- Il santuario di Apollo a Delfi
- Il campo militare di Vindolanda
Viaggiare, però, si può anche in altro modo, sia nel tempo sia nello spazio. Pertanto mi permetto di segnalare a qualcuno tra i milioni di “reclusi” del Coronavirus un paio di letture che consentano un po’ di evasione e che ci portino in luoghi bellissimi; si tratta, in entrambi i casi, di libri di recente edizione che parlano di geografia storico-mitologica del mondo antico.
I luoghi più strani dell’antichità
Il primo è M. Zimmermann, I luoghi più strani del mondo antico, Einaudi, Torino 2019, che ci porta ad esplorare, con un occhio curioso, moltissime località antiche suddivise secondo categorie tematiche (ad es. Luoghi dei vincitori, o dell’amore, o del divino, o della guerra, o del sapere, o dell’orrore etc.). Si tratta di luoghi ancora esistenti (come il campo militare romano di Vindolanda, sul quale ho scritto di recente, o il santuario di Apollo a Delfi, o il Serapeo di Saqqara) e di altri scomparsi e/o immaginati (come la Biblioteca di Alessandria, la tomba di Cleopatra o le varie ipotetiche “porte dell’Ade”).
Zimmermann è un accademico, e non rinuncia a un po’ di eruzione; però il taglio del volume è agile, e i singoli paragrafi sono introdotti da un titolo suggestivo e dalle “coordinate geografiche”, il che ci permette di scoprire, ad esempio, che quelle dell’aditon di Delfi – l’ombelico del mondo sono: Latitudine 38° 28’ 56,33” N; longitudine 22° 30’ 4,4” E.
- Le pseudo-rovine di Troia a Hisarlik
- Sofia Schliemann indossa i gioielli del Tesoro di Priamo
Mi permetto di segnalare – tra i vari luoghi – uno che è molto caro a tutti noi antichisti, e cioè quello della mitica città di Troia, di cui si parla nel paragrafo Hisarlik – le rovine che diventarono Troia (pp. 16-24).
Si racconta, con dovizia di particolari, come la notorietà dei poemi omerici spinse già in età antica a rendere concreta la localizzazione di Ilio sulle coste dell’Asia Minore. «Dunque, nell’odierna Hisarlik sorse un luogo veramente particolare che serviva unicamente a rendere visibili l’immaginazione poetica e la tradizione mitica» e già i Greci e i Romani trasformarono le rovine di antiche fortezze dell’età del bronzo in sito «a vocazione museale».
Schliemann, poi vi trovò in loco il tesoro di Priamo, anche se «non c’è mai stato un tesoro di Priamo, tanto quanto non esiste il tesoro dei Nibelunghi». Peccato: chi scrive ha provato a credere che gli antichi i gioielli visti lo scorso anno al Museo Puskin di Mosca li avessero davvero indossati le donne troiane, oltre che Sophia, la moglie di Schliemann!
In Grecia, sulle orme del mito
- L’Eretteo, sull’Acropoli di Atene
- Particolare del frontone del tempio di Zeus a Olimpia
Gli accenni alla mitologia e all’ epica greca ci portano ora al secondo libro in esame, e cioè G. Guidorizzi, S. Romani, In viaggio con gli dei. Guida mitologica della Grecia, Raffaello Cortina Editore, Milano 2019. Il volume è scritto da due specialisti di mitologia e analizza alcune località della Grecia (si parte da Creta e si termina con il Capo Sounion) alla luce dei miti che queste hanno espresso.
Certamente, molte di queste vicende sono già note, anche al grande pubblico; però la grande competenza dei due autori le arricchisce di particolari spesso trascurati, e le ancora solidamente a quanto ancora si può vedere in alcuni siti archeologici o musei ellenici.
Leggendolo sono tornato con la mente in molti luoghi che ho visitato nel corso degli anni, spesso condividendo le mie esperienze con i lettori de «La ricerca» (che possono rileggerle partendo da qui): Creta, appunto, Pilo e Basse, Olimpia, il monte Liceo, l’Argolide (cioè Micene ed Epidauro), Corinto, Delfi, Dodona, Tempe e Verghina, Atene e – come anticipavo – il Sounion.
Difficile scegliere qualche esempio: come si possono infatti trascurare vicende del calibro di quelle di Minosse (o di Zeus) a Creta, di Agamennone a Micene, del dio Apollo e della sua Pizia a Delfi? E che dire della crudele sfida alla base della nascita dei giochi di Olimpia, e cioè la gara tra Pelope ed Enomao per la conquista di Ippodamia?
Non mancano anche interessanti note su come questi miti siano stati recepiti nel tempo, e “rivitalizzati” (insieme ai loro luoghi d’origine) da discusse figure di archeologi come Schliemann o Evans, dai sublimi versi di Lord Byron, e perfino dalle intuizioni psicanalitiche di Sigmund Freud.
A proposito di Freud, nel libro si ricorda come egli, durante la prima visita all’Acropoli di Atene, ebbe «una strana sensazione, una specie di svenimento» e prese coscienza di trovarsi «nel cuore della civiltà occidentale» (p. 209). Al di là della bellezza dei luoghi, dovette impressionarlo il fatto di trovarsi nella città dove il “suo” Edipo concluse la propria esistenza terrena, e di poter vedere quel teatro di Dioniso dove le tragedie di Sofocle – che della saga tebana fu il massimo cantore – venivano rappresentate.
Immagino in lui una sorta di mescolanza tra piacere estetico e turbamento interiore: un po’ quella di tutti noi quando, sull’Acropoli, vediamo l’Eretteo, cui i nostri autori dedicano le pp. 235-239. Infatti il godimento nell’ammirare una delle più singolari costruzioni architettoniche della grecità, nobilitata dalla “loggia delle Cariatidi”, si mescola con il ricordo dei numerosi miti che ad esso sono legati.
Tra questi, il terribile suicidio delle figlie di Cecrope (una di esse, Pandroso, fu la prima custode di questo tempio), impazzite per avere sbirciato nella cesta affidata loro da Atena e avervi scorso il Erittonio (o Eretteo), un mostruoso essere metà bambino e metà serpente: costui era un «figlio non figlio» di Atena, poiché era stato rocambolescamente generato da Efesto il quale, invaghitosi di lei ma non corrisposto, «aveva schizzato con il suo sperma la coscia della dea in fuga e lei si era pulita disgustata con un batuffolo di lana che aveva poi gettato a terra. Da questa inseminazione, qualche tempo dopo, era nato Erittonio».
Insomma: i miti greci non sono mai vicende banali perché racchiudono l’uomo (e non solo) in tutte le sue molteplici sfaccettature, anche le peggiori: e qui potrei tornare a Freud, oppure parlare di Nietzsche, ma non la farò, limitandomi a citare una frase pronunciata anni fa dal grande studioso Marcel Detienne, che definì il mito «la scatola nera dell’umanità», cosa che – in forme accessibili al grande pubblico – anche il libro di Guidorizzi e Romani ribadisce.
Torno ora alla ben più misera cronaca. Mentre sto terminando questo articolo, viene annunciata una conferenza stampa del Presidente del Consiglio: non solo la “mia” Lombardia, ma ormai tutta l’Italia è “chiusa per virus”. Non nascondo la mia l’inquietudine crescente, che credo sia condivisa da molte persone; e non so più (come ho invece detto prima) se una buona lettura possa davvero alleviare lo stato d’animo di chi – come noi contemporanei – aveva la certezza di controllare tutto (i Greci antichi avrebbero parlato di hybris) – e ora brancola nel buio. Altro però non riesco a offrire ai miei affezionati lettori della Ricerca, ai quali cercherò per quanto possibile di stare vicino: sentirsi “comunità” (ancorché virtuale…) di questi tempi è già qualcosa.