La Fondazione Giovanni Agnelli, del resto, nel suo La valutazione della scuola, dopo aver chiarito che la valutazione non è, né può essere neutra, andando di fioretto, osservava che “Una valutazione fatta contro i docenti non potrà mai decollare, mentre una valutazione costruita senza i docenti finirà per suscitare tali e tanti timori, a maggior ragione se accompagnata da tentativi mal concepiti o mal recepiti, da essere anch’essa destinata al fallimento. L’unica strada percorribile è quella della valutazione progettata e costruita con i docenti” (p. 247). La valutazione della classe docente, insomma, è uno dei problemi più spinosi e difficili e però urgenti.
Una valutazione indiretta, attraverso il successo degli allievi nelle prove Invalsi, pare che manchi di rigore e accettabilità, proprio mentre sembrerebbe dotata di massimo rigore agli occhi ingenui verso i limiti epistemici dei così detti “test oggettivi”. Che la valutazione sia affidata al DS pare poi pericoloso, sia perché creerebbe nella scuola nuove logiche di potere e di pressione verso l’obbedienza supina verso l’esercizio dell’autorità, sia perché il DS spesso non è la persona più obiettiva nella valutazione dei suoi docenti. I Dirigenti di solito non conoscono la didattica effettivamente svolta, non osservandola direttamente, e spesso la giudicano a partire da esigenze di sistema (non perdere allievi, compiacere le famiglie che esercitano pressioni sempre più pesanti) che poco hanno a che fare con l’effettivo valore dell’insegnante. La valutazione degli allievi potrebbe essere uno strumento, ma è tutt’altro che infallibile: a volte passano per bravissimi i docenti carismatici, o quelli che concedono (o magari regalano) e tutto ciò a prescindere dalle effettive competenze; peraltro i docenti esigenti, magari caratterialmente ispidi, sono destinati a una probabile impopolarità, ancora una volta a prescindere dai meriti. Affidarsi al gruppo dei pari finirebbe per creare una casta di eletti (perché valutati bene in passato o perché semplicemente deputati alla valutazione) e una seconda casta di aspiranti (se non anche una terza di senza speranza, di reietti, che perderebbero ogni gusto di svolgere la propria professione). Tutto questo creerebbe scenari che al momento la scuola fortunatamente non ha e di cui non ha bisogno. Anche agganciare la misurazione della qualità su indicatori “oggettivi” è problematico e andrebbe fatto con attenzione: la misurazione dei progetti o delle funzioni obiettivo in cui un insegnante è coinvolto rischia di scambiare la qualità didattica con l’attivismo; la misurazione del valore del docente sulla base dei corsi di aggiornamento svolti finisce poi con lo scambiare le competenza docente con la disponibilità all’aggiornamento, peraltro di per sé apprezzabile. Ci sono del resto modalità di autoaggiornamento efficaci – per esempio, la lettura di libri, la partecipazione a conferenze e seminari universitari, la pubblicazione di opere – che resterebbero sommerse. La partecipazione ai corsi, per contro, appiattirebbe proprio i più autonomi e creativi nella propria formazione, rubando loro energie e favorendo al contempo un mercato della certificazione dell’aggiornamento che non è di reale utilità per nessuno.
La valorizzazione del lavoro e delle competenze andrebbe promossa nella scuola ove attualmente si lavora molto gratis, un po’ per passione, un po’ per “non perdere classi” e perciò posti di lavoro. Provo a formulare alcune proposte che mancheranno di un impianto complessivo, ma che di per sé potrebbero essere attuate utilmente. Le commissioni degli esami di Stato ogni anno valutano inevitabilmente anche il lavoro degli insegnanti: si tratta di qualcosa che però, formalmente, rimane inespresso. Le commissioni d’esame sono composte, come si sa, da docenti interni ed esterni. Non sarebbe male se la componente esterna fornisse indicazioni sui meriti, se ne ha trovati, del lavoro svolto dai singoli e dal Consiglio di classe, lasciando eventuali indicazioni sulle problematiche incontrate. Si tratterebbe di un feedback effettivamente utile. La cosa non comporterebbe molto lavoro da parte delle commissioni: bisognerebbe solo compilare un breve documento. Il fatto però che resti nero su bianco, che punti soprattutto a segnalare la qualità e la buona didattica (capire cosa si sta facendo di apprezzabile è molto utile) e che fornisca indicazioni concrete di cosa potrebbe essere effettivamente migliorato sarebbe prezioso a chi nella scuola, e sono moltissimi, è pronto a mettersi in discussione e a migliorarsi. Questa valutazione potrebbe darsi senza prefigurare di per sé aumenti di stipendio, così da rendere tutti più sereni.
Sarebbe poi urgente valorizzare anche economicamente l’enorme lavoro dei docenti CLIL che, nel prossimo anno, con l’arrivo della riforma nelle classi terminali, si attiveranno. Per svolgere ore CLIL sarà necessario impararne la metodologia, consolidare le competenze linguistiche e implementare la didattica CLIL, adattandola alle classi: si tratta di una quantità di lavoro enorme che non è giusto che resti sommersa. Qui si andrebbe a valutare, favorevolmente, la fattiva disponibilità a svolgere lavoro extra.
Riprendo infine una proposta che ho già fatto. Sono reduce, come molti miei colleghi in tutt’Italia, da decine di ore passate a correggere tesine. Si tratta di un lavoro che si aggiunge a quello svolto nei mesi scorsi. Non mi pare giusto che un impegno tanto notevole e tanto delicato non sia gratificato in alcun modo. Il tutoraggio delle tesine e in genere di lavori elaborati in classe e finalizzati alla partecipazione a esami e concorsi andrebbe riconosciuto economicamente.
In conclusione, si può valutare con e senza ricaduta di aumenti stipendiali. Quanto a questi ultimi, in genere bisognerebbe usare le risorse per coprire almeno una parte del lavoro svolto e ora sommerso, premiando l’impegno ed evitando l’instaurarsi di meccanismi di premio che rischino di non motivare chi li sente dovuti e di demotivare definitivamente chi ne viene escluso, molto spesso non per propria responsabilità.