“Antologia di Spoon River”, esercizi di lettura #1: “Minerva Jones”

Tempo di lettura stimato: 11 minuti
Dal 6 dicembre 2022 è disponibile l’edizione dell’“Antologia di Spoon River” di Edgar Lee Masters che ho curato per La nave di Teseo, la prima (non solo in Italia, a quanto mi risulta) in cui ogni singolo testo è accompagnato da una analisi, oltre che da note esplicative e informative. In questo breve intervento, e in quelli che seguiranno, vorrei raccontare come ho lavorato su alcune poesie di questo libro, nella speranza che le mie osservazioni siano utili ad altri lettori e agli insegnanti che volessero proporre l’opera di Masters nelle scuole.

 

1. Di fronte al testo

Minerva Jones è la ventunesima poesia della raccolta. Dopo la celebre introduzione, intitolata La collina, il poeta ci ha proposto una serie di testi in cui i sepolti nel cimitero dell’immaginaria cittadina del Midwest raccontano sinteticamente la propria vita, in qualche caso dialogando, rinfacciandosi a vicenda colpe e difetti, facendo emergere dal gioco delle diverse voci e dei diversi commenti la coralità della vita del paese. Con Minerva Jones inizia una sorta di “romanzo nel romanzo” che coinvolge ben cinque personaggi: oltre a Minerva, suo padre, il suo stupratore, il medico che l’ha aiutata ad abortire e la moglie di quest’ultimo.

C’è un altro motivo per cui questa “tessera” ha un rilievo particolare nel mosaico complessivo dell’Antologia, ed è che Minerva è una poetessa (so bene che oggi si preferisce usare poeta anche al femminile, ma Masters appartiene a un’altra epoca e usa poetess, che ho rispettosamente tradotto con la forma femminile tradizionale). Ora, il libro ha preso le mosse, nella Collina, dalle domande dell’autore, che si aggira per il cimitero e si chiede dove siano finiti i personaggi, uomini e donne, famosi e anonimi, felici e disgraziati, di cui osserva le tombe. Alle sue domande risponde, prevedibilmente, il silenzio – i morti continuano «a dormire, dormire, dormire…» Solo quando si trova di fronte al violinista Jones, una sorta di aedo popolare, reincarnazione laica del mitico Orfeo, la barriera tra aldiquà e aldilà si infrange («Eccolo!», esclama l’autore) e le voci dei morti incominciano a farsi sentire. Minerva non è imparentata con il violinista, ma l’identità del cognome non può essere casuale e dobbiamo quindi ipotizzare che l’autore le abbia affidato, se non una “dichiarazione di poetica”, almeno una delle numerose riflessioni sulla poesia (e sull’arte), che culmineranno con l’autoritratto conclusivo della raccolta, Webster Ford (che è lo pseudonimo con cui Masters pubblicava le sue poesie sul settimanale “Reedy’s Mirror” man mano che le componeva).

Ecco dunque il racconto di Minerva Jones:

 

I am Minerva, the village poetess,

Hooted at, jeered at by the Yahoos of the street

For my heavy body, cock-eye, and rolling walk,

And all the more when “Butch” Weldy

Captured me after a brutal hunt.                                                        5

He left me to my fate with Doctor Meyers;

And I sank into death, growing numb from the feet up,

Like one stepping deeper and deeper into a stream of ice.

Will some one go to the village newspaper,

And gather into a book the verses I wrote?—                        10

I thirsted so for love!

I hungered so for life!

 

Io sono Minerva, la poetessa del paese,

Fischiata e sbeffeggiata dai trogloditi di strada

Per il corpo pesante, l’occhio storto e la camminata incerta,

E tanto più quando “Butch” Weldy

Mi catturò dopo una caccia brutale.                                                   5

Lui mi lasciò al mio destino con il dottor Meyers;

E io sprofondai nella morte, paralizzandomi dai piedi in su,

Come scendendo a poco a poco in un fiume di ghiaccio.

Qualcuno andrà al giornale del paese

Per raccogliere in un libro i versi che scrissi? –                                   10

Avevo tanta sete d’amore!

Avevo tanta fame di vita!

Che cosa accade nella mia mente mentre leggo e rileggo questo testo per tradurlo e commentarlo? Accade che la mia attenzione è divisa e direi quasi strattonata da almeno tre attività:

  • innanzitutto seguo la vicenda che viene narrata e mi lascio coinvolgere dai sentimenti che essa suscita e che la poetessa/narratrice sollecita in me;
  • una parte della mia attenzione si concentra sul modo in cui è organizzato il racconto, sul ritmo, sulla metrica, sulla sintassi e così via;
  • infine, il testo chiama in causa la mia enciclopedia, mi suggerisce di fare confronti, di ricordare altri testi, altre situazioni, autori e personaggi che sicuramente sono intervenuti nella elaborazione della poesia.

Questi tre piani del discorso, durante la mia lettura, sono sempre presenti, si intrecciano, si rimandano l’un l’altro – mi rendo conto che devo mettere ordine, ma nello stesso tempo devo tentare di stabilire un rapporto fra di loro, di far scattare una scintilla (il famoso “clic” di Spitzer) per cogliere il segreto di questa poesia – diciamo meglio: per spiegare innanzitutto a me stesso che cosa mi intriga in questa poesia, perché mi sento coinvolto e stimolato e desideroso di approfondirla.

2. La vicenda

Incominciamo dunque con la vicenda che ci viene raccontata. Apparentemente siamo di fronte a un caso di cronaca nera, la violenza perpetrata da un bruto ai danni di una povera ragazza dal fisico infelice – la ragazza resta incinta, tenta di abortire (illegalmente, data l’epoca) e muore durante l’intervento. La critica americana si è affannata a rintracciare i possibili modelli reali di Minerva Jones e ha indicato due donne, Marie Wheadon e Minnie Staton, entrambe di Lewistown (ma «le controverse circostanze della morte di Minerva Jones non sono state esplicitamente associate a nessuna delle due», commenta John Hallwas nell’edizione da lui curata nel 1992: il che rende piuttosto inutile l’indicazione); e una zia dell’autore, di nome Minerva, «che si interessava di poesia e a cui [Masters] mostrò alcuni dei primi componimenti pubblicati» (come si ricava dall’autobiografia dello stesso Masters, Across Spoon River: suggerimento anch’esso tutt’altro che illuminante, data la labilissima somiglianza fra le due figure).

Queste ricerche risultano poco o nulla interessanti ai fini della comprensione del testo perché Masters non ci sta raccontando né un aneddoto autobiografico, né una tranche de vie come quelle che affollavano la narrativa naturalistica di fine Ottocento. Se ascoltiamo attentamente la voce di Minerva (è questa l’ipotesi che vorrei verificare), ci rendiamo conto che il tema decisivo della poesia non è la denuncia della violenza (psicologica, fisica, di genere), che pure è presente, ma una riflessione sulla poesia stessa.

3. L’organizzazione del discorso

Osserviamo allora in che modo Masters organizza il testo.

I versi sono liberi e senza rime, ma la struttura del discorso rivela una volontà di ordine molto esplicita. Il racconto si può schematizzare come segue:

  • tre versi (1-3) di presentazione del personaggio (autoritratto);
  • due versi (4-5) dedicati all’evento decisivo della sua vita (lo stupro);
  • tre versi (6-8) occupati dal racconto del tentato aborto e della morte che ne consegue;
  • due versi (9-10) di appello affinché qualcuno recuperi i versi che Minerva ha pubblicato.

Come si vede, c’è un parallelismo molto evidente: la sintassi, collocando la pause più importanti alla fine dei vv. 5, 8 e 10, sottolinea la presenza di due parti, quasi due strofe, articolate simmetricamente in 3+2 versi.

Il distico finale (vv. 11-12), volutamente separato da ciò che precede mediante il trattino, è nello stesso tempo un grido straziato di dolore e di rimpianto e un’indicazione di lettura preziosa, poiché i due versi hanno una struttura perfettamente parallela, che riproduce in poche sillabe quella più articolata e complessa dei dieci versi precedenti.

Insomma, quanto più incandescente è la materia psicologica oggetto del racconto, tanto più il poeta interviene con un processo di formalizzazione, sottolineando gli elementi di geometria del racconto stesso. Lungi dall’essere la semplice “messa in versi” di un fatto reale, questo testo sottende in verità una contrapposizione fra due idee di poesia: da un lato quella più ingenua di Minerva, esclusa disgraziata infelice, che attribuisce alla scrittura una funzione compensatoria; dall’altro la concezione più mediata e meditata dell’autore, che elabora un linguaggio poetico in grado di dare alle vicende individuali dei suoi personaggi un valore universale e di farle durare nel tempo (laddove i versi di Minerva sono ahilei dimenticati).

4. I rimandi intertestuali

Dicevo che il testo, durante la lettura, chiama in causa anche la mia enciclopedia, attraverso una serie di rimandi o di allusioni, esplicite o implicite. In estrema sintesi:

  1. Il nome del personaggio, a prescindere dall’esistenza o meno di una “zia Minerva”, rimanda inevitabilmente alla dea romana e al violinista che abbiamo incontrato nella prima poesia della raccolta. (Jones, per inciso, è uno dei cognomi più diffusi nel mondo anglosassone ed è il più ricorrente all’interno dell’Antologia, essendo attribuito a ben cinque personaggi.) Che Minerva Jones sia un “nome parlante” è confermato da quello del suo stupratore: il soprannome “Butch” richiama butcher, macellaio, con trasparente allusione alla violenza del suo comportamento, il cognome Weldy (da to weld, saldare) rinvia alla sua attività lavorativa, che scopriremo nella poesia a lui intitolata.
  2. Al v. 2, il termine Yahoos rimanda notoriamente agli odiosi scimmioni protagonisti insieme ai cavalli sapienti di uno degli episodi dei Viaggi di Gulliver di Jonathan Swift (nella mia traduzione questo riferimento si perde: ora mi viene il dubbio di aver impoverito il testo, per avvicinarlo al lettore italiano – ma nessuna traduzione può evitare di compiere delle scelte e la presenza dell’originale a fronte e delle note permette di recuperare quanto è stato sacrificato alla leggibilità). Il riferimento non può essere casuale, perché Jonathan Swift Somers è il nome del poeta che incontriamo al centro esatto dell’Antologia (testo n. 123 su 246), e a lui è attribuita la paternità della Spooneide, il frammento eroicomico che precede l’Epilogo del libro.
  3. L’autoritratto di Minerva (fisicamente disgraziata e vittima delle prese in giro dei “trogloditi”) ha evidenti tratti baudelairiani. Come nell’Albatros del poeta francese, la superiore sensibilità si unisce alla goffaggine, che condanna la poetessa alla condizione di «esule fra gli scherni» della massa incolta. La descrizione della morte (vv. 7-8) allude a un altro modello, quello di Socrate: come il filosofo ateniese (si veda per es. l’ultima pagina del Fedone di Platone), Minerva si paralizza infatti a poco a poco, dai piedi in su. L’aspetto fisico di Minerva conferma questo rimando: anche Socrate, come è noto, univa infatti la brillantezza della mente al fisico sgraziato e disarmonico.
  4. La richiesta di Minerva (vv- 9-10), che qualcuno vada al giornale del paese per raccogliere in un libro le sue poesie disperse ricorda infine un celebre passo dell’Inferno di Dante, quello del canto XV in cui Brunetto Latini, congedandosi dall’allievo, gli raccomanda il suo Tesoro, cioè il suo capolavoro (in antico francese, Trésor), «nel quale io vivo ancora». È il tema, ricorrente fin dall’antichità classica (cfr. il Non omnis moriar di Orazio), della poesia come garanzia di immortalità, che nel caso di Minerva si carica di pathos proprio perché la giovane poetessa è rimasta esclusa dalla vita e quindi la sua identificazione con l’opera letteraria ci comunica un di più di strazio, di doloroso rimpianto. L’incipit I was («Io ero») è il più ricorrente, nell’Antologia; Minerva lo coniuga al presente (I am, «Io sono») perché – lo capiamo alla fine della poesia – ai suoi versi è legata la sua unica possibilità di sopravvivere oltre la morte.

 

5. Una dichiarazione di classicismo

Come si vede, la poesia allude a modelli e figure della tradizione, senza richiamare puntualmente autori e testi: si tratta di rimandi, non di citazioni. Se pensiamo a come avrebbe potuto svolgere questo tema un poeta ipercolto e sperimentale come Eliot, con quale ricorso al collage (anche linguistico: francese, greco, italiano, latino…) e con quale incastro di piani del discorso (il mito, la storia, la letteratura, la cronaca…), possiamo precisare meglio la scelta di Masters in senso classicista.

L’impulso da cui nasce la scrittura poetica (di Minerva come dell’autore, in questo senza dubbio affratellati) si dichiara come il desiderio di trascendere il qui e ora, di collocarsi su un piano del discorso (dell’espressione, della scrittura) che non è quello della cronaca, della biografia reale, ma ambisce ad attingere una dimensione sovratemporale, idealmente astorica. Ecco perché il dettato si presenta all’insegna dell’ordine, della ricerca di euritmia e musicalità, anche e anzi soprattutto laddove si affrontino vicende dolorose, laceranti, che vengono lette alla luce di situazioni e personaggi archetipici, tali da rimandare all’intera tradizione letteraria e culturale dell’Occidente, dall’antichità classica alla seconda metà dell’Ottocento.

Stretto fra le avanguardie del primo Novecento da un lato, il filone simbolista dall’altro e la narrativa naturalistica dall’altro ancora, Masters si ricava quasi istintivamente uno spazio espressivo originale: una poesia narrativa, che si appoggia a dati di realtà per trascenderli e cogliere il valore psicologico universale delle situazioni e delle figure che rappresenta; una poesia che unisce complessità e chiarezza, leggibilità e profondità, attenzione alle esigenze di un lettore non specialista (i testi dell’Antologia erano destinati a un settimanale di grande tiratura, non a una rivista letteraria) unita a temi di grande impegno sociale, psicologico e culturale. Minerva Jones si conferma così uno dei testi chiave per svelare il miracoloso equilibrio da cui nasce l’Antologia di Spoon River.

(continua)

Leggi il secondo articolo, su Johnny Sayre.

Leggi il terzo articolo, su Lois Spears e Willard Fluke

Leggi il quarto articolo, su Immanuel Ehenhardt.

Condividi:

Alberto Cristofori

ha organizzato nel 2015 “Milano per Dante”, una lettura integrale della Commedia affidata a 100 esponenti della società civile milanese. È autore di manuali scolastici e traduttore. Ha pubblicato con Bompiani un romanzo e una raccolta di racconti, e dirige una casa editrice per bambini e ragazzi (Albe
Edizioni).

Contatti

Loescher Editore
Via Vittorio Amedeo II, 18 – 10121 Torino

laricerca@loescher.it
info.laricerca@loescher.it