Cambiare o no il format della versione di latino o greco all’esame di stato? Le opinioni di Bettini, Mastrocola e del nostro Reali.
Da anni si ragiona sulla possibilità che la tradizionale “versione” di latino o greco, assegnata all’esame di “maturità” classica, cambi format. E da qualche tempo circola voce che tale modifica potrebbe portare ad un testo sì da tradurre, ma anche da commentare e/o contestualizzare, sulla scia di quanto già si fa nelle prove delle cosiddette Olimpiadi Nazionali di Lingue e Civiltà Classiche. Ma anche – aggiungo io – sulla scia di quanto già la prassi didattica suggerisce da tempo: infatti, sono molti i docenti che affiancano alla tradizionale “versione” prove di altra natura (desunte da libri ma ancor più spesso “fai da te”), che hanno – in linea di massima – come fonte di ispirazione la “Analisi del testo” della Prima Prova dell’Esame di Stato.
Entra ora “a piedi uniti” sulla questione (con un tackle ruvido ma salutare…) uno dei più noti classicisti e filologi dei nostri giorni, e cioè il professor Maurizio Bettini dell’Università di Siena. Lo fa su Repubblica del 5 marzo 2015, con un articolo carico di cultura, dottrina e – soprattutto – di sano buon senso.
Certo, Bettini provoca definendo la prova in essere inutile e dannosa, e ciò ha fatto storcere il naso ad alcuni colleghi. Ma dice cose sacrosante quando afferma che concludere il proprio percorso di studi traducendo passi greco-latini spesso scialbi e poco significativi dal punto di vista contenutistico è davvero poco gratificante; lo si fa – per lo più – cercando di “portare a casa le penne” (dico io), e cioè (dice meglio Bettini) badando a non fare troppi errori, di sintassi o di grammatica. Consentire invece più opzioni di scelta della prova (come avviene per Italiano, ad esempio), e proporre, come si diceva, esercizi di format diverso, secondo Bettini permetterebbe finalmente allo studente di valorizzare anche ciò che ha capito, e possibilmente amato, della cultura antica.
Tra le numerose voci che sono seguite a questo articolo (tra l’altro anche parecchie lettere ai giornali di docenti o ex studenti) mi pare particolarmente significativa quella della scrittrice e insegnante Paola Mastrocola, dalle colonne del Sole 24 ore on line del 14 marzo 2015. La Mastrocola preferirebbe che la prova d’esame restasse nudamente tecnica, sostenendo la seguente tesi: Quindici righe, che però mettevano in gioco l’uso di tutte le capacità mentali, scientifiche e letterarie insieme. E che fossero righe avulse da un contesto, forse, rendeva la prova ancora più centrata su queste capacità puramente logiche, analitiche: radiografiche. Notiamo subito l’uso del verbo al passato, dato che l’autrice è convinta che la vecchia “versione” scomparirà presto per lasciare spazio alle nuove prove articolate, e dà pertanto la cosa come già avvenuta. Afferma poi di respirare un’aria di resa, un odore di disfatta, percependo il tutto come un’opera di facilitazione del percorso scolastico dei nostri giovani. Dice infatti: E per queste nostre paure snaturiamo la scuola, ci mettiamo a rincorrere l’utenza, a blandire le sue debolezze. E chiediamo un impegno sempre più ridotto, o impegni sempre più laterali ma più avvincenti.
Chi scrive – già lo si è capito – sta con Bettini, e almeno per due motivi. Il primo è perché per arrivare a far svolgere agli studenti prove del genere (di traduzione, comprensione, commento etc.) dovremo prima arricchire e articolare il nostro percorso didattico, renderlo più avvincente e appassionante, e non per questo più “facile”. E proprio in questo aggettivo sta già il secondo motivo del mio sì a Bettini e delle mie perplessità verso le tesi della collega Mastrocola: infatti non credo proprio che si pensi a prove tout-court più semplici, bensì più adeguate a quell’idea di approccio “globale” al testo e al contesto che non certo Maurizio Bettini, ma decenni di teoria e prassi didattica ci hanno suggerito.
E se poi tali novità dovessero far confluire più studenti verso il Liceo Classico “in crisi”, io non piangerei di certo: mi pare invece di percepire dalle pur nobili parole della Mastrocola un po’ di compiacimento della possibilità che tale Liceo resti piccola ed elitaria “riserva indiana”. Insomma, le cose che dice lei, io le ho pensate e dette per anni (e dunque le rispetto profondamente). Oggi mi pare però di sentire le parole di Cicerone, che nel De amicitia (§18) tenta la definizione di “sapienza” ricordando che mentre i filosofi greci ne hanno una nozione troppo alta, irraggiungibile, lui cerca invece di tenere i piedi per terra: sed eam sapientiam interpretantur quam adhuc mortalis nemo est consecutus, nos autem ea, quae sunt in usu vitaque communi, non ea quae finguntur aut optantur spectare debemus (“… per sapienza intendono quella che fino ad ora nessun mortale ha raggiunto; noi invece dobbiamo guardare a ciò che è nella realtà della vita comune, e non a ciò che è nella immaginazione e nel desiderio”. Trad. C. Saggio). Credo proprio che anche lo studente o la scuola ideali esistano di questi tempi solo nella immaginazione e nel desiderio di chi la pensa come la Mastrocola; e poi, per quel che mi riguarda, non sono nemmeno troppo ideali… Sì, lo confesso, piuttosto che “formare” traduttori puri, preferisco formare amanti della cultura classica che sappiano anche (quanto basta) tradurne i testi originali, ma soprattutto trarre da essi un messaggio che resti aere perennius.