’opera. Lo scrittore manipola il tempo, un tempo speciale che è quello della lettura, interno all’opera. Gli spazi a cui rimanda sono concentrati nella catena delle parole che si sgranano a una a una, sono schiacciati nella giustezza della linea tipografica, mentre il tempo della lettura si dilata e si contrae.[12]

Queste riflessioni all’insegna dell’insoddisfazione per la forma concreta, fisica, dell’arte letteraria, con il loro richiamo alla necessità della compressione e alla capacità di dilatazione e mutamento degli spazi e dei tempi, dicono molto della dinamica costitutiva dell’esperienza di chi scrive e di chi legge letteratura. Ci consentono di sviluppare, di mettere meglio a fuoco, il discorso su alcune peculiarità di quelle esperienze – rispetto a quelle proprie di altri tipi di espressione artistica – che la serie di passi fin qui esaminati ci stanno aiutando a delineare.

Muovendo dai «segnetti neri senza nessuna attrattiva» che trasmettono e conservano le storie possiamo provare a far apprezzare la spettacolarità povera della letteratura, a tessere un elogio misurato e critico della sua forza di suggestione, del potere che le catene di parole manifestano di generare nei lettori – attraverso il bianco e nero e il silenzio – una visione mentale-sensibile. Un vedere senza gli occhi che permette di immergersi non solo in una storia, ma in spazi, ambienti, paesaggi, come d’altra parte nell’intimità dei pensieri di altre persone. Rivelare (grazie a un’adeguata, mirata e agile, strumentazione critica) il fascino di simulazione sensoriale della pagina scritta credo sia una risorsa didattica non trascurabile. Evidenziare anche l’incompletezza costitutiva dei tratti descrittivi forniti dal testo che producono le immagini mentali (sempre troppo parziali rispetto all’elemento di realtà che evocano), un’incompletezza che è al tempo stesso limite della parola artistica e fondamento della alta libertà interpretativa e rappresentativa che la lettura letteraria consente a chi la pratica (per esempio nel completare le sagome dei personaggi). Un vedere senza schermi, più povero e più liberamente creativo di quello.

4. (Dis)educazioni. Parole e identità

Chiudo questo breve itinerario con un altro scrittore, Luigi Meneghello, in vicinanza – come Calvino – di centenario (da poco appena conclusi), e la cui opera ha, come quella di Calvino, notevoli potenzialità d’uso didattico[13]. Della concezione della letteratura di Meneghello si potrebbe a lungo ragionare, ricorrendo anche agli affascinanti e densi testi di autocommento che negli anni l’autore ha affiancato alle proprie opere. L’affermazione «scrivere è una funzione del capire»[14] ne costituisce il cardine. Il valore della scrittura si fonda innanzi tutto nel suo farsi strumento di comprensione del reale: una comprensione non semplificante né totalizzante, ma aperta e problematica, illuminante e limitata.

Meneghello è autore (oltre a molto altro) di un formidabile libro che tutti gli insegnanti dovrebbero leggere, Fiori italiani (Rizzoli, 1976). Un libro di scuole, di studenti e di insegnanti. Che racconta un percorso di acquisizione del sapere, la storia di un lettore, un apprendistato al comunicare, al parlare e allo scrivere, un itinerario di incontri con persone, che svolgono, o dovrebbero svolgere, una funzione di mediazione e guida alla cultura. È la storia di un’esperienza singolare e specifica – quella del protagonista (indicato soltanto con una S.) – nella quale si manifesta quella dell’autore, ma anche il ritratto generale dell’esperienza scolastica e formativa di una generazione.

Tutto questo Meneghello ce lo racconta con una straordinaria e ironica lucidità critica e autocritica. Traccia il quadro penetrante di quella che è stata la sua, e collettiva, «diseducazione», nata dall’intreccio convergente del modello già ben consolidato dell’educazione tradizionale e delle idee didattico-pedagogiche del fascismo. Un percorso scolastico-formativo che ha segnato in profondità i caratteri, indirizzando le storie di vita. Un’educazione di cui si poteva anche morire[15], un’esperienza che il libro (saggio e narrazione al tempo stesso, come sempre in Meneghello) riesce intensamente a restituire e analizzare, facendoci riflettere e insieme sentire. La capacità di raffigurare l’intrecciarsi della dimensione emotiva a quella della conoscenza nelle situazioni dell’apprendere è un altro degli aspetti migliori dell’opera.

Fiori italiani costituisce anche un ottimo terreno per mostrare agli studenti quella che è forse la prima delle virtù della letteratura: far vedere e sentire quel che gli uomini sanno fare con le parole, come diventano quello che sono attraverso le interazioni verbali, gli incontri/scontri con i discorsi degli altri. La storia dell’apprendistato sbagliato di S. – scolaro, lettore, performer didattico (interrogato o relatore) – è il racconto dei suoi diversi rapporti con la parola degli insegnanti e degli autori dei testi incontrati. La sua vicenda si legge limpidamente attraverso la lente di una prospettiva bachtiniana, guardando al processo di formazione degli individui come un «processo di assimilazione selettiva della parola altrui»[16]. Un itinerario di riconoscimento e adozione delle parole degli altri che può essere di consapevole inclusione e interpretazione autonoma, ma anche di accettazione in varie forme passiva di una parola autoritaria percepita come naturale e indiscutibile. Bachtin ci mette a disposizione un concetto prezioso, per far cogliere ai nostri studenti tutto il valore delle opere letterarie come strumenti potenti per capire come gli uomini, con le parole, costruiscono e modificano le loro identità.


Note

[1] I. Calvino, Colloquio con F. Camon, in Id., Saggi. 1945-1985, a cura di M. Barenghi, Milano, Mondadori, 2005, II, p. 2787.

[2] V. Spinazzola, Leggere e saper leggere, in Id., La modernità letteraria, Milano, il Saggiatore – Fondazione Arnoldo e Alberto Mondadori, 2001, pp. 99-110 (già in «Manifax» dei diritti del lettore, a cura di M. Serri, Napoli, Liguori, 1993).

[3] Su questi temi mi permetto di rinviare a due miei interventi: Allenare all’esperienza testuale. Per una didattica delle azioni e degli effetti di lettura, in La letteratura in cui viviamo. Saggi e interventi sulle competenze letterarie, a c. di P. Giovannetti, Torino, Loescher, 2015, pp. 15-21; Id., Ecchisiamonòi. Letteratura e identità. Per la didattica disciplinare ai tempi della didattica a distanza, «OBLIO», X (2020), 38-39, pp. 248-254; in quelle sedi il tema didattico degli effetti e delle virtù della scrittura sono messi in luce a partire dai testi in due discorsi nati da lezioni d’apertura di corsi di letteratura italiana contemporanea per la laurea triennale.

[4] M.-L. Ryan, Narrative as Virtual Reality 2. Revisiting Immersion and Interactivity in Literature and Electronic Media, Johns Hopkins University Press, 2015, edizione Kindle, posizione 1242. Una efficace introduzione alle questioni del trattamento dello spazio in narrativa è la voce Space, in The living handbook of narratology, 2012 e 2014 (https://www-archiv.fdm.uni-hamburg.de/lhn/node/55.html). Si legga anche G. Iacoli, Localizzare. Sull’uso delle mappe per l’interpretazione e la didattica della modernità letteraria, in Lector in aula. Didattica universitaria della letteratura italiana contemporanea, a cura di B. Falcetto, Pisa, ETS, 2020, pp. 83-101.

[5] L’espressione intreccio di voci riprende il titolo di un libro di Cesare Segre, Intrecci di voci. La polifonia nella letteratura del Novecento, Torino, Einaudi, 1991, in cui è centrale, come dichiara il sottotitolo, il confronto con il pensiero di Michail Bachtin. Per un’introduzione alla sua opera T. Todorov, Michail Bachtin. Il principio dialogico, trad. it. di A.M. Marietti, Torino, Einaudi, 1990.

[6] F. Pennacchio, cfr. il paragrafo La centralità del lettore, in Il racconto, in Id., Percorsi di teoria e comparatistica letteraria, a cura di S. Sini e F. Sinopoli, Milano-Torino, Pearson, 2021, p. 169. Il volume nel suo insieme costituisce un chiaro e aggiornato strumento per un consolidamento e aggiornamento metodologico.

[7] J. M. Lotman, La struttura del testo poetico, a cura di E. Bazzarelli, Milano, Mursia, 1972, p. 93.

[8] I. Calvino, Mondo scritto e mondo non scritto, ora in Id., Saggi 1945-1985, cit., pp. 1865-1875.

[9] S. Sini, L’esperienza della letteratura (1.1 Sintesi dell’immaginario), in Percorsi di teoria e comparatistica letteraria, cit., p. 5.

[10] Il rinvio ineludibile è a Gérard Genette, Soglie. I dintorni del testo (1987), trad. it di C.M. Cederna, Torino, Einaudi, 1989.

[11] M. Soldati, Viaggio a Lourdes, in Id., America e altri amori. Diari e scritti di viaggio, a cura e con un saggio introduttivo di B. Falcetto, Milano, Mondadori, 2011, p. 230.

[12] I. Calvino, La squadratura. Il dattiloscritto inedito, in G. Paolini, Idem, Milano Electa, 2023, pp. 17-18 e 19.

[13] Proprio in occasione del centenario la maggior parte dei libri di Meneghello sono stati ristampati dalla BUR con nuovi apparati utili per un primo accompagnamento alla lettura.

[14] L. Meneghello, I piccoli maestri, a cura di F. Caputo, introduzione di M. Corti, BUR, Milano, 2022, p. 359.

[15] «Devo dire ora che questo “giovane” da libro di lettura capovolto [è Cesare Bolognesi amico di Meneghello, che partirà volontario per la guerra morendo in Grecia nel 1942], questo prodotto di un’educazione di cui si moriva» (L. Meneghello, Fiori italiani, a cura di F. Caputo, introduzione di T. de Mauro, BUR, Milano, 2022, p. 200).

[16] M. Bachtin, Estetica e romanzo, Torino, Einaudi, 1975, p. 149.

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Bruno Falcetto

insegna Letteratura italiana contemporanea all’Università degli Studi di Milano. Ha curato per i Meridiani Mondadori i tre volumi di Italo Calvino, Romanzi e racconti con Claudio Milanini e Mario Barenghi, i Romanzi e saggi di Ignazio Silone, le opere di Mario Soldati (Romanzi, Romanzi brevi e racconti, America e altri amori. Diari e scritti di viaggio). Nel 2023 ha curato Un dio sul pero, raccolta di racconti e apologhi di Italo Calvino degli anni Quaranta. È membro del comitato direttivo del Laboratorio Calvino ed è tra i curatori del convegno internazionale di studi Calvino guarda il mondo. Pluralità, coesione, metamorfosi.

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