Viva il magenta!

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È il colore del 2023 secondo il Pantone Color Institute, ma cosa si cela dietro questo porpora acceso? Fin dal suo nome, il magenta intreccia storia, chimica, arte, biologia e molto altro ancora… Scopriamo insieme il “magentaverso”.
La fuchsia (fonte: Wikimedia)

Chi ama i colori già lo sa, ma magari a qualcuno potrebbe essere sfuggito che l’anno appena iniziato è tinto di un bel magenta squillante… chi lo dice? Principalmente Pantone, l’azienda statunitense specializzata nella catalogazione dei colori che dagli anni Sessanta si è imposta a livello internazionale con il suo sistema Pantone Matching System, ormai diventato praticamente la norma soprattutto nell’industria grafica.

L’azienda, infatti, dal 1999 annuncia alla fine di ogni anno quello che a suo parere sarà il colore dell’anno successivo, e così dopo il blu pervinca del 2022 e la combinazione giallo-grigio dell’anno prima, il colore scelto per il 2023 è Viva Magenta 18-1750: una nuance della famiglia dei rossi che non passa certo inosservata. È un porpora acceso che secondo Leatrice Eiseman, direttrice esecutiva del Pantone Color Institute, «si ispira al rosso della cocciniglia, uno dei coloranti naturali più preziosi (…) nonché uno dei più forti e brillanti che il mondo abbia conosciuto»

Questa scelta arbitraria del “colore dell’anno” potrebbe sembrare una strategia di marketing, ma nonostante ciò la nuance 2023 è particolarmente stimolante perché fin a partire dal suo nome si possono fare moltissimi collegamenti curiosi. Iniziamo dunque dal nome di questa sfumatura di rosso violaceo: è stata chiamata così in onore della battaglia di Magenta combattuta il 4 giugno 1859 durante la Seconda Guerra d’Indipendenza Italiana.

Questa battaglia ebbe luogo nei pressi della cittadina che si trova pochi kilometri a ovest di Milano e vide schierati l’esercito francese contro quello austriaco, ma vi parteciparono (anche se non direttamente) alcune unità del Regno di Sardegna, alleato della Francia. Fu la prima delle due grandi battaglie, assieme a quella di Solferino e San Martino combattuta venti giorni dopo, che daranno la vittoria finale ai franco-piemontesi. Infatti, dopo aver prevalso a Magenta, le truppe alleate liberano Milano, in uno dei principali episodi militari del processo di unificazione italiana. L’importanza di questo evento è celebrata con entusiasmo risorgimentale anche in una poesia di Giosue Carducci:

Magenta

Gli attese al passo; poi di nubi avvolta
Del Cesare cirnèo l’ombra si mosse,
E disgombrando la caligin folta
Alzò il grido di guerra, e il ciel si scosse.

Già fuoco e ferro orribilmente in volta
Percuote i lurchi come turbin fosse,
E l’antica vendetta entro la molta
Strage l’ali battea torbide e rosse.

Or via, cessate l’inegual conflitto;
Ché quinci servitù feroce e muta,
Quindi pugna de i popoli il diritto.

Cade l’austriaca sorte: e te saluta,
Pian di Magenta, il civil mondo afflitto:
L’avversaria del bene è in te caduta.

La battaglia venne combattuta con grande intensità ed entrambe le parti subirono pesanti perdite, ma la vittoria francese fu dovuta soprattutto alla superiorità delle loro armi da fuoco e alla maggiore esperienza dei soldati. E secondo la tradizione, il colore magenta viene chiamato così proprio in ricordo del tanto sangue versato sul campo. In particolare, un reggimento francese di fanteria leggera pare si fosse distinto per il suo coraggio: erano gli zuavi dell’armata d’Africa, che prendevano il nome da alcune unità ottomane in Algeria. L’uniforme di questi valorosi combattenti aveva dei tipici pantaloni a sbuffo (da cui appunto la foggia detta “alla zuava”) ed era completata da un fez o da un turbante come copricapo.

“La battaglia di Magenta” (1861) di Gerolamo Induno, conservato al Museo del Risorgimento di Milano.

A questo punto però una precisazione è d’obbligo, perché il colore chiamato poi magenta non è che non esistesse prima della battaglia omonima. Infatti fin dall’antichità si conoscevano vari modi per ottenere questo rosso particolare. Per esempio, la porpora è un pigmento di origine animale la cui scoperta viene fatta risalire alla civiltà fenicia: si ottiene dai murici (Bolinus brandaris), dei molluschi gasteropodi che secernono una goccia di liquido vischioso dal colore violaceo. Il rosso porpora era molto ricercato e prezioso, dato che per tingere una sola veste servivano migliaia di esemplari, e per questo veniva riservato a personalità di alto rango.

Altri esempi di coloranti che provengono dalla natura sono il rosso carminio o il vermiglio ricavati dalle cocciniglie, insetti della famiglia Coccoidea. Le femmine di alcune specie in particolare producono un liquido molto denso e intensamente colorato che questi insetti usano come involucro per proteggersi dai predatori. Anche in questo caso però è necessario macinare circa 80-100.000 esemplari per estrarre un solo kilogrammo di colorante, usato soprattutto per tingere di rosso alimenti e in misura minore tessuti.

Ma la vera rivoluzione arriva a metà dell’Ottocento, quando l’industria dei coloranti produce in laboratorio moltissimi nuovi composti chimici per tingere in modo semplice ed economico. Il primo a dare impulso a questa corsa ai colori è il giovane chimico britannico William H. Perkin che nel 1856 scopre per puro caso la “mauveina”, cioè il primo colorante sintetico all’anilina (un composto aromatico). L’enorme successo commerciale della cosiddetta porpora di anilina e del malva, cioè il nuovo colore che questa tintura produceva, ispirò altri chimici in tutta Europa a sviluppare nuove sfumature.

Nel giro di pochi anni, il francese François-Emmanuel Verguin produce dopo vari tentativi un colorante viola-rossastro, mescolando l’anilina con il tetracloruro di carbonio, e lo chiama “fucsina” dal colore del fiore della pianta fuchsia. E nel 1859, i chimici britannici George Maule e Chambers Nicolson ottengono un altro colorante all’anilina, dalla stessa tonalità rosso-viola, che viene messo in produzione l’anno dopo con il nome di “roseina”. Nel 1860 però il colore viene ribattezzato magenta, in onore della battaglia appena combattuta, e riscuote subito grande successo internazionale.

Abito di seta magenta (1869-70), conservato al Victoria and Albert Museum.

 

Un trionfo che passa attraverso la moda, come testimoniano tanti abiti in tutti i toni del rosso-viola indossati dalle dame più in vista dell’epoca, per esempio la regina Vittoria d’Inghilterra e l’imperatrice Eugenia moglie di Napoleone III.
Ma anche l’arte contribuisce a rendere popolari questi nuovi colori, dato che offrono possibilità espressive inedite ai pittori che vogliono sperimentare accostamenti cromatici più audaci. È questo il caso di Paul Gauguin che nel 1890 utilizza una tonalità di magenta nel suo Ritratto di Marie Lagadu Derrien e in alcuni dei suoi dipinti dei mari del Sud.

Ritratto di Marie Lagadu Derrien (1890) di Paul Gauguin.

Oppure i membri del movimento fauve che usano colori “non tradizionali” come il magenta per sorprendere chi guarda i loro quadri e suscitare emozioni forti: un esempio su tutti è il dipinto I tetti di Collioure del 1905 di Henri Matisse.

I tetti di Collioure (1905) di Henri Matisse.

Grazie al colore scelto da Pantone per quest’anno abbiamo fatto un viaggio nella storia toccando tante discipline e scoprendo curiosità scientifiche e artistiche. Chissà che cosa ci riserverà la loro scelta nel 2024?

 

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Sara Urbani

Laureata in scienze naturali con un master in comunicazione della scienza, ha lavorato per la casa editrice Zanichelli. Scrive anche per Odòs – libreria editrice e per i magazine online La Falla e Meridiano 13.

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