Orientare l’orientamento: rischi, confusione, opportunità

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Se intendiamo l’orientamento come un processo formativo progressivo, volto a facilitare la conoscenza di sé, a esercitare un controllo sulla propria vita e a diventare cittadini attivi e responsabili, la scuola è il luogo privilegiato dove praticarlo. A patto di conoscerne paradigmi, strumenti, e anche un po’ di storia.

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Cosa ti piacerebbe fare da grande, figliolo? Venni colto alla sprovvista. Non avevo mai avuto dubbi su cosa avrei fatto. Avrei continuato a fare il contadino. Avrei coltivato quello che era possibile e me la sarei cavata nel migliore dei modi, proprio come aveva fatto papà. Mi resi conto che forse avevo la possibilità di scegliere e, di fronte a quella domanda, mi accorsi anche di avere una risposta.
J. Lansdale, Lultima caccia, trad. it. di S. Pezzani, Einaudi, Torino, 2018, p. 15.

 

L’emersione del paradigma formativo

La citazione è tratta da uno dei brani utilizzati per comporre tre fortunati volumetti da leggere e compilare, preferibilmente in gruppo, che, nel 2013, con Simone Giusti, abbiamo pubblicato per l’editore Loescher, Non mi vedo, Non so che fare, Non mi importa di voi. Si tratta di piccoli libri che propongono l’utilizzo di storie con la scelta di brani antologici, e insieme l’invito a riferirsi ai testi completi, per sviluppare e/o allenare le competenze di orientamento, di quelle emotive, e per sollecitare l’auto-orientamento, la riflessività e le competenze di cittadinanza. Per ognuno dei brani proposti si fa corrispondere un’attività da svolgere insieme, a scuola, e sulla quale poi confrontarsi attraverso attività di socializzazione, nel quadro del metodo dell’orientamento narrativo. I testi sollecitano e attivano immedesimazioni e associazioni con la propria esperienza, le attività consentono di parlare di sé e di riflettere, sollecitano e allenano le proprie competenze e permettono un confronto con gli altri a un livello profondo, con il guadagno delle numerose opzioni a disposizione, con l’acquisizione delle strategie di azione e dei modi di guardarsi degli altri, con la moltiplicazione dei punti di vista.

L’orientamento narrativo è un metodo di orientamento nato in Italia alla fine degli anni Novanta, che si inquadra pienamente all’interno dell’attuale paradigma dominante la ricerca e la riflessione sull’orientamento: il paradigma formativo. Pensare all’orientamento oggi significa rappresentare un processo formativo e progressivo, volto a facilitare la conoscenza di sé, delle proprie rappresentazioni (le attribuzioni di significato) nel contesto occupazionale, sociale, culturale ed economico di riferimento, delle strategie (consapevoli o inconsapevoli) che ciascuno di noi mette in atto per relazionarsi e intervenire sulla propria realtà, con una finalità complessiva di sviluppo delle competenze necessarie a definire autonomamente obiettivi personali e professionali legati alle proprie aspirazioni e motivazioni e a progettare i percorsi per raggiungerli. Questi obiettivi dovranno fare i conti con la realtà nella quale viviamo o con la nostra disponibilità e possibilità di modificare quella realtà e di spostarci per aderire ai nostri progetti. Le competenze sollecitate dai processi di orientamento dovrebbero metterci in grado di elaborare (e di ripensare, rielaborare) un progetto di vita e agire in modo conseguente alle scelte relative.

L’orientamento formativo ha origine dai modelli educativi sviluppatisi fin dagli anni Settanta del secolo scorso, ma ha conosciuto importanza e sviluppi sempre maggiori negli ultimi due decenni, trovando progressive consonanze anche da sguardi disciplinari differenti. L’obiettivo comune a quanti aderiscono a questo paradigma, pur nella pluralità dei metodi, è quello di sviluppare o rinforzare le competenze orientative delle persone con le quali si lavora, dare occasioni e strumenti per la costruzione della propria identità, svilupparne l’autonomia, in modalità prevalentemente, ma non esclusivamente, gruppale (senza dubbio in una logica processuale possono essere rilevanti momenti di consulenza, sostegno, monitoraggio e approfondimento individuale). Per semplificare: anziché accompagnare o informare qualcuno rispetto a fare una scelta, si cerca di facilitare lo sviluppo e l’allenamento di quelle competenze che consentono di progettare il proprio futuro e di renderlo praticabile.

Una storia lunga 120 anni

Se la riflessione e la ricerca sull’orientamento sono relativamente giovani, l’orientamento, inteso come un insieme di discorsi e di pratiche finalizzate a guidare e sostenere il soggetto nel proprio progressivo collocarsi nella società e nella comunità, spesso tradotto nella scelta del proprio percorso formativo, poi lavorativo-professionale e di inserimento sociale, è sempre stato presente nelle comunità umane (e anche in alcune comunità animali). L’obiettivo iniziale, far diventare il singolo “utile” e “produttivo”, si accompagnava a un bisogno, nemmeno troppo implicito, di conservazione e preservazione dell’ordine sociale.

In epoca pre-industriale, la funzione di orientare era svolta a seconda delle organizzazioni sociali dal nucleo familiare, in particolare dai membri più anziani dello stretto nucleo familiare, o da soggetti ritenuti più “esperti” della piccola comunità di riferimento o del gruppo. Storicamente, specie in paesi come l’Italia, una funzione fondamentale in questo senso è stata rivestita dalla Chiesa, con il surplus della caratterizzazione valoriale dei consigli e delle indicazioni fornite e con la scivolosa ambiguità dell’incrocio tra precetti morali e desideri e aspirazioni individuali, a tutto vantaggio dei primi. Le aspirazioni, si può forse azzardare, nemmeno esistevano: l’orizzonte dei desideri, infatti, veniva sgombrato attraverso la limitazione delle possibilità e la reiterazione di modelli di vita e di scelte. I figli, tanto per semplificare, seguono le orme dei padri (prima di parlare di figlie e madri passeranno decenni). I modelli di orientamento, fin qui, sono assolutamente impliciti, e possiamo rintracciarne vari gradi di direttività e una maggiore o minore esplicitazione del carattere adattivo. Siamo all’interno di un quadro e di un paradigma dell’orientamento volto al (supposto) interesse dichiarato della società nel suo complesso, in realtà destinato a perseguire l’interesse della coalizione dominante e alla conservazione dei vantaggi e dei privilegi ascritti.

Possiamo parlare di direttività in quanto la famiglia e il contesto culturale e istituzionale di riferimento indicano la strada che l’individuo dovrà percorrere, senza prendere in considerazione in alcun modo le motivazioni e i desideri del soggetto né le sue possibilità. Possiamo parlare di modelli adattivi, in quanto la realizzazione dell’individuo fin qui può avvenire esclusivamente all’interno del contesto socio-economico di origine (spesso anche nello stesso spazio geografico). Migliorare la propria condizione socio-economica di provenienza o determinare il proprio futuro rappresenta un’eccezione. Con l’avvento della famiglia mononucleare, il compito di orientare i giovani si colloca con maggiore precisione all’interno della coppia genitoriale: in particolare, è un compito del padre.

L’orientamento inteso come area di ricerca e riflessione, con l’emersione di un campo di attività professionale, nasce in concomitanza del secondo processo di industrializzazione, e muove i primi passi in aree altamente industrializzate nei primi del Novecento. Nella sua prima fase, l’orientamento come pratica strutturata non è legato allo scopo di sviluppare e supportare il soggetto, piuttosto a ottimizzare il funzionamento e il profitto industriale: si tratta dunque di collocare il soggetto dove si pensa che possa “rendere” meglio.

Nei 120 anni che ci separano dalla nascita e dall’origine dell’orientamento come “scienza” sono stati affrontati e superati paradigmi e modelli di diverso tipo, che hanno lasciato, in modo variegato e non uniforme nel mondo, tracce di sé nelle pratiche. Nei diversi periodi storici, diverse aree disciplinari si sono interessate all’orientamento: la psicologia (con sguardi differenti), le scienze dell’educazione e, in particolare, la pedagogia, la sociologia, l’economia.

Molto spesso, a sguardi disciplinari diversi corrispondevano idee di orientamento diverse, finalità diverse, diverse modalità operative in cui tradurlo.

Gli ultimi venti anni hanno visto il progressivo affermarsi anche in Italia del paradigma formativo dell’orientamento, con la straordinaria convergenza dei vari sguardi disciplinari, ma una fatica ancora evidente dal punto di vista delle pratiche.

Il paradigma formativo nella scuola

La scuola, in particolare la scuola pubblica, è il luogo nel quale una società democratica garantisce il proprio funzionamento e la possibilità, per tutti e tutte, di diventare cittadini a pieno titolo e di poter esercitare un controllo sulla propria vita. Risulta dunque evidente il ruolo centrale, esplicito o implicito, della scuola rispetto all’orientamento. La produzione normativa, le circolari e i documenti fin dalla fine degli anni Novanta del secolo scorso, richiamano la scuola all’assunzione di una funzione orientativa non occasionale e non limitata al supporto informativo nei momenti di scelta formativa socialmente definiti né, tantomeno, alla funzione di “indirizzo”, che pratiche come “il consiglio orientativo” paiono suggerire.

Proprio nella scuola (e paradossalmente nelle università) si vede all’opera lo scarto tra le finalità assegnate all’orientamento, le conoscenze che abbiamo acquisito sui processi orientativi e le pratiche. Sopravvivono infatti pratiche saldamente agganciate a modelli informativi, direttivi e adattivi di orientamento. Da questo punto di vista appare, ad esempio, ancora ampiamente da esplorare il ruolo svolto da alcune modalità di valutazione nell’orientamento direttivo implicito dei soggetti.

Il Decreto n° 328 del 22 dicembre 2022 riforma l’orientamento a scuola e introduce e stabilisce delle Linee guida per l’orientamento. Le Linee guida rappresentano, per le istituzioni scolastiche, l’occasione per il ripensamento complessivo dell’azione didattico-valutativa e orientativa. Queste traducono operativamente la riforma dell’orientamento disegnata dal PNRR, con lo scopo esplicito di rafforzare il raccordo tra primo e secondo ciclo di istruzione e formazione e di diminuire la dispersione scolastica.

Il documento assume esplicitamente una centratura sul paradigma formativo dell’orientamento. Si propone infatti come occasione per ridefinire complessivamente le pratiche didattiche e valutative, collocando le studentesse e gli studenti al centro, ascoltando, offrendo occasioni per la crescita, lo sviluppo e l’empowerment e rovesciando, finalmente, il rapporto tra studenti e discipline.

La novità importante costituita dalle Linee guida è la definizione specifica di un monte orario rilevante, trenta ore per ciascun anno nell’intero percorso delle secondarie di primo e secondo grado, dedicato all’orientamento, scelta che è, tuttavia, in continuità con i documenti e le direttive che dagli anni Novanta assegnano alla scuola un ruolo fondamentale nel sostenere lo sviluppo della conoscenza di sé, della capacità di immaginare e progettare il proprio futuro liberi da vincoli e predeterminazioni, e la maturazione delle competenze di auto-orientamento.

La definizione di un percorso di formazione orientativa per ciascun anno dalla classe prima della secondaria di primo grado e l’esplicitazione del bisogno di attivare sollecitazioni e stimoli in questa direzione fin dalla scuola dell’infanzia richiamano, implicitamente, alla definizione di curricoli di orientamento in verticale, che favoriscano l’emersione di progettualità consapevoli e ponderate, che valorizzino le potenzialità e le identità degli studenti, nonché contribuiscano alla riduzione della dispersione scolastica e favoriscano l’accesso alle opportunità formative dell’istruzione terziaria.

Sciogliere le confusioni, gestire i rischi e cogliere le opportunità: le Linee guida

L’opportunità di definire curricoli di orientamento in verticale costituisce, potenzialmente, un dispositivo in grado di esercitare una retroazione potente sull’intera esperienza scolastico-formativa rimettendo al centro ragazze e ragazzi, che non sono soltanto i destinatari e il motivo per cui progettiamo e realizziamo il sistema di istruzione, ma debbono esserne, perché l’istituzione scuola possa rispondere alle proprie finalità, i protagonisti.

Le confusioni rispetto all’orientamento rimangono quelle già enunciate negli ultimi venticinque anni: la sovrapposizione tra orientamento e informazione e il quasi esaurimento in essa (giornate di presentazione delle scuole o delle università, saloni di orientamento, open day, libretti informativi ecc); la confusione e sovrapposizione tra pratiche di orientamento e di marketing dei percorsi formativi secondari o terziari; la confusione, nel sistema formativo, tra il rendimento disciplinare contestuale e la disposizione verso un’area disciplinare/formativa; il mantenimento di costrutti scientificamente deboli come quello di attitudine (disposizione naturale di un soggetto nei confronti di un campo di attività); il peso attribuito, volontariamente o meno, al contesto di provenienza per “orientare” il percorso futuro. Non dovrebbe riuscire difficile comprendere come queste confusioni, che arrivano alla limitazione del diritto effettivo di scelta (si pensi alle pratiche, palesemente fuori dalla legalità, di alcune scuole secondarie di permettere l’iscrizione solo a chi ha indicato quel tipo di scuola nel consiglio orientativo fornito dalle secondarie di primo grado), siano discriminatorie e segreganti. È indispensabile sgombrare il campo dagli equivoci, e per questo occorre prevedere, nella formazione iniziale degli insegnanti, il racconto e la condivisione delle evidenze relative e il chiarimento circa gli effetti di pratiche confusive come quelle richiamate sopra.

Proprio la presenza di queste confusioni deve avvertire dei rischi antidemocratici presenti in certe pratiche di orientamento. Concetti come “talento” o “merito” rappresentano un rischio tangibile di “premiare” la provenienza socio-economica e di esercitare la funzione orientativa contraddicendo alla funzione stessa assegnata all’orientamento. Ulteriori rischi sono rappresentati dalla denominazione di “orientative” ad attività con altra finalità e dalla sovrapposizione tra orientamento e didattica orientativa. Se infatti la didattica orientativa (che valorizza il portato orientativo delle discipline senza dimenticarne gli obiettivi specifici) contribuisce in modo significativo a stimolare ed allenare le competenze orientative, essa non sostituisce l’azione specifica e specialistica dell’orientamento stesso.

Le Linee guida, correttamente intese, possono invece essere interpretate come occasione per:

  • marcare un superamento della collocazione dell’orientamento nell’accompagnamento alle scelte” socialmente definite;
  • definire il superamento delle principali confusioni circa l’orientamento;
  • costituire l’occasione per la progressiva e partecipata costruzione di un curricolo orientativo in verticale che sia centrato sull’individuazione di obiettivi di sviluppo di competenze orientative e sulla pianificazione delle azioni specifiche dell’orientamento e del contributo della didattica orientativa;
  • favorire il dialogo tra i vari attori con la regia dell’istituzione scolastica e il coinvolgimento attivo delle risorse territoriali e di professionisti dell’orientamento;
  • consentire il recupero della componente motivazionale e dell’immaginazione e creatività dei soggetti in ottica trasgressiva e trasformativa.

L’orientamento così inteso diventa una pratica di empowerment che offre supporto alla realizzazione del progetto di vita di ciascuno, diventa occasione per diminuire la predestinazione socio-economica determinata dalle condizioni di partenza, diventa pratica attivante, responsabilizzante e valorizzante.

«Se si crede che sia giusto, utile e possibile per ciascuno esercitare autonomia, responsabilità e controllo sulla propria vita, tenendo conto delle conseguenze sugli altri, sul proprio futuro e sul pianeta dei propri progetti e delle proprie scelte»1, è il momento per lavorare in quella direzione.


NOTE

  1. G. Guglielmini, F. Batini (a cura di), Orientarsi nell’orientamento, il Mulino, Bologna 2024; il volume può essere sfogliato gratuitamente sulla piattaforma Darwinbooks.

Il progetto “OrientaMenti”

Le Linee guida sono state accompagnate dal progetto “OrientaMenti” affidato a Indire, che sul sito lo descrive così: «un piano formativo nazionale online in partenza nel secondo trimestre del 2023 sul sito del Ministero dell’Istruzione e del Merito» e ha «l’obiettivo di fornire agli insegnanti che ricoprono il ruolo di docenti tutor dell’orientamento e di docenti orientatori le competenze e le conoscenze necessarie per svolgere al meglio il loro ruolo.

In particolare, il programma formativo intende fornire agli insegnanti conoscenze riguardo a:

  • processo di orientamento e figure coinvolte;
  • metodologie e tecniche utilizzate nell’orientamento scolastico;
  • normative e politiche educative nazionali e locali;
  • strumenti utilizzati nel processo di orientamento;
  • elementi di cornice culturale utili ad attualizzare i processi di orientamento.

Inoltre, il piano di formazione punta a promuovere negli insegnanti lo sviluppo di competenze trasversali come la capacità di comunicazione e di ascolto attivo, essenziali per svolgere efficacemente i ruoli di tutor e di docente orientatore, e la capacità di valutare l’efficacia del sistema di orientamento scolastico, al fine di apportare eventuali miglioramenti e di garantire un supporto adeguato agli studenti.

Infine, il programma formativo vuole favorire la collaborazione tra insegnanti, famiglie e comunità, per promuovere un sistema di orientamento scolastico inclusivo e orientato al successo degli studenti».

Fondazione Scuola, Associazione Pratika, Dipartimento Dfclam dell’Università di Siena e Dipartimento FISSUF dell’Università di Perugia hanno realizzato una serie di seminari gratuiti (consultabili online) per promuovere un avanzamento delle pratiche orientative nella direzione indicata nella parte conclusiva dell’articolo: si vedano i video https://www.youtube.com/watch?v=1DA5_LPvmUM (oltre 132.000 visualizzazioni) e https://www.youtube.com/playlist?list=PLsVHBMnrdScpxuKivbbe-jHgIZU0xRBrp.

 

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Federico Batini

Insegna Metodologia della ricerca educativa, dell’osservazione e della valutazione, Pedagogia sperimentale e Consulenza pedagogica all’Università degli Studi di Perugia. Ha fondato e dirige le associazioni Pratika e Nausika, da cui è data la LaAV. È autore Loescher. federicobatini.wordpress.com

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