Il post in questione documenta una singolare lezione di storia dell’arte in una classe terza di un liceo scientifico: i ragazzi e le ragazze hanno riprodotto le principali opere di Leonardo con i propri corpi. C’è chi ha interpretato l’uomo vitruviano, chi la Dama con l’ermellino e chi, in gruppo, ha dato vita al Cenacolo. Non è stato un semplice gioco, scrive Emanuela Pulvirenti, l’insegnante che ha ideato questa attività e che dal 2014 cura Didatticarte, blog che oggi conta una media di 8000 visite giornaliere. No, non è stato un semplice gioco: la posizione delle mani, la direzione dello sguardo, la postura e il punto di vista, dettagli altrimenti irrilevanti, con un’attività di questo tipo si riempiono di senso, quello che solo l’esperienza riesce a imprimere nella memoria. Intuizione brillante quella di applicare i tableaux vivants alla didattica della storia dell’arte. Intuizione che trasuda curiosità, entusiasmo e intraprendenza: caratteristiche che fanno di Emanuela l’insegnante che tutti e tutte, come Giovanna, avremmo voluto avere dietro la cattedra della propria aula.
E pensare che per Emanuela fare l’insegnante di liceo non rientrava esattamente nei suoi piani. Formatasi per diventare architetta e specializzatasi in illuminotecnica, Emanuela aveva partecipato al concorso per accedere all’insegnamento quasi solo per fare un piacere a sua madre. Archiviata la pratica, ha esercitato la libera professione per molti anni, quando, di punto in bianco, le è arrivata la comunicazione della sua immissione in ruolo. Era il lavoro che l’aveva scelta, e per i primi anni Emanuela l’ha svolto tra pochi alti e molti bassi. Prima di allora aveva già insegnato, e le era anche piaciuto: corsi presso l’Istituto Europeo di Design, lezioni in master alla Sapienza, a Palermo, Trapani; ma insegnare storia dell’arte nei licei, rivolgendosi a classi demotivate, ostili e che consideravano le sue due ore al pari della ricreazione era tutta un’altra faccenda. L’impatto è stato senza dubbio duro, ma dopo cinque anni nello stesso istituto – il liceo scientifico Giovanni Falcone di Barrafranca (EN) – qualcosa è cambiato. All’epoca Emanuela aveva già un sito: lo utilizzava come archivio di materiali didattici da cui le sue classi potevano attingere liberamente. Poi ha seguito un MOOC sull’uso del web nella didattica: uno dei compiti prevedeva l’apertura di un blog. Per una smanettona come Emanuela, caricare la piattaforma WordPress sul suo sito è stata una passeggiata; il problema, a quel punto, consisteva nel capire come usare quello strumento di cui aveva intuito le enormi potenzialità didattiche.
All’inizio è stato una valvola di sfogo, poi i racconti degli esperimenti che realizzava in aula hanno incontrato l’interesse delle sue classi che da principale pubblico dei primi post sono diventate parte attiva. Emanuela ha cominciato a credere in quello che faceva, e il blog ha finito per modificare il suo stesso metodo di insegnamento, sempre più relazionale, fluido. Il disinteresse che aleggiava nelle sue classi, un tempo motivo di scoraggiamento, si è trasformato in stimolo per nuove attività, nuovi post. Come quando, nel bel mezzo di una spiegazione, Emanuela ha scoperto due alunne scattarsi un selfie sotto il banco. Secondo il regolamento scolastico avrebbe dovuto sequestrare i cellulari e portare le due ragazze in presidenza. Fine della storia. Ma nel comportamento di quelle sue alunne, Emanuela ha intravisto un interesse su cui far leva: «se vi piace scattare selfie, ha detto loro Emanuela, almeno fatelo in maniera consapevole!». E così, ha proposto alla classe la lettura di un vecchio post del suo blog dedicato alle espressioni del volto nell’arte: da Nefertiti alla Gioconda, da Caravaggio alla Disney. Oggi quel post è corredato da un collage di selfie che la sua classe ha realizzato, riproducendo tutta la gamma delle espressioni facciali.
Cadere nell’incentivo negativo della punizione è una tentazione con cui Emanuela combatte ogni giorno. A dissuaderla è la consapevolezza che, alla fine, sarebbe lei a perdere, a perdere la possibilità di recuperare un rapporto costruttivo con le proprie classi.
Analogamente, grazie al blog, Emanuela è riuscita a modulare l’utilizzo del voto, incentivo scolastico positivo che, spesso finisce per favorire la performance a discapito dell’apprendimento. Come quella volta che alcuni suoi alunni, pur di prendere un buon voto, le inviarono foto scaricate dal web. Da allora Emanuela preferisce che, almeno in queste attività, la classe si senta libera. Le tipologie di incentivo a cui ricorrere di certo non mancano. Portare a termine i compiti che Emanuela assegna loro non viene percepito come un obbligo scolastico di cui faticherebbero a coglierne l’utilità. Quello che realizzano a scuola nelle due ore di storia dell’arte esce dalla quattro mura dell’aula, raggiunge i compagni e le compagne delle classi vicine che, come loro, vorrebbero diventare quadri viventi; arriva alla mamma che salva come sfondo del cellulare il fotomontaggio della figlia nei panni di madame Récamier di Jacques-Louis David; entra tra i risultati di una ricerca per immagini del David di Michelangelo; arriva alla professoressa dall’altra parte d’Italia o addirittura del mondo che vorrebbe replicare nelle proprie classi l’esperimento che li ha coinvolti. La risonanza del blog rende le attività in classe compiti di realtà: l’incentivo sta nel sentirsi partecipi di un progetto con riscontri tangibili nel modo reale. Il connaturato narcisismo adolescenziale fa il resto.
Le sue studentesse e i suoi studenti sono da conquistare, dice Emanuela, lasciandosi sfuggire un sospiro che dice tanto della fatica che la sua passione comporta. E ascoltandola viene spontaneo chiedersi come faccia a conciliare tutto questo con i tempi stringenti della scuola. Ci pensa il web a dilatarli: studenti e studentesse possono contattarla, mandarle materiali in orario extra-scolastico. Le due ore settimanali in aula sono per lo più dedicate alle attività – per così dire – regolamentari, e tra queste rientra la tradizionale spiegazione a cui Emanuela tiene tanto. E ci tiene perché sono le sue studentesse, i suoi studenti a chiedergliela. Basta leggere un suo post per capire il perché, per riconoscerle la spiccata capacità divulgativa con cui Emanuela incanta le classi. Il suo segreto? Racconta la storia dell’arte come vorrebbe che le venisse raccontata.
Sarà perché lei storica dell’arte non lo è affatto. La storia dell’arte Emanuela l’ha studiata da sola quando ha preparato e superato brillantemente la prova prevista dal concorso per l’insegnamento.
Fondamentale nella sua formazione è stato il metodo di analisi dell’opera che Giancarlo Sciolla propone nel saggio Insegnare l’arte. Proposte didattiche per la lettura degli oggetti artistici. È questo il metodo che Emanuela insegna alle sue classi, una volta che è riuscita a accendere la scintilla del loro interesse. Autore, iconografia, materiali usati: sono i principali parametri che chiede di analizzare in un’opera. La classe raccoglie informazioni dal libro e dal web, e le mette a sistema realizzando mappe concettuali tramite un’app. Libro, video, google art: Emanuela cerca di non escludere niente dal suo insegnamento. È chiaro che salvare tutto richiede un grosso sforzo, ammette, ma per i ragazzi e le ragazze è importante, perché, in fondo è proprio questo tipo di approccio che fa uscire l’arte fuori dal ibro, parafrasando il titolo del seminario che Emanuela ha tenuto a Pisa il 6 settembre.
Se ci sono riscontri sul rendimento scolastico? A volte, non sempre, dice Emanuela: dipende dal livello di coinvolgimento del gruppo classe; dipende da tanti fattori, spesso difficili da controllare, come l’ambiente sociale e familiare in cui i suoi ragazzi, le sue ragazze crescono. Dipende, ancora una volta, dai parametri con cui si misura il rendimento, perché può accadere che quel suo studente che non avrebbe mai messo piede in un museo ci entra, scatta delle foto e gliele invia. Obiettivo minimo per gli standard di un liceo scientifico, obiettivo sostanziale per la crescita di quel ragazzo.