Il modello valenziale nella didattica del latino

Tempo di lettura stimato: 21 minuti
Storia del modello valenziale e della manualistica; le motivazioni alla base dell’insuccesso del metodo; alcune proposte per sperimentarlo senza stravolgere la didattica; i suoi vantaggi, tra cui l’inclusività.

Storia del modello valenziale e della manualistica

Tra le metodologie “innovative” che le Indicazioni Nazionali dei Licei del 2010 annoverano per la didattica del latino c’è la grammatica valenziale, detta anche delle dipendenze che, insieme al metodo «natura», identificabile nel manuale di Hans Ørberg, Lingua latina per se illustrata, viene proposta come alternativa al metodo tradizionale, normativo e traduttivo, negli Obiettivi Specifici di Apprendimento (OSA) di latino di tutti i licei che prevedano la lingua classica, a prescindere dal monte ore settimanale.

Lucien Tesnière

Ho messo l’aggettivo innovative tra virgolette perché il modello valenziale risale in realtà al 1959, quando Lucien Tesnière pubblicò il suo Éléments de syntaxe structurale, tradotto in italiano solo nel 2001 da Germano Proverbio e Anna Trocini Cerrina per l’editore Rosenberg & Sellier di Torino. Fu poi Heinz Happ, filologo classico operante a Tübingen, ad applicare la grammatica delle dipendenze al latino, attraverso contributi quali Grundfragen einer Dependenzgrammatik des Lateinischen oppure Dependenz-Grammatik und Latein-Unterricht, usciti tra il 1976 e il 1977, ma rivolti a un pubblico settoriale.

Il metodo valenziale mette al centro il verbo, definito, per usare le parole di Tesnière, come attore principale del «véritable petit drame» rappresentato dalla frase; il verbo e i suoi “attanti”, attori sulla scena della frase e definiti come argomenti primari o valenze obbligatorie, costituiscono il nodo verbale, chiamato anche nucleo della frase. Questo metodo, di matrice funzionalista, ha avuto il suo primo tentativo di penetrazione nella scuola italiana col manuale Fare latino, edito da SEI nel 1983 e a cura di Felix Seitz, Germano Proverbio, Laura Sciolla ed Eleonora Toledo; Andrea Balbo lo definisce come il primo libro di testo di latino fondato sul metodo valenziale: dopo un’introduzione, in cui si delineavano i principi della grammatica delle dipendenze e si proponevano stemmi di esempio, seguivano 34 lezioni, tutte aperte da brani liviani dall’Ab urbe condita inizialmente semplificati e poi via via più vicini all’originale; completavano l’unità esercizi di traduzione dall’italiano, note di fonetica, tabelle di paradigmi e un piccolo dizionario latino-italiano e italiano-latino[1].

F. Seitz, G. Proverbio, L. Sciolla, E. Toledo, Fare latino

Si tratta di un manuale ormai fuori stampa, che ha avuto scarsa fortuna anzitutto per le difficoltà oggettive nell’utilizzo da parte degli insegnanti, ma anche per la nomenclatura valenziale (trasformata poi dagli autori nelle sigle algebriche C1, C2, C3 e via dicendo) difficilmente trasportabile nella scuola italiana, dove si adotta per lo più la terminologia tradizionale di soggetto, complemento oggetto, di termine, fino ad arrivare alla “sterminata” serie di complementi; inoltre le liste lessicali presenti in Fare latino erano funzionali solo all’intellegibilità del testo liviano in apertura, ma non concorrevano alla creazione di famiglie lessicali, né erano finalizzati a una didattica del lessico, su cui recentemente si punta molto nell’insegnamento del latino.

Sulla scorta di queste criticità, recentemente, per Laterza, è uscito il manuale Ratio. Un metodo per il latino, di Laura Azzoni, Benedetta Nanni, Lorenzo Montanari e Gabriella Carbone, in due volumi: dopo una prima introduzione metodologica, a uso degli insegnanti, in cui ci si sofferma sulla centralità del verbo e la necessità di partire, in ogni analisi, dalla frase nucleare, ossia quella composta dal verbo e dai suoi argomenti obbligatori, il manuale si distende in due volumi, affiancando alla spiegazione di costrutti grammaticali un focus sulla rappresentazione grafica (con schemi semplificati, ma comunque ispirati ad Happ-Proverbio), potenziando anche la didattica del lessico, a cui la grammatica valenziale parrebbe dare poca importanza. Il manuale Ratio ha avuto comunque, a tutt’oggi, scarsa penetrazione nella scuola.

Per quanto concerne la trattazione di sintassi e semantica, due aspetti fondamentali nell’approccio alla lingua classica, la grammatica valenziale potenzia in modo deciso la prima, nello specifico mette al centro le relazioni che intercorrono tra i componenti frasali; come sottolinea Balbo nel contribuito La didattica delle lingue classiche in Piemonte nelle riflessioni di Germano Proverbio e Italo Lana, nel metodo valenziale «l’accento è posto soprattutto sulle connessioni che esistono fra le parti del discorso, in modo da metterne in rilievo le funzioni e le relazioni reciproche, allontanandosi da definizioni sostanzialiste, delle quali Proverbio criticò la poca fondatezza scientifica»[2]. Secondo Emanuela Andreoni Fontecedro, già professoressa ordinaria di Letteratura Latina presso l’Università di Roma Tre e autrice di diverse pubblicazioni sulla grammatica della dipendenze, «l’analisi di tipo funzionale anziché formale della lingua», tipica del modello, risulta assai produttiva, perché «consiste […] nel centrare l’attenzione innanzitutto sul funzionamento globale del meccanismo linguistico, anziché nel presentare categorie formali che vengono progressivamente giustapposte»[3], senza che, spesso, venga data ragione delle loro connessioni. Inoltre l’accento particolare posto sulla sintassi mette in rilievo i connettivi e i coesivi, permettendo una comprensione del testo preliminare alla sua traduzione e, quindi, anche in linea con la recente certificazione linguistica di lingua latina, nella quale si punta più sulla comprensione e analisi rispetto alla traduzione del brano proposto. Seguendo il modello valenziale si crea poi un proficuo parallelismo tra sintassi della frase semplice e complessa, nella quale l’elemento richiesto per completare il significato del verbo è, a sua volta, una proposizione; attraverso questo si può evidenziare un elemento, spesso sottinteso nel metodo tradizionale, ovvero la ricorsività della lingua. Avvalendosi del metodo, si possono, a titolo di esempio, anticipare già in prima liceo, dopo la spiegazione di nominativo e accusativo e dei diversi tempi dell’infinito latino, le subordinate comunemente definite come soggettive e oggettive in quanto esse svolgono nella frase complessa la medesima funzione dei due casi in quella semplice; tutto ciò in direzione dell’economicità, aspetto da tenere sempre più in considerazione col taglio del monte-ore delle materie umanistiche a seguito della riforma Gelmini: il metodo valenziale fornisce, a mio avviso, un ottimo compromesso tra rigore scientifico della spiegazione e brevità e flessibilità nella presentazione dei contenuti, nell’ottica di un avvicinamento a testi d’autore.

Le motivazioni alla base dell’insuccesso del metodo

Insomma, il modello valenziale sembrerebbe perfettamente consono agli stili di apprendimento degli studenti, oltremodo inclusivo (come vedremo più avanti): perché allora la grammatica valenziale applicata al latino trova così tanti ostacoli alla sua realizzazione, e anche la manualistica liceale (oscillante tra volumi di impianto tradizionale e altri che seguono la «didattica breve eclettica») presenta, a parte l’eccezione di Ratio, solo finestre sul metodo, mai veramente approfondito?

Alla base credo ci siano decenni di insegnamento deduttivo-grammaticale, modello consolidato su cui gran parte del corpo docente stesso ha appreso il latino e che non presenta problemi nella gestione e applicazione; la tipologia degli esercizi, le richieste e la scansione del programma sono note anche agli insegnanti alle prime esperienze. Inoltre tale metodo permette di istituire un percorso unitario anche in assenza di continuità didattica e di gestire i percorsi di recupero e riallineamento, per classi parallele, con facilità.

La seconda ragione è dovuta, a mio avviso, alla ridotta penetrazione del modello valenziale nell’Università (penso ai corsi di didattica del latino) e nelle proposte di formazione dei docenti: posto che, quando si inizia a insegnare, si prendono come modelli i propri docenti di liceo, nel tempo la formazione continua dovrebbe (condizionale d’obbligo) mettere i nuovi insegnanti di fronte a modelli diversi dal momento che gli studenti cambiano, le esigenze anche, il monte-ore pure. Come sottolinea infatti Elena Mazzacchera in un articolo apparso nel 2017 su “Nuova Secondaria” «il modello tradizionale […] richiede tempi lunghi e uno studio mnemonico che risulta poco adatto allo stile di apprendimento degli studenti di oggi», presupponendo spesso l’adesione a «delle regole che hanno per loro il carattere di un dogma inspiegabile»[4], con il risultato di creare una disaffezione (quando non ostilità) verso la lingua classica. Forse tale modello può essere ancora praticabile al liceo classico, ma il taglio del monte-ore allo scientifico e alle scienze umane (tre ore nel quinquennio per il primo indirizzo, tre al biennio e due nel triennio per il secondo), rende l’apprendistato grammaticale lungo, a scapito dell’approccio agli autori e ai testi, vero obiettivo dell’apprendimento di ogni lingua.

In terzo luogo, pur ammettendo che un docente voglia addentrarsi nella grammatica valenziale, quali sono gli strumenti in suo possesso? Sappiamo tutti le difficoltà che si incontrano nelle riunioni di dipartimento per la scelta dei libri di testo, nelle quali, spesso, si sceglie il libro che possa accontentare il maggior numero di insegnanti; bisogna poi inoltre considerare l’assenza di un dizionario valenziale, necessario per ridurre agli studenti il tempo nel reperimento delle informazioni, comunque deducibili, con uno sforzo ulteriore, consultando le reggenze del verbo sul vocabolario.

Come sottolineava però sempre Mazzacchera, l’adozione del metodo valenziale non «richiederebbe uno stravolgimento totale del modello finora seguito», perché la grammatica delle dipendenze «presuppone come prerequisito la conoscenza delle tradizionali parti del discorso e della morfologia nominale e verbale»[5]; per quanto riguarda poi l’adozione o, magari, la sperimentazione di un metodo, queste possono d’altra parte prescindere dal manuale.

Sperimentare il metodo: proposte per non stravolgere la didattica

Come introdurre elementi di metodo valenziale in classe prima? Come primo passo c’è sicuramente far ragionare gli studenti, sin dalle primissime lezioni della lingua classica, sulla centralità del verbo, elemento strutturante della frase e, a partire dai primi approcci al latino, “sguinzagliarli” alla ricerca del verbo e delle sue valenze obbligatorie, dopo aver spiegato, con esempi dalla prima declinazione, la classificazione dei verbi in avalenti, monovalenti, bivalenti e trivalenti[6]. Nel caso della prima declinazione, poi, in cui le terminazioni dei casi sono a volte identiche, il ragionamento sulle valenze consente un’analisi previsionale della frase, che è del tutto assente nella grammatica tradizionale; la medesima operazione si può ripetere anche nell’approccio alle altre declinazioni, che spesso mettono in difficoltà gli studenti per uscite uguali di casi diversi. Nelle prime lezioni e, per prevenire dubbi e paure da parte degli studenti, è bene poi soffermarsi sul concetto di valenza mobile: a seconda del significato nella frase, uno stesso verbo latino può avere un numero diverso di valenze (nello specifico, oscillare tra bivalente e trivalente), tenuto conto che può essere sempre monovalente, cioè usato in modo assoluto; ragionamenti del genere stimolano, d’altra parte, l’attenzione del gruppo classe e fanno percepire la grammatica (e la lingua) come qualcosa di vivo e non da apprendere come un dogma. La presenza di valenze uguali nell’italiano e nel latino ha anche il vantaggio di un approccio incoraggiante alla disciplina.

Come cercare poi di usare il metodo valenziale in una classe con in uso un manuale tradizionale? Dalla mia sperimentazione, credo che la strategia migliore sia la modifica delle consegne degli esercizi, virando verso richieste di questo tipo (si danno in un elenco proposte di consegne graduate sull’intero biennio, e oltre):

  • sottolineare in ogni frase il nucleo, composto da verbo e argomenti obbligatori e tradurlo;
  • catalogare i verbi del brano in base alla loro valenza (esercizio molto fruttuoso perché consente di memorizzare il lessico nel contesto);
  • sottolineare con tre diversi colori elementi nucleari, circostanti ed espansioni (esercizio utile nel caso in classe siano presenti alunni con DSA);
  • rappresentare graficamente le frasi (per i metodi di rappresentazione, si veda oltre);
  • arricchire il nucleo della frase con dei circostanti (quindi aggettivi di I e II classe) al caso dell’elemento nucleare a cui si riferiscono (esercizio interessante perché fa lavorare lo studente sulla concordanza);
  • trasformare l’espansione di tempo in una circostanziale temporale (o l’espansione di causa in una causale);
  • trasformare la subordinata infinitiva oggettiva in un accusativo (esercizio destinato alla classe seconda);
  • trasformare l’ablativo assoluto della frase in una temporale o in un cum historicum e rappresentalo.
Esercizi valenziali.

Come si può notare, l’utilizzo del modello valenziale consente di spiegare in modo chiaro la differenza tra elementi necessari e accessori (circostanti ed espansioni, nella nomenclatura di Sabatini), mentre si chiarisce, già nella classe prima, come una stessa funzione può essere realizzata da un impletivo rappresentato da un nome (il “complemento” di causa) o da una proposizione (la causale con l’indicativo, poi il cum historicum, l’ablativo assoluto e via dicendo). Ovviamente tali esercizi di trasformazione, utili in fase di ripasso e consolidamento, vanno adeguatamente selezionati dal docente perché, fino a quando non si è affrontata la terza declinazione, il bagaglio lessicale in possesso degli studenti è ridotto e gli esercizi di manipolazione difficili da realizzare.

Dall’espansione alla subordinata circostanziale.

La rappresentazione grafica della frase e l’inclusività del modello valenziale

Credo poi che uno degli elementi più efficaci del metodo valenziale sia la rappresentazione grafica della frase, che permette di capire il suo funzionamento interno e i rapporti gerarchici tra i componenti; certamente condivisibili, anche se riferite all’italiano, sono le considerazioni espresse da Paola Iannacci e Paola Marinetto, studiose del Giscel Veneto, nel loro contributo dal titolo La rappresentazione grafica di frase e periodo: un problema, un’ulteriore difficoltà o un’opportunità?[7]: disegnare e far disegnare schemi permette di comprendere la struttura soggiacente a ogni frase o periodo, inoltre questa operazione è «rispettosa degli stili di apprendimento degli studenti» all’interno della classe. Il rischio della frase latina è infatti che venga percepita come una stringa di elementi in ordine casuale (vuoi per la disposizione libera degli elementi rispetto all’italiano); rappresentare graficamente frasi mette in moto processi cognitivi e diventa un modo per chiarire la struttura e il significato di enunciati complessi (pensiamo, ad esempio, a un periodo ciceroniano o liviano).

Tra i vantaggi, quindi, del metodo valenziale c’è sicuramente l’inclusività, per alunni con BES, DSA o NAI a cui, purtroppo, viene spesso sconsigliata l’iscrizione in un liceo che preveda le lingue classiche: benché non sia esplicitamente menzionata, la grammatica valenziale è alla base dell’agile ma intelligente volume di A. Cardinaletti, G. Giusti, R. Iovin, Il latino per studenti con DSA. Nuovi strumenti didattici per la scuola inclusiva[8]: qui, nei capitoletti 2.3 e 2.4, non a caso intitolati La struttura tematica e argomentale e Analisi del testo a livello sintattico, gli autori presentano, a partire da un brano posto a inizio volume, una rappresentazione grafica di alcune frasi che possa essere inclusiva per studenti, ovviamente, privi di disturbo visuo-spaziale; inoltre, il continuo confronto con la lingua italiana e inglese realizza uno degli auspici del poliglotta Tesnière, ovvero la creazione di una grammatica universale. L’influenza del modello Sabatini, ovvero delle ellissi concentriche, è visibile anche nell’uso del colore rosso a indicare il verbo.

Come sottolineano sempre Iannacci e Marinetto, gran parte degli studenti apprende preferibilmente in modo visivo, attraverso la rappresentazione grafica, prima del concetto astratto recepito verbalmente (come avviene nella didattica tradizionale del latino); nelle nostre classi è, d’altra parte, sempre maggiore la percentuale di alunni con disturbi specifici di apprendimento (DSA) e con bisogni speciali (BES), che incontrano difficoltà nello studio della grammatica, «specialmente di quella intesa come classificazione e riconoscimento» (tratto caratteristico del modello normativo-traduttivo) e quindi «per tali studenti è estremamente utile l’utilizzo della rappresentazione grafica a sostegno della memorizzazione e della focalizzazione dei concetti proprio perché il loro apprendimento viene favorito dalla presentazione dei contenuti disciplinari attraverso un approccio multisensoriale»[9]. L’utilizzo di schemi grafici, nelle prime lezioni modellati su quelli realizzati per la lingua italiana da Francesco Sabatini nel suo Sistema e testo e, come vedremo più avanti, con il crescere della complessità della frase, ispirati a Seitz-Proverbio, costituisce uno strumento compensativo non solo per gli studenti con DSA o BES, ma per tutta la classe, che si gioverà di un apprendimento non solo testuale.

Rappresentazione grafica di una frase semplice con il modello Sabatini.

Nella pratica didattica, la rappresentazione grafica presenta però non pochi problemi: posto che, a mio avviso, lo schema grafico deve rappresentare non una perdita di tempo, bensì uno strumento per la comprensione e l’analisi dei testi latini (specie quelli di una certa complessità), credo che tutti i modelli di rappresentazione, ovvero di Proverbio, Sabatini e Andreoni Fontecedro, presentino vantaggi e criticità.

Per la sua spendibilità, però, nell’intero percorso di apprendimento del latino, credo che il più flessibile sia ancora quello di Seitz-Proverbio, presentato nelle pp. 5-19 di Fare Latino, ma debitamente semplificato e reso didattico. Per muoversi in periodi sempre più complessi, il metodo valenziale nella vulgata di Seitz fornisce uno spunto nell’uso delle linee tratteggiate, che rappresentano i complementi liberi, non necessari alla comprensione del nucleo frasale: perché quindi non collegare al verbo, testa di ponte della frase, gli argomenti con una linea continua, mentre tutti gli elementi accessori (definibili come “non necessari” o, meglio, “extranucleari”) con linea tratteggiata?

Frase semplice sul modello Seitz-Proverbio adattato.

Allo stesso modo, saldando sintassi della frase semplice e complessa, le subordinate completive (argomentali per la grammatica valenziale) possono essere indicate con linee continue, mentre le circostanziali (dette anche avverbiali) e attributive con linea tratteggiata, con la differenza che, per queste ultime, il legame è con un antecedente, non con l’intera frase. Pur perdendo parte della sua scientificità, sacrificabile per ragioni didattiche, il vantaggio indubbio nella classe, preferibilmente configurata come laboratorio, consiste in una maggiore velocità di esecuzione tanto da parte dello studente quanto del docente e in un miglioramento a livello di chiarezza ed economicità. Servirsi infatti dello schema a ellissi concentriche di Sabatini e trasportare queste convenzioni in latino risulterebbe infatti troppo dispendioso perché, oltre allo spreco di carta, si impiegherebbe più tempo a preoccuparsi della grafica rispetto all’analisi del testo, elemento da porre in primo piano. Attraverso le convenzioni adottate da Seitz-Proverbio, per le valenze non saturate (quindi, con un elemento, quasi sempre in nominativo, sottinteso) si può ricorrere al simbolo di insieme vuoto (Ø) già previsto in Fare latino. A mio avviso, inoltre, per gli attributi del nome è bene indicare la funzione più che il caso, dal momento che essi concordano con il sostantivo cui si riferiscono; gli attributi, inoltre, secondo la grammatica valenziale, sono classificati come circostanti.

Ecco un esempio di schema grafico di frase complessa.

Schema grafico di una frase da Cesare.

Analogamente, per periodi complessi (pensiamo a brani tratti da Livio o Cicerone), si possono impostare, con le medesime convenzioni, dei diagrammi ad albero, indicando la gerarchia delle proposizioni all’interno della frase, senza andare a dettagliare ogni singolo elemento, dal momento che il fine, in questa operazione, è chiarire le logiche interne di un periodo complesso, nell’ottica di una sua comprensione. Le convenzioni saranno quindi le stesse della proposizione: subordinate completive (argomentali) legate da linea obliqua continua; subordinate circostanziali (non argomentali) da linea obliqua tratteggiata; attributive collegate all’antecedente da linea verticale tratteggiata.

Si dà quindi un esempio di stemma che va a indagare i rapporti tra proposizioni, non tra gli elementi interni di queste ultime. Il brano scelto fa parte del XXII libro dell’Ab Urbe condita di Livio (49, 1-2) e lo schema grafico è preceduto dall’analisi “in riga”.

Schema grafico di Ab urbe condita 49, 1-2.

Un bilancio del metodo

Dopo la riflessione teorica e la messa in pratica del modello valenziale, quali sono i vantaggi che questo può portare nell’insegnamento della lingua latina, specie al biennio?

In prima battuta, superato lo straniamento iniziale dell’introduzione del concetto di valenza, il primo apprendistato con il latino risulta sia scientifico sia rassicurante: notare le frequenti analogie tra italiano e latino nella costruzione della frase consente un primo approccio con la lingua classica non ostile. Gli elementi frasali non vengono visti come tessere di un “puzzle” da riordinare, ma come ingranaggi di un meccanismo che ha come perno il verbo.

Inoltre, riflettere sulle valenze del verbo consente di prevenire una delle imprecisioni nell’apprendimento dei casi, che vengono spesso sommariamente identificati con i complementi italiani; la presentazione di verbi con costruzioni particolari (p.e. gaudeo, constat, egeo) consente subito di sgombrare il campo da questa identificazione, che ha guidato, per decenni, la didattica del latino, impedendo la visione del caso come macrofunzione logica.

L’individuazione prioritaria della frase nucleare, specie in periodi di una certa complessità, consente poi di muoversi su una prima ipotesi di traduzione, per poi allargare il cerchio agli elementi extranucleari (circostanti, che arricchiscono elementi della frase nucleare ed espansioni, che, secondo il magistero di Sabatini, si riferiscono all’intera frase).

Per indirizzi come il liceo linguistico, poi, credo che il modello valenziale sia il metodo che consente la migliore trattazione della grammatica latina (anche in ottica comparativa) e un primo approccio a testi debitamente semplificati nel secondo quadrimestre del secondo anno, alla fine del quale si abbandona la disciplina; proficue sono inoltre le connessioni con la lingua tedesca e la possibilità di impostare un lavoro parallelo con l’insegnante di lingua straniera, magari a partire dal genere della favola, che prevede semplici costrutti in entrambe le lingue[10].

Ma, credo, che un’applicazione del metodo possa essere anche ipotizzata all’interno di percorsi di recupero e di consolidamento: una delle maggiori difficoltà dei discenti consiste nel muoversi all’interno della frase e di comprendere la funzione di elementi con terminazione a volte uguale. Tendenzialmente il primo “shock” (talvolta letale nell’approccio degli studenti col latino) avviene quando, dopo una serie di batterie di esercizi di morfologia, con semplice applicazione di regole, i ragazzi vengono posti di fronte a frasi da tradurre o analizzare. A mio avviso la difficoltà deriva da uno scollamento, nei manuali tradizionali, tra esercizi di morfologia e di analisi frasale: quanti insegnanti di lettere si sono trovati di fronte a esercizi di questo tipo: «indica tutti i casi possibili e le traduzioni di lupi»? Lo studente risulta in grado di svolgere questa consegna ma, se trova poi il termine nella frase, spesso non sa spiegarne la funzione logica. Se, invece, impostassimo sin da subito esercizi a completamento a partire dalla valenza di un determinato verbo, potremmo abolire questa pratica che, a mio avviso, disorienta molto gli studenti nel passaggio da semplici esercizi di “addestramento” morfologico all’immersione nella lingua.

Esercizi di completamento a partire dalla valenza del verbo.

Mi piace chiudere questo contribuito con le parole del padre salesiano e latinista Germano Proverbio: «Il latino non è la grammatica, con tutte quelle pagine di paradigmi e di regole con le relative eccezioni e le eccezioni delle eccezioni. Allora bisogna studiare meno grammatica e più latino, che è quanto dire: invece di sudare sulle regole, mettiamoci a leggere il latino, quello vero, che hanno scritto i Romani in Roma antica. Lì troveremo tutte le regole che vogliamo, praticate e rispettate e a dovere; e a furia di trovarle le impareremo per quel che servono. E poi troveremo quello che nelle grammatiche non c’è affatto: un pensiero, un racconto, un episodio, una notizia storica, un po’ di vita, insomma»[11]. Forse, un po’ di metodo valenziale potrebbe aiutare a smorzare il luogo comune, ma quanto mai radicato, di lingua classica come lingua morta.


NOTE

[1] Cfr. A. Balbo, Insegnare latino. Sentieri di ricerca per una didattica ragionevole, UTET, Torino 2007, p. 62.

[2] A. Balbo, La didattica delle lingue classiche in Piemonte nelle riflessioni di Germano Proverbio e Italo Lana, in Erika Nuti, Giorgio Brandone e Tiziana Cerrato (a cura di), La didattica delle lingue classiche. Atti del Convegno, Liceo Classico “Massimo d’Azeglio”, 2 aprile 2014, Torino, p. 19.

[3] E. Andreoni Fontecedro, Il modello Tesniére-Sabatini e la sua applicazione al latino. Proposta per una metodologia di didattica della lingua latina, “Atene e Roma”, XXXI, 1986, 1-2, p. 50.

[4] E. Mazzacchera, Modelli linguistici e didattica delle lingue classiche, “Nuova Secondaria”, 1, 2017 (XXXV), p. 152.

[5] E. Mazzacchera, art. cit., p. 156.

[6] Assai produttivi sono gli esempi presenti nell’introduzione a Fare latino che spiegano la valenza del verbo avvalendosi di soli sostantivi della 1^ declinazione. Si leggano le pp. 14-19 di F. Seitz, G. Proverbio, L. Sciolla, E. Toledo, Fare latino, Società Editrice Italiana, Torino 1983. Molto utili anche gli spunti forniti da Andreoni Fontecedro, specie per la precisazione secondo cui «anche per il latino vale la considerazione che una modificazione semantica del verbo può comportare un diverso tipo di valenza: mi riferisco con ciò a ogni verbo che usato in senso assoluto diventa intransitivo e monovalente (es. quisquis amat, valeat)» (E. Andreoni Fontecedro, art. cit., p. 54).

[7] P. Iannacci, P. Marinetto, La rappresentazione grafica di frase e periodo: un problema, un’ulteriore difficoltà o un’opportunità, “Italiano LinguaDue. Rivista internazionale di linguistica italiana e educazione linguistica”, anno 11/2, 2019, pp. 449-470.

[8] A. Cardinaletti, G. Giusti, R. Iovin, Il latino per studenti con DSA. Nuovi strumenti didattici per la scuola inclusiva, Cafoscarina, Venezia 2015, pp. 83 sgg.

[9] P. Iannacci, P. Marinetto, art. cit., p. 454. Le studiose del Giscel riprendono, in questa sede, le considerazioni di G. Stella e L. Grandi, Come leggere la dislessia e i DSA, Giunti, Firenze 2011, pp. 17-25.

[10] Sul metodo valenziale applicato al latino nel liceo linguistico si legga il mio contributo dal titolo Esperimenti valenziali, uscito su “Nuova Secondaria Ricerca”, XXXVII, 2, 2019, pp. 59-71.

[11] A. Balbo, La didattica delle lingue classiche in Piemonte nelle riflessioni di Germano Proverbio e Italo Lana, op. cit., pp. 18-19, a sua volta reperibile online all’url vitulus.altervista.org/serve-latino.

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Matteo Zenoni

Insegna materie letterarie e latino al Liceo Linguistico “Cesare Battisti” di Lovere e si occupa principalmente del rapporto tra didattica dell’italiano e nuove tecnologie (promuovendo iniziative di formazione per l’ADI della Lombardia), e dell’applicazione del metodo valenziale alla didattica del latino.

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